“Ddl 661 (Modifiche al codice penale in materia di tortura)”. È uno dei punti all’ordine del giorno per la seduta del 27 giugno 2023 della commissione Giustizia del Senato, il giorno dopo la Giornata internazionale per le vittime di tortura e nonostante le immagini scioccanti delle violenze nella questura di Verona da parte delle forze dell’ordine nei confronti di persone arrestate. 

Il reato di tortura è stato introdotto nel codice penale solamente nel 2017 e, come afferma la presidente di Amnesty international Alba Bonetti, “riaprire adesso la discussione è un segnale pessimo, un messaggio in favore dell’impunità”. In Parlamento sono state presentate alcune proposte di modifica alla legge, “in alcuni casi migliorative e in altri peggiorative, se non semplicemente abrogative, la cui approvazione potrebbe fermare i processi e le indagini in corso”. Motivo per il quale Amnesty Italia dice “chiaro e tondo al parlamento e al governo: il reato di tortura non si tocca!”. 

A livello internazionale sappiamo, secondo il recente Rapporto 2022-2023 dell’associazione per i diritti umani, che sono almeno 85 gli Stati in cui è stata usata illegalmente la forza contro i manifestanti, in almeno 47 si sono verificate morti a seguito di torture o maltrattamenti e almeno 79 hanno arrestato arbitrariamente i manifestanti. 

Nella Giornata internazionale per le vittime di tortura, istituita dalle Nazioni Unite per ricordare il giorno in cui nel 1987 entrava in vigore la “Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”, Amnesty International ricorda il proprio impegno nella promozione di un Trattato internazionale che regoli il commercio delle armi meno letali in dotazione delle forze di polizia impegnate in azioni di ordine pubblico.

“Le armi meno letali (come i dispositivi antisommossa, tra i quali manganelli, spray al peperoncino, gas lacrimogeni, granate stordenti, cannoni ad acqua e proiettili di gomma) – scrivono in un comunicato - hanno lo scopo di consentire alle forze di polizia di usare un livello minimo di forza di fronte a un particolare minaccia”.  

Le ricerche dell’associazione hanno evidenziato numerosissimi casi in cui tali dotazioni sono state usate in modo illegale, come veri e propri strumenti di tortura, provocando lesioni gravi e persino la morte di manifestanti o persone in stato di fermo. Attualmente, non esistono normative globali sulla produzione e sul commercio delle armi meno letali, quindi Amnesty conclude: “Chiediamo un Trattato internazionale che vieti la produzione e il commercio di attrezzature, destinate alle forze di polizia, intrinsecamente atte a violare i diritti umani e sottoponga a rigorosi controlli in materia di diritti umani il commercio delle armi meno letali, destinate all’uso della forza in contesti di ordine pubblico o di custodia”.