In occasione della Giornata internazionale per i diritti dei migranti, che si celebra oggi (18 dicembre), la Cgil del Veneto segnala una ricerca della Fondazione Leone Moressa che dimostra tutti i limiti del sistema di accoglienza nella regione. 

"Quella di oggi – ha dichiarato Silvana Fanelli, segreteria confederale Cgil Veneto – è una ricorrenza che cade in un momento particolarmente difficile, che potrebbe indurci a derubricarla. La pandemia, invece, proprio per il suo carattere globale, dimostra come solo la cooperazione internazionale e il rispetto dei diritti universali possano farci uscire dall'emergenza sanitaria in corso, che va risolta a tutte le latitudini e non solo nei Paesi occidentali. Altrimenti, prima o poi, tornerà a farci ammalare”.

“Un'altra riflessione, che ci suggerisce quanto sta accadendo, riguarda la centralità che molti lavoratori migranti hanno nel nostro sistema sociale ed economico, centralità risultata ancor più evidente in questa fase, in particolare nell'agricoltura e nei servizi alla persona. Nonostante ciò – sono le parole della sindacalista – si continua a non voler prendere atto della realtà e a non voler adottare politiche lungimiranti, sia nell'integrazione dei cittadini migranti che vivono e lavorano nelle nostre comunità (si pensi solo al tema della cittadinanza dei bambini e dei ragazzi che frequentano le nostre scuole), sia nell'accoglienza dei richiedenti asilo. E la miopia delle posizioni pregiudiziali impedisce perfino di misurarsi con i dati oggettivi del fenomeno”.

“Qualche giorno fa – ha detto Silvana Fanelli – il comitato #IOACCOLGO del Veneto ha organizzato un seminario sul tema, partendo da una ricerca della Fondazione Moressa sull'accoglienza in Italia e nella nostra Regione. La prima verità che emerge è che non c'è l'invasione che tanti denunciano. Se consideriamo solo gli sbarchi, siamo passati dalla punta massima raggiunta nel 2016 con 181.000 arrivi ai 33.000 del 2020”.

“Il secondo elemento, che conferma questa tendenza, è il calo dei permessi di soggiorno: dai 590.000 del 2010 agli attuali 176.000. La riduzione è ancora più drastica per gli ingressi per lavoro, scesi del 97%: da 360.000 a 11.000. E questo nonostante, come dicevo sopra, la necessità di lavoratori in diversi settori del nostro tessuto produttivo. Venendo, più specificamente, al sistema dell'accoglienza del nostro territorio, a una riduzione delle presenze in Veneto (meno 65% negli ultimi tre anni: dai 13.611 del 2017 ai 4.816 del 2020), c'è una nettissima prevalenza delle grandi concentrazioni (CAS, 87%), rispetto all'accoglienza diffusa (Sprar / Siproimi, 13%). Solo quest'ultima però è in grado di favorire un inserimento nel mondo del lavoro. Mentre le grandi concentrazioni ammassano tantissime persone in condizioni al limite del rispetto dei più elementari diritti umani, alimentando così i pregiudizi e le tensioni sociali verso il fenomeno migratorio, e creando grandi disagi alle comunità ospitanti”. 

“Le persone ospitate nei CAS – si legge nella dichiarazione della sindacalista – sono, oltretutto, le prime vittime del lavoro irregolare e sottopagato, che fatica ad emergere anche quando vengono previste sanatorie, come quella stabilita dal recente art. 103 del decreto legge 34/2020. Questa sanatoria ha prodotto infatti un numero di regolarizzazioni molto inferiore alle previsioni, soprattutto nel settore agricolo e nel lavoro domestico del Veneto (in tutto 15.326 persone, 82% lavoro domestico e 18% agricoltura). Tutti numeri che, in questo 18 dicembre 2020, dovrebbero farci riflettere e farci impegnare ancor di più nella costruzione di una società sicura, accogliente e solidale".