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Ci risiamo. Sistematicamente, il brutto ritorna. Napoli al centro dell’attenzione mediatica per la legalità che non c’è. Non è mai una novità, ma ogni tanto c’è come un rigurgito: non c’è niente da fare, Napoli è sempre Napoli, la città di Gomorra. Adesso è il turno delle baby gang, anche questo un fenomeno non nuovo. E, lo possiamo dire?, non solo in questa città.
Si punta il dito su minori violenti, li si etichetta di volta in volta come bestie, come lupi affamati di protagonismo. L’anagrafe dice che hanno dai 10 ai 16 anni. I commentatori annotano che sono figli della marginalità, della disperazione e della rabbia, ma anche vittime della noia e dell’insicurezza. Poi ci pensa il gruppo, il branco, a trasformare il tutto in violenza.
Una violenza che non ha rapporto con la realtà e priva chi la esercita della capacità di comprendere le conseguenze delle proprie azioni. Perché accade? Chi sono veramente questi ragazzi? Sono veramente soltanto figli di genitori distratti e/o di periferie abbandonate? Quanto influisce l’impotenza della scuola e delle istituzioni? E, soprattutto, la mancanza di esempi positivi da cui trarre insegnamento?
La verità è che questi ragazzi vivono in una sorta di deserto etico, dove il denaro è l'unico parametro per misurare il successo. Perfettamente omologati. Perché se la tua risposta alla domanda “chi sei”, diventa immancabilmente “sono quello che ho”, ecco che il ciuffo, le sneakers o il giubbotto di marca diventano il senso di appartenenza al gruppo, offrono quell'identità che non riescono a trovare altrove e che esprimono in mille forme (compreso fare il pusher o assumere un comportamento violento).
Il rispetto delle norme sociali e delle regole del vivere civile? Non è un problema dei figli di una società che sempre più dà valore alla ricchezza e sempre meno al lavoro, all'onestà, alla cultura. Che fare per ripristinare un dialogo con queste generazioni che non riescono più a guardare al futuro, che hanno difficoltà a descrivere i loro progetti?
È evidente che l’azione punitiva, per quanto indispensabile, non basta. Occorre un profondo cambiamento culturale e sociale, che abbia al centro come proprio motore la cultura del lavoro, della legalità, delle differenze, perché è da qui che nasce il rispetto verso l'altro.
I punti di partenza per invertire l’ago della bussola sono sicuramente la famiglia e la scuola, è lì che si insegna ai ragazzi a pensare e a fare, e dunque ad avere rispetto di sé e degli altri. Ma la famiglia e la scuola da sole non bastano, l’altro elemento decisivo è il territorio, inteso come luogo capace di mettere a sistema le competenze e conoscenze delle persone, delle associazioni, delle istituzioni, del sindacato, insomma della parte sana della società, di donne e uomini normali che lavorano, amano e vivono con dignità.
Un network sociale in grado di diffondere le buone pratiche, di parlare non solo con le parole, ma anche con i fatti ai ragazzi, di motivarli, di aiutarli a diventare gli uomini e le donne di domani. Solo se la narrazione diventa positiva, se a vincere ogni tanto è anche il buono, se a prevalere è il coraggio di allontanarsi dall'oscurità, di scommettere sulla bellezza, sulla cultura, sul lavoro, sulla voglia di farcela, allora sì, potremo sperare nel cambiamento.
Un cambiamento che ha necessariamente bisogno di un nuovo protagonismo di questi ragazzi. C'è bisogno che queste nuove e confuse generazioni comprendano che devono pretendere di più dal mondo in cui vivono, che il territorio in cui cresceranno ha bisogno di un sussulto e che sono loro gli unici attori realmente in grado di trasformare la realtà. È prima di tutto la loro battaglia di civiltà. Per vincerla, devono essere capaci di chiedere di più anche a se stessi.
Reti, territorio, legalità, lavoro, socialità: sono queste le parole chiave che devono accompagnare il fare quotidiano di una grande città come Napoli, delle donne, degli uomini, delle organizzazione e delle istituzioni che la vivono e la popolano. Non è facile. Non è facile a Napoli, non è facile in Italia e non è facile in Europa e nel mondo. Il vento sembra girare dappertutto in direzione contraria.
La consapevolezza che non è facile non può però fermarci, e naturalmente anche come Cgil di Napoli intendiamo mettere in campo idee, iniziative e tavoli di confronto che consentano di fare qualche passo avanti anche su questo terreno. Cominceremo a breve con un ciclo di incontri-confronti che vedranno come protagonisti i diversi attori territoriali che in questa città sono soggetti agenti di buone pratiche. Intendiamo costuire il futuro con le parole e con i fatti, un alfabeto delle parole e delle azioni a partire dalla lettera elle, L di Legalità e di Lavoro.
La Napoli che ci piace è quella dove la legalità è un bene pubblico e il rispetto delle regole è un valore. Intendiamo farlo adesso, e farlo presto, perché i ragazzi diventano presto adulti. Sì, è difficile, ma insieme si può, e in questo la Cgil non può che essere in prima fila.
Cinzia Massa è componente della segreteria della Camera del lavoro metropolitana di Napoli