Breve quanto prezioso, dati i tempi, questo libro di Fausto Durante dal titolo Lavorare meno, vivere meglio, nella collana saggi di Futura editrice (pp. 104, euro 12). Come l’autore specifica nel sottotitolo, i suoi sono appunti raccolti intorno al tema della riduzione dell’orario di lavoro “per una società migliore e una diversa economia”; e qui c’è il nodo da legare al motivo per cui conviene mantenere questo tascabile sempre a portata di mano.

Le nuove tecnologie, strettamente connesse a quel “capitalismo delle piattaforme” di cui tanto si discute, secondo alcuni hanno in un certo senso messo in archivio la questione riguardante il rapporto ore di lavoro-salario, forti di un sistema produttivo ormai sempre più indirizzato verso diverse tipologie di flessibilità, in particolare determinate dall’enorme diffusione del fenomeno dello smart-working, accelerato in maniera dirompente da questo biennio di pandemia. Ma nei fatti, nella vita quotidiana di milioni di lavoratori, la realtà è ben diversa.

Già nel primo dei cinque capitoli Durante, dal 2019 coordinatore della Consulta Industriale della Cgil, ricorda come la riduzione dell’orario di lavoro sia argomento di stringente attualità, non fosse altro perché oggi, forse per la prima volta nella nostra storia in maniera così evidente, ci troviamo di fronte al rischio che "gli effetti potenzialmente positivi della nuova grande rivoluzione industriale, una rivoluzione in corso e che tutti noi stiamo già vivendo, si determinino solo per uno dei soggetti protagonisti, cioè l’impresa”.

 

A pelle, sulla nostra pelle, l’impressione infatti sembra essere proprio questa, vale a dire che la flessibilità ritrovata in questi anni Venti di nuovo secolo, una flessibilità di cui a partire dalla fine dello scorso si erano perdute le tracce in virtù della sua camaleontica trasformazione nel precariato più selvaggio, somigli ogni giorno di più a un diverso modello di sfruttamento del lavoro: più sofisticato, poco visibile, non per questo meno pericoloso. E ingiusto.

Nel capitolo successivo, attraverso l’analisi di numeri che riguardano Stati Uniti e gran parte dei Paesi europei, Italia compresa, toccando anche Canada, Australia, Nuova Zelanda e Giappone, emerge un dato inequivocabile: all’intensificazione dei ritmi e della durata della prestazione lavorativa si accompagna un pressoché totale e generale immobilismo sulla riduzione dell’orario di lavoro, ferma ormai da oltre quarant’anni, con la conseguenza di un costante spostamento della distribuzione della ricchezza prodotta dal lavoro verso il capitale. E seppure esistono tentativi di intervenire in questa direzione, come indicano le 35 ore settimanali in Francia e le battaglie sulla contrattazione dei metalmeccanici in Germania, la tendenza rimane dominante.

Come uscirne? Dopo aver proposto al lettore due studi figli del periodo Covid, uno sul rapporto tra lavoro da casa e produttività, l’altro basato sull’esempio virtuoso della settimana corta in Islanda, tra i meriti del volume c’è anche la sua “possibile conclusione”, nella quale Fausto Durante sostiene come sia arrivato il tempo di “rilanciare la battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro, è tempo che la sinistra ritorni a occuparsi del lavoro e delle condizioni materiali di chi lavora, è tempo che il sindacato riprenda nelle sue mani una delle bandiere ideali degli albori del movimento operaio, cioè quella di lavorare meno per lavorare tutti e meglio”. Anche perché, aggiungiamo, se si vive meglio (il titolo lo ricorda opportunamente), trovando un equilibrio tra occupazione professionale e vita privata, molto probabile che si lavori anche meglio.   

Come scrive il segretario generale Maurizio Landini nelle righe che chiudono la sua prefazione, il libro arriva proprio a ridosso dei giorni dell’Assemblea Organizzativa (e nell’anno del Congresso della Confederazione), durante la quale temi come questi, se si vuole operare in direzione di un concreto cambiamento, dovranno essere affrontati a viso aperto, avanzando proposte che contemplino soluzioni in tempi rapidi.

Il tecno-capitalismo corre all’impazzata.  

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