È il 3 luglio 1995 quando Alex Langer decide di "andarsene più disperato che mai". L'hanno definita una morte per amarezza la sua che si consuma a Pian dei Giullari a Firenze: i piedi nudi, un albicocco e un nodo scorsoio. "I pesi - scrive il quarantanovenne presidente del gruppo europarlamentare dei Verdi - mi sono divenuti davvero insostenibili, non ce la faccio più. (...) Non siate tristi. Continuate in ciò che era giusto". Alle spalle Langer si lascia una vita vissuta nell'impegno politico, con la passione come spirito e il dialogo come missione. 

Sangue misto quello di Alex Langer, nato a Vipiteno da un medico viennese e da una farmacista altoatesina. La sua è una famiglia progressista, borghese, laica (il padre è ebreo ma non praticante), lui si definirà un cattolico autodidatta. Dopo l'asilo italiano e la scuola tedesca, i genitori lo iscrivono al liceo francescano a Bolzano. Si racconta che, a un certo punto della sua giovane esistenza, volesse addirittura prendere i voti. Negli anni dell'università a Firenze si confronta con personalità cattoliche come quelle di padre Ernesto Balducci, Giorgio La Pira e don Lorenzo Milani. Sarà Langer a tradurre in tedesco la sua Lettera a una professoressa e la scuola di Barbiana lo ispirerà quando, anni più tardi, si troverà a insegnare lettere e filosofia ai ragazzi della periferia romana. 

In realtà Langer, però, abbraccia un'altra fede, quella comunista, aderendo a Lotta Continua e dirigendone il quotidiano.  Nel 1978 per le elezioni provinciali a Bolzano forma la lista Neue Link - Nuova Sinistra mentre, negli anni a seguire, è tra i fondatori della Federazione dei Verdi. Langer fa dell'attenzione agli ultimi, dello scambio e della pace tra popoli e del rispetto dell'ambiente le sue bandiere. La sua è un'esistenza fatta di incontri, esperienze, viaggi, studi minuziosi e lotte tenaci. 

Pensiamo un tema di oggi, Langer lo aveva già pensato: l'emergenza ecologica e climatica, la fame nel mondo, la necessità di un nuovo modello di sviluppo, quella di "attraversare le frontiere", "saltare i muri" e costruire ponti tra popoli e culture. Non ama le caselle Langer né tantomeno le gabbie che siano etniche o mentali.  Per questo, nel suo piccolo, ha sempre rifiutato di rispondere a una domanda apparentemente semplice come "Sei italiano o tedesco?": l'identità è un diritto da tutelare non una prigione nè un limite invalicabile.

Dopo aver girato il mondo - Messico, India, Amazzonia, ... - il punto di non ritorno per Alex Langer è in Jugoslavia lungo i confini bosniaci, nelle città assediate di Sarajevo, Vukovar, Srebrenica, nelle città dove si muore per strada senza un motivo. Il 25 maggio 1995 a Tuzla una granata colpisce un gruppo di ragazzi che hanno osato sfidare la guerra: stanno celebrando la festa della gioventù, una festa che non piace ai nazionalisti ma che loro amano.  240 feriti, settantuno morti, Vengono sepolti in un unico luogo senza fare distinzioni tra etnie. Ma quell'uccisione di massa segna per Langer una cesura: le speranze di una risoluzione pacifica del conflitto svaniscono.

Langer invoca l'intervento armato da parte della Nato. Scoppiano le polemiche, alcuni - anche all'interno del suo partito - lo accusano di tradimento. Il sindaco di Tuzla Selin Beslagic spedisce a Langer perché lo legga a Strasburgo lo stesso testo che ha inviato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: "Se restate in silenzio, se anche dopo questo non agite con la forza come unico mezzo legale (...) allora senza dubbio alcuno voi eravate e restate dalla parte del male, del buio e del fascismo". Poche settimane dopo a Firenze Alex Langer si sfilerà le scarpe, avvolgerà una corda a un ramo di albicocco e si lascerà andare. Passeranno otto giorni ancora e poi arriverà il massacro di Srebrenica.