Non è mai corretto utilizzare i numeri per fini propagandistici, né quando essi sono negativi, né quando lo sono leggermente meno. Il balletto sull’andamento dell’economia al Sud, e i dati su occupazione e disoccupazione, conoscono ormai prima una “febbre del sabato sera” e, successivamente, una lieve ripresa dopo una “tachipirina”. E invece noi continuiamo a ribadire che occorre prudenza, in linea con quanto detto nella straordinaria cornice di LaboratorioSud a settembre, laddove la Cgil ha iniziato a delineare, in attesa dell’annunciato Masterplan, alcune delle linee guida strategiche per rilanciare l’economia e il lavoro in un Mezzogiorno ancora in difficoltà, in cui suscitano interesse i timidi segnali di “crescita zero” ma per i quali è bene continuare a tenere desta l’attenzione di istituzioni e formazioni politiche. Non è con i toni propagandistici che si rilanciano l’economia e l’industria, ma con chiare politiche di sostegno e investimenti.

Le anticipazioni Svimez del luglio scorso rappresentavano un quadro a consuntivo del 2014 che vedeva il Sud ai livelli della vicina Grecia. Il dato è quello e non si discute. Le previsioni al rialzo per il 2016, che in queste ore parlano di una crescita vicina allo zero, sono gli stessi numeri che ci consigliavano prudenza e circospezione. A maggior ragione se, andando un po’ oltre i 140 caratteri, la ripartenza vede ancora un Pil sostanzialmente trainato dal Nord del paese, concentrato per il 70% in quell’area, in verità già sostanzialmente migliorato al Sud rispetto alla pessima performance del 2013 (-2,7% a fronte di un -1,3% del 2014), con un dato cumulato nel settennio della crisi pari a meno 13 punti percentuali a fronte del -7,4% del Centro-Nord.

Siamo sempre al tema dei temi, il divario: se il Nord cresce o decresce, il Sud non cresce o decresce sempre di più. Dentro ai numeri bisogna constatare che nel secondo trimestre 2015 continua a flettere il dato dell’occupazione al Sud per l’industria in senso stretto (-1,9% rispetto allo stesso periodo del 2014). Nei prossimi giorni saranno resi noti i dati Istat relativi all’occupazione del mese di settembre e dunque sarà interessante quel dato.

Senza facili entusiasmi bisogna guardare ai numeri della Basilicata, fanalino di coda negli anni della crisi (2008-2014), che mostra negli ultimi mesi una controtendenza riferita ai dati occupazionali sull’industria (qualitativamente da verificare), prevedibilmente per effetto Fca. La stessa Fca trainerebbe l’export della Basilicata e del Mezzogiorno. Non si spiegherebbe altrimenti neppure il dato Inps, ad agosto del 2015, che nel computare l’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato (più corretto parlare di tutele crescenti) veda il Sud fortemente mortificato a vantaggio delle regioni del Nord, e una Basilicata invece spiccare tra queste ultime.

Il lavoro cambia pelle in Basilicata: con un fortissimo aumento legato ai servizi, un sostanziale pareggio nelle costruzioni rispetto al secondo trimestre del 2014 (settore che ha sofferto una crisi lunghissima e strutturale), un sensibile calo nell’agricoltura. Un lavoro che si polarizza ma che ancora necessita di una profondissima diversificazione, di interventi mirati, di sostegno alle Pmio e di una complessiva crescita qualitativa del sistema produttivo regionale. Urgente, anche, affrontare il tema Neet in tutto il Mezzogiorno e in Italia.

Con altrettanta serietà va detto che la decontribuzione per le assunzioni è stata coperta con risorse destinate al Mezzogiorno e che, pertanto, non può bastare la mera dinamica statistica di un traino localizzato a Melfi per ripagare il Sud di mancati investimenti, mancate infrastrutture e interventi più orientati a creare le condizioni strutturali per un’economia oltre la crisi. Gli stessi annunci sulla legge di stabilità, le promesse di riduzione dell’Ires, non colgono l’obiettivo di una traiettoria e di una strategia complessiva, di crescita di una moderna industria meridionale, continuando ad avvantaggiare aree a discapito di altre, con il Sud che rischia di conoscere solo i picchi congiunturali.

Infine, non secondario, bisogna guardare alle cose che accadono, proporre idee, investire in ricerca e innovazione. E dunque altri due temi incrociano il destino del Sud: le infrastrutture e il rapporto, della Basilicata in primis, con l’energia. A questo proposito giova sottolineare l’importante contributo che questa regione garantisce al paese, alla bolletta energetica e alle imprese localizzate al Nord, a fronte del quale non si evidenzia ancora una strategia di innovazione e di rilancio industriale legato al settore, all’aggancio di nuovi modelli produttivi ed energetici e a una logica di posizionamento strategico dell’area nella cornice mediterranea.

In un Paese che fatica a trovare un assetto istituzionale stabile e chiaro (un corretto rapporto centro-territori), non può passare in secondo piano una strategia che veda nell’Europa, e nella formazione di un’area economica meridional-mediterranea, un asse prioritario delle politiche di sviluppo. In questa stessa cornice il ruolo dell’università lucana non può basarsi su un periodico ristoro dalle attività estrattive, ma deve agganciare la sfida mediante l’istituzione di corsi e di linee di ricerca relative all’ingegneria energetica, per traguardare il lavoro da un ambito settoriale a un più moderno complesso energetico-ambientale.

*Segretario generale Cgil Basilicata