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“L'impressione che abbiamo avuto ieri al tavolo sulla legge di stabilità è quella di un governo rappresentato da alcuni ministri che non avevano alcun mandato per discutere di alcunché. E' stata una sorta di presa d'atto, probabilmente anche una perdita di tempo. Ci ha pensato Renzi nel pomeriggio a chiarire che cosa intendeva: è stato poco più di un atto di cortesia”. A raccontarlo ai microfoni di Italia Parla, su RadioArticolo1, è Fabrizio Solari, segretario nazionale Cgil.
“E' evidente che in questo modo non si va da nessuna parte - continua Solari - ed è anche evidente che questo comportamento non trova riscontro in una realtà del paese che invece è sempre più drammatica e incide sulla vita di milioni di persone. Credo che ci vorrebbe, al di là delle posizioni politiche e delle reciproche convinzioni, un atteggiamento un po' più rispettoso nei confronti di chi rappresenta degli interessi legittimi, che dovrebbero essere quantomeno tenuti in considerazione”.
Intanto il lavoro è sempre più in crisi. “Sta succedendo qualcosa di preoccupante - afferma ancora il segretario nazionale Cgil - perché sta passando l'idea propagandata dal governo, e presente nel Jobs Act e nella legge di stabilità, che non si possono mantenere posti di lavoro artificiali quando c'è crisi. E che sostanzialmente quello che si deve fare è licenziare per poi creare una rete di salvaguardia gestita dallo stato. Non è una cosa nuovissima, si chiama flexicurity. Il problema è che per fare la flexicurity in un paese come il nostro servono alcune decine di miliardi. Se il governo pensa di affrontarla con uno stanziamento intorno ai due miliardi, noi siamo di fronte non alla flexicurity ma alla flessibilità senza sicurezza. Cioè resta l'ideologia dell'interruzione del rapporto di lavoro in conseguenza di cause aziendali, ma senza nessuna rete di protezione per i lavoratori”.
Ma l'Italia finora ha perso un quarto della sua produzione industriale. E' questo, secondo Solari, “il problema dei problemi”. Ed anche in questo caso c'è “una distanza enorme tra i propositi del governo, la legge di stabilità e la realtà”. “Noi abbiamo perso capacità industriale non perché avevamo un costo del lavoro elevato. L'Italia, in realtà, ha un costo del lavoro più basso di quello francese o tedesco, e non ha neppure un cuneo fiscale particolarmente elevato. Il problema sta nella scarsa produttività del lavoro in Italia, un fenomeno che ha riguardato gli ultimi 20 anni, non solo la crisi più recente. Il governo pensa soltanto a trasmettere l'illusione che si possa competere abbattendo un pochino il costo del lavoro, anche se il problema non è mai stato il costo del lavoro ma gli investimenti che mancano, l'innovazione che manca”.
Invece, conclude il dirigente sindacale, per guardare al domani “bisogna investire. Fare politica industriale in maniera attiva e lungimirante. Sto parlando dell'innovazione dei processi e dei prodotti, del fatto che la specializzazione produttiva del nostro paese non può rimanere vicina a quella delle cosiddette economie emergenti. Deve specializzarsi in alto, altrimenti non c'è la possibilità di competere. E' un atteggiamento generale che deve riguardare tutto, dalla pubblica amministrazione e dalla sua riforma fino all'industria e ai servizi. Naturalmente queste cose non avvengono da sole, non ci sono in natura, non è il mercato che le garantisce. E' esattamente questo il ruolo di uno stato moderno: mettere in campo una serie di azioni che aiutino questo atteggiamento complessivo. Poi il mercato e gli investimenti privati possono fare il resto. Ma lo devono fare dentro un quadro di programmazione”.