Il Mezzogiorno è la Grecia d’Italia: se il paese ellenico dal 2000 al 2013 è cresciuto del 24%, il nostro Sud si è fermato al 13%, contro il 53,6% che rappresenta la media dell’Europa a 28. Questa è la tragica fotografia che emerge dalle anticipazioni del Rapporto Svimez 2015 sull’economia delle regioni meridionali. Scenario nero anche sul fronte del lavoro: “Il numero degli occupati nel Mezzogiorno, ancora in calo nel 2014, arriva a 5,8 milioni, il livello più basso dal 1977, anno di inizio delle serie storiche Istat”, mentre negli anni di crisi 2008-2014 i consumi delle famiglie meridionali sono crollati quasi del 13% e gli investimenti nell’industria in senso stretto addirittura del 59%. Ma il divario tra Nord e Sud è ancora più impressionante quando si considerano le retribuzioni: nel 2014 quasi il 62% dei meridionali guadagna meno di 12 mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord.

La “green economy” come risorsa. Secondo la Svimez, “il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che l’assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all’area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente”. Ma il Mezzogiorno ha delle grandi potenzialità di crescita nei settori delle nuove tecnologie energetiche e più in generale nelle attività legate alla green economy, che sono in forte espansione e sono caratterizzate da un notevole dinamismo tecnologico e industriale a livello mondiale. Per un’area in ritardo di sviluppo si tratta di un’ottima occasione per entrare in nuovi settori emergenti non ancora consolidati e per diventare essa stessa un luogo di localizzazione di produzioni che hanno un alto contenuto di ricerca e di innovazione.

Il Mezzogiorno infatti dispone di una rete universitaria di alto livello con dipartimenti specializzati in aree scientifiche che possono ben raccordarsi ai settori dell’industria ambientale: nel suo territorio sono presenti 35 strutture universitarie che operano in comparti scientifico-tecnologici, pari a oltre il 25% del totale nazionale. Non solo. Sono presenti nel Sud anche importanti centri del Cnr e dell’Enea che svolgono attività di ricerca e sviluppo nei settori dell’efficienza e delle nuove tecnologie energetiche e dei nuovi materiali. Una situazione che rappresenta un terreno assai favorevole per gli spin-off della ricerca pubblica e più in generale per la nascita e la crescita di imprese innovative.

Lo sviluppo della green economy, oltre a permettere di ridurre le importazioni di combustibili fossili, l’inquinamento e le emissioni di anidride carbonica, costituisce una grande opportunità per promuovere la crescita dell’economia meridionale. Ciò vale per la produzione di nuovi beni, per la nascita di imprese in settori innovativi, per una riconversione industriale volta a innalzare l’efficienza energetica dei processi produttivi, a ridurre la produzione di rifiuti, a usare in modo più efficiente acqua, materie prime e prodotti intermedi, a utilizzare materiali a minore impatto ambientale, a riciclare gli scarti della lavorazione.

La green economy – oltre a migliorare la qualità dell’ambiente e l’accoglienza del territorio e, quindi, consentire di aumentare l’attrattività turistica delle regioni meridionali – può dunque avere sviluppi interessanti, sia per quel che riguarda le innovazioni di prodotti esistenti e il miglioramento dei processi produttivi, sia per la progettazione di nuovi prodotti ad alto contenuto di innovazione e quindi per la crescita di nuovi settori di attività, sia per lo spostamento di settori tradizionali verso nuove produzioni. Più precisamente, esistono grandi margini di miglioramento in termini di efficienza energetica e di riduzione dell’impatto ambientale in prodotti esistenti, a partire dall’automobile, dai mezzi navali, dagli elettrodomestici, dai motori elettrici per l’industria, dai prodotti in metallo, nei processi produttivi dei settori ad alta intensità di energia (come la metallurgia e la petrolchimica), nei settori del made in Italy.

La debolezza delle regioni e delle imprese meridionali. Forti criticità hanno impedito al Mezzogiorno di utilizzare al meglio le risorse finanziarie nazionali ed europee e di realizzare al massimo le potenzialità di crescita di cui dispone. In linea generale, si è parlato dell’assenza di una “strategia unitaria” della politica di coesione, che non ha dato coerenza e continuità alla realizzazione degli interventi e di un’eccessiva frammentazione di tali interventi. Un fattore negativo di particolare importanza è derivato dalla bassa qualità delle infrastrutture che affligge le regioni del Sud, che scoraggia l’insediamento di imprese multinazionali, oltre che la nascita e lo sviluppo delle imprese locali, e quindi rende più difficile innescare processi di sviluppo industriale “dal basso”.

Nel quadro della generale debolezza infrastrutturale del Mezzogiorno, va sottolineata l’arretratezza della rete elettrica, che determina congestioni del sistema di trasmissione e interruzioni del servizio elettrico nella rete di distribuzione e non favorisce l’utilizzo diffuso delle tecnologie energetiche innovative, che sono caratterizzate da una notevole variabilità nella produzione di elettricità. A tutto ciò si aggiunga che, se è vero che le regioni meridionali spesso non sono dotate di personale qualificato in grado di valutare e di selezionare i migliori progetti tecnologici e industriali, è altrettanto vero che spesso le stesse regioni non hanno di fronte interlocutori industriali in grado di presentare progetti di una certa consistenza.

Linee di intervento. Per promuovere lo sviluppo di un’economia ecologica occorre un’azione politica su vari livelli: industriale, infrastrutturale e di governance. Le regioni meridionali non devono essere lasciate sole nella gestione dei fondi europei e nei rapporti con l’industria, ma dovrebbero essere affiancate dal governo centrale, il quale potrebbe utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione, a partire dalle grandi imprese, che hanno i mezzi tecnologici e le risorse finanziarie per lanciare grandi progetti d’investimento in grado di esercitare un’azione trainante sul tessuto produttivo locale.

In tale contesto, andrebbero maggiormente coinvolte le grandi imprese di cui lo Stato detiene ancora la maggioranza relativa del capitale, dall’Eni all’Enel, da Terna a Finmeccanica, a cui si dovrebbero aggiungere le aziende municipalizzate controllate dai Comuni. In particolare, sembrerebbe necessario che Eni ed Enel, società con elevati profitti, aumentassero le spese in ricerca e sviluppo, che attualmente si collocano su una quota inferiore allo 0,2 % del fatturato, e potenziassero gli investimenti sul territorio. Grandi imprese private potrebbero essere attratte invece mettendo a punto una vera fiscalità di vantaggio, intesa come fiscalità differenziata a favore delle regioni meridionali nel loro complesso, anche ai fini di stimolare la nascita, la crescita e l’aggregazione di piccole e medie imprese.