Ines Bedeschi non ha neanche trent'anni quando entra nella Resistenza. È una delle staffette migliori nel comando unificato militare dell’Emilia Romagna. La sua casa è un punto di riferimento per i partigiani. A lei vengono affidate missioni importanti. Proprio durante una di queste Ines viene catturata dai nazifascisti il 23 febbraio 1945.

La tengono prigioniera e la torturano per settimane. Lei, però, non parla. E giorno dopo giorno per un mese il suo corpo viene sottoposto a sevizie e torture. “Non ho parlato e non parlerò” continua a dire. Sarà fucilata il 28 marzo 1945.

Insieme a lei vengono condannati a morte Gavino Cherchi (34 anni), insegnante e partigiano sardo, e Alceste Benoldi (36 anni), militare e partigiano. Anche i loro corpi saranno gettati nel Po e mai più ritrovati.

L’11 settembre 1968, con decreto presidenziale, le viene concessa la medaglia d’oro al Valor Militare con la seguente motivazione: “Spinta da un ardente amor di Patria, entrava all'armistizio nelle formazioni partigiane operanti nella sua zona, subito distinguendosi per elevato spirito e intelligente iniziativa. Assunti i compiti di staffetta, portava a termine le delicate missioni affidatele incurante dei rischi e pericoli cui andava incontro e della assidua sorveglianza del nemico. Scoperta, arrestata e barbaramente torturata, preferiva il supremo sacrificio anziché tradire i suoi compagni di lotta”.

Le donne nella Resistenza

Sono solo diciannove le donne italiane decorate con la medaglia d’oro al valore militare tra cui quindici alla memoria. 

“Il censimento minuto ed esatto della somma dei contributi femminili alla Resistenza - scriveva Arrigo Boldrini - è impossibile proprio per il suo carattere di massa: nel corso di quei due anni vi fu la contadina che compiva chilometri a piedi in mezzo ai blocchi nazifascisti per recare i viveri a un gruppo di partigiani; vi fu la casalinga che preparava indumenti da avviare alle bande in montagna; vi fu l’operaia che nascondeva un pezzo della macchina affidatale in fabbrica affinché i tedeschi non avessero interesse a portarla via o la produzione per loro conto venisse interrotta. Moltissime di quelle donne non chiesero mai riconoscimenti e le cronache e la storia ne ignorano persino il nome. Cosicché la pure elevata cifra di 35 mila donne insignite del titolo di partigiane combattenti non rappresenta che il contingente di punta di un grandioso esercito di collaboratrici e sostenitrici della lotta”.

“Sarà la tua partecipazione alla lotta, sempre più attiva, che ti permetterà di conquistare i diritti, non solo economici, ma anche politici i quali ti permetteranno di affiancarti all’uomo per la ricostruzione dell’Italia nella nuova costituente, nella nuova democrazia progressiva”, recitava un volantino diffuso dal Comitato provinciale modenese dei Gruppi di Difesa della Donna il 3 aprile 1945.

Non sbagliava.

Le donne nel dopoguerra

Chiusa finalmente la triste parentesi fascista, il decreto legislativo luogotenenziale 1 febbraio 1945 n. 23 “concederà” alle maggiorenni di 21 anni il diritto di voto attivo, mentre il decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74 concederà alle donne maggiori di 25 anni il diritto di voto passivo.

“Un diritto che venne riconosciuto in extremis nell’ultimo giorno utile per la composizione delle liste elettorali, alla fine del gennaio ’45 - dirà Marisa Cinciari Rodano in occasione della presentazione del libro Le donne della Costituente per la celebrazione del 60° della Costituzione (Roma, 31 maggio 2007) - ma che non fu, come taluno sostiene, una benevola concessione, ma il doveroso riconoscimento del contributo determinante che le donne, con le armi in pugno e soprattutto con una diffusa azione di massa, di sostegno alla Resistenza, avevano dato alla liberazione del Paese”.