Il negazionismo si sconfigge con la ricerca storica. Non basta la memoria, non serve una legge per punire chi nega la Shoah: la ricetta migliore è la ricerca e divulgazione dei fatti, con lo scopo di garantire un ricordo del genocidio autentico, reale e senza schieramenti. In occasione della Giornata della Memoria 2011, è questo il messaggio che arriva dal convegno "La Shoah e la sua negazione. Il futuro della memoria in Italia", organizzato a Roma dall'associazione di cultura ebraica Hans Jonas. A lanciare la riflessione è Simon Levis Sullam, storico e professore di Oxford, tra i curatori de "La Storia della Shoah in Italia", pubblicato in due volumi dalla casa editrice Utet.

L'opera si concentra sulla persecuzione degli ebrei sul territorio italiano, dalla svolta antisemita del fascismo al ruolo della Chiesa cattolica che ai vertici rimase in silenzio. Nella seconda parte affronta la rielaborazione della Shoah fino ai giorni nostri, passando attraverso le espressioni artistiche, cinematografiche e televisive che lo riguardano. I testi, spiegano i curatori, analizzano anche il fenomeno della massificazione e banalizzazione della memoria. Ovvero il rischio che le giornate della memoria risultino rituali, incapaci di scuotere davvero le coscienze.

Nell'incontro dell'associazione, Levis Sullam ha commentato la proposta del presidente della Comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici: istituire in Italia una legge contro il negazionismo. Un'ipotesi che però non convince lo studioso: "La Storia non è un oggetto giuridico – ha affermato -, non appartiene al Parlamento il compito di definire la verità. Si rischia di fare una legge che può colpire la libertà di opinione". L'orrore della Shoah è una verità condivisa, tranne pochi estremisti senza cittadinanza nella comunità storica; alcuni Stati autoritari, però, in altri periodi potrebbero imporre verità non riconosciute da tutti. "In questo modo la Cina ha cancellato il massacro di Piazza Tiananmen", ha rilevato Levis Sullam sottolineando i pericoli di tale impostazione.

L'altro punto principale è il trattamento da riservare ai negazionisti: "Si possono smascherare i procedimenti che usano – a suo avviso – ma non si deve parlare con loro, non bisogna dialogare perché il mondo degli storici non li riconosce". In generale, il convegno dell'associazione ebraica è stata anche l'occasione per riflettere sul fenomeno del negazionismo che ha investito tutto il secolo scorso. Non solo per la tragedia degli ebrei: tanti popoli colpiti, dagli italiani d'Istria fino agli armeni e ai curdi, chiedono di rispettare la loro memoria. "La negazione degli stermini di massa esisteva prima e continuerà dopo il nazismo – così il professore -, ma la Shoah è diventata un simbolo: già nel corso del conflitto i nazisti usavano procedimenti retorici per sminuire gli eventi, come l'espressione 'soluzione finale'. Insomma, l'oblio è stato innescato proprio dagli autori del genocidio".

E oggi come si può ricordare la Shoah? Bisogna uscire dalla "metafisica dell"identità", questa la risposta. Da una parte il nostro Paese deve riconoscere pienamente le sue responsabilità nella persecuzione degli ebrei, a partire dall'approvazione delle leggi razziali nel 1938. "L'Italia senza colpe è un'immagine che va superata", scandisce chiaramente Levis Sullam. Dall'altra la comunità ebraica ha un ruolo centrale, che viene riassunto così dallo storico: "Gli ebrei non possono più rivendicare il primato assoluto della sofferenza nel Novecento. Oggi devono sottolineare il valore della Shoah come simbolo universale del dolore".