Il 2021 doveva essere l’anno dei cambiamenti per la salvaguardia dell’ambiente. L’aumento delle temperature e della frequenza delle ondate di calore, l’incremento delle precipitazioni intense, la fusione dei ghiacci e l’innalzamento del livello del mare vanno nella direzione attesa dai climatologi, alla velocità più o meno preventivata. A questi fenomeni si è aggiusta l’inaspettata vastità degli incendi. Per questo lo scorso anno doveva essere cruciale, appunto, per la lotta al riscaldamento globale. E invece si è fatto ben poco. Ecco perché il 2022 diventa fondamentale.

“Dobbiamo agire e farlo in fretta, sgombrando il campo dalle ambiguità – afferma Gianna Fracassi, vicesegretaria generale della Cgil - o dai tentativi di distrarre dai traguardi, a cui abbiamo assistito in queste settimane, durante le quali sono state tirate in ballo ipotesi lontane nel tempo o poco rilevanti rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione. Mi riferisco in particolare al nucleare e al dibattito che ne è seguito. Riaprire questa discussione significa non tenere conto, oltre che delle decisioni attraverso i referendum, dell’emergenza climatica in atto e delle necessità del nostro Paese: per costruire una nuova centrale occorrono almeno 15 anni, periodo che ci porta fuori dagli obiettivi fissati al 2030, senza contare che almeno in Italia non abbiamo ancora definito il luogo dove smaltire le scorie”.

Nella bozza dell’atto delegato complementare della Commissione europea sulla tassonomia, la normativa dell’Unione che stabilisce quali attività economiche e fonti di energia possono essere definite “green” nel processo di transizione ecologica, gas e nucleare vengono inclusi nella lista di attività che danno un sostanziale contributo alla riduzione dei cambiamenti climatici, nonostante il parere contrario dei tecnici e di alcuni Stati membri.

“Questa decisione dell’Europa (che verrà adottata dopo il 21 gennaio, ndr) trovo che sia contraddittoria – prosegue Fracassi -, o quanto meno in conflitto con il Next Generation, ed è frutto di compromessi politici. Ma in Italia lo sguardo rispetto alla transizione deve essere complessivo, abbiamo bisogno di una pluralità di interventi. Da un lato abbiamo la necessità di spingere molto sul terreno dell’innovazione e della riconversione ecologica delle produzioni e di dare un significato a che cosa vuol dire giusta transizione nel nostro Paese, dall’altro occorre fare una scelta molto netta sul terreno della decarbonizzazione e del contrasto al cambiamento climatico, a partire dagli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza”.

E in effetti l’Italia vanta straordinarie ricchezze energetiche su cui investire: il sole e il vento, quindi il fotovoltaico e l’eolico, e poi l’idroelettrico e la geotermia, tutti settori che da più parti si spinge affinché vengano potenziati. “La bussola per le scelte è coniugare lavoro e sostenibilità ambientale – riprende la sindacalista -. Se c’è un terreno che manca in Italia rispetto al Pnrr è proprio questo: il sostegno alle filiere collegate ai processi di riconversione verde. Nella condizione complicata che stiamo vivendo rischiamo di perdere di vista questo elemento fondamentale”.

Mentre in tutto il mondo l’industria delle rinnovabili sta affrontando alcune delle sue sfide più significative nel breve termine, con 227 gigawatt di nuova potenza installata negli ultimi 12 mesi e parecchi progetti messi in cantiere da parte di governi e aziende, complici anche gli impegni verso l’obiettivo zero emissioni di CO2 presi alla Conferenza sul clima Cop26 di Glasgow, da noi ancora si fatica a tradurre in scelte il percorso della transizione. “Dobbiamo dare gambe industriali e ancora non ci siamo – prosegue Gianna Fracassi -. I terreni su cui lavorare sono tanti: un nuovo modello di mobilità sostenibile, la riconversione energetica, con le rinnovabili che devono fare la parte del leone perché le tecnologie sono mature e a basso costo, l’economia circolare, ambito quest’ultimo in cui siamo un’eccellenza in Europa, mentre nel Pnrr si investe pochissimo e solo sul settore dei rifiuti. E poi c’è l’efficienza energetica, una strada che va perseguita anche con strumenti strutturali”.

In questo quadro complesso si inserisce un elemento ancora più importante, quello del lavoro. “Se non lo tuteli, inevitabilmente si apre una contrapposizione tra le scelte di natura ambientale o comunque legate alla decarbonizzazione, e il lavoro - continua la vicesegretaria generale della Cgil -. Per questo c’è bisogno di un confronto serio, trasparente, serrato tra tutti i soggetti: è uno straordinario passaggio che necessita di straordinari strumenti”. I processi di cambiamento delle produzioni richiederanno quindi più formazione, maggiore riqualificazione e anche garanzie per i lavoratori.

Gli esempi già ci sono. Prendiamo il caso di Civitavecchia, dove c’è un progetto complessivo che prevede oltre a un parco eolico off shore, la valorizzazione del porto e dell’indotto manifatturiero, progetto condiviso da sindacati, associazioni ambientaliste, imprenditori, istituzioni locali e regionali, e che potrebbe essere nel giro di qualche mese discusso con il ministero della Transizione ecologica. “Il ruolo del sindacato è centrale quale soggetto che agisce sul versante contrattuale, per lo sviluppo e territoriale e della contrattazione collettiva, e nel rapporto con il territorio”.

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“La transizione green ha bisogno di politiche economiche, sociali e fiscali attraverso investimenti straordinari come il Next Generation Eu – conclude Fracassi -, che auspichiamo diventi almeno decennale, ma anche di risorse ordinarie. Per questo sarà importante la discussione che si aprirà sul Patto di stabilità e crescita a livello europeo. Farà la differenza per un Paese come il nostro di mettere in campo politiche espansive per accompagnare questa fase. Ma i processi che ci attendono devono essere governati, devono cioè avere un interprete, un protagonista principale che ricopra la funzione di coordinamento e di governance, e di intervento diretto in alcune situazioni. Ruolo che potrà essere svolto solo ed esclusivamente dallo Stato e non dal mercato”.