I semestri di presidenza del Consiglio dei ministri dell’Unione europea non sono tutti uguali: ve ne sono di dinamici e di scialbi, di più innovativi e di meno brillanti. Certo, il loro impatto è stato ridimensionato dal fatto che non includono più la direzione del Consiglio europeo, affidata a un presidente permanente. Ma la loro influenza può essere rilevante, se il paese che a turno è chiamato a ricoprire questo ruolo è in grado di intervenire con efficacia sui temi al centro dell’agenda europea.

E non vi è dubbio alcuno che il governo di Matteo Renzi
abbia intenzione di incidere in profondità sulle politiche dell’Ue, in modo tale da consentire all’Unione stessa di presentarsi ai suoi cittadini come un’entità che non ha dimenticato i suoi principi fondatori di organizzazione votata allo sviluppo economico e al progresso sociale. Il margine di flessibilità conquistato dall’Italia al Consiglio europeo del 26 e 27 giugno è relativo, ma la presidenza semestrale consentirà al paese di attivarsi per il rilancio di misure e politiche comuni orientate alla crescita. Il successo o meno di questa linea di intervento dipenderà naturalmente anche dalla capacità di stringere alleanze efficaci. In questo quadro, il rapporto con la Francia si rivelerà essenziale. L’Italia, che per difendere i propri interessi ha dovuto spesso cercare il sostegno del paese d’Oltralpe, può ora sfruttare il fatto che François Hollande è pressoché obbligato ad appoggiare una presidenza italiana incisiva che aiuti a rilanciare una visione dell’Europa meno imperniata sui dogmi del rigore.

La Francia socialista è infatti all’affannosa ricerca di una via d’uscita da una situazione in cui difficoltà economiche, disagio sociale e malcontento politico suscitano preoccupazioni crescenti nei partner europei. Hollande aveva vinto le elezioni presidenziali nel 2012 con un programma di lotta alla disoccupazione che, pur in assenza di misure spettacolari come la settimana di 35 ore introdotta dal governo Jospin, prevedeva un’azione a vasto raggio. I risultati tuttavia sono stati finora deludenti. Misure come il credito di imposta per la competitività e l’occupazione, finalizzato a incentivare investimenti e assunzioni, non sono state ancora in grado di produrre una netta inversione di tendenza nella creazione di posti di lavoro. Il tasso di crescita previsto dal governo per il 2014 è dell’1 per cento, ma secondo L’Istituto nazionale di statistica si tratta di una cifra ottimistica: esso si dovrebbe attestare sullo 0,7 per cento. Non è con risultati di questa entità che François Hollande può sperare di recuperare i consensi perduti prima nei sondaggi e poi nelle elezioni.

Un vasto piano di investimenti pubblici a livello europeo potrebbe invece essere una strada nuova da percorrere, che aprirebbe vaste potenzialità di sviluppo. Non si tratterebbe di un’inversione di marcia rispetto all’indirizzo economico seguito dall’Unione negli ultimi anni, ma almeno si registrerebbe una significativa correzione di rotta. Italia e Francia potrebbero aprire un’importante breccia nella politica di stampo neoconservatore applicata in Europa con costi sociali altissimi. Un tipo di interventi che potrebbero contribuire a rilanciare la prospettiva di un riformismo a livello europeo, su cui negli ultimi anni non si è avuto un adeguato sforzo di riflessione. Il tema, in questo caso, non investe solo la collaborazione tra Francia e Italia sul piano governativo, ma coinvolge l’identità politica del Partito del socialismo europeo.

L’ingresso del Pd nella famiglia politica socialista costituisce una risorsa importante che può contribuire a incentivare, durante il semestre italiano di presidenza, lo sviluppo di un impianto programmatico comune. La dimensione sovranazionale è uscita vittoriosa dal confronto sulla scelta del presidente della Commissione. In altri momenti della storia europea, David Cameron avrebbe potuto contare su appoggi ben più potenti di quello di Orban per bloccare l’aspirazione del Parlamento europeo ad assumere un ruolo di primo piano nel sistema istituzionale dell’Unione. Il Partito democratico non dovrebbe perdere l’occasione di rafforzare in questi sei mesi i legami con le altre forze del Pse. E anche a questo livello si potrebbe sviluppare una proficua collaborazione fra Italia e Francia.

Esiste del resto una tradizione storica di europeismo socialista che andrebbe valorizzata. Già negli anni della prima Comunità europea, la Ceca fondata da Jean Monnet, il gruppo socialista presente nell’assemblea parlamentare comunitaria si configurò come il più attivo nel sostenere la necessità di politiche comuni di sviluppo. La prevalente dimensione governativa della costruzione europea ha rappresentato un freno allo sviluppo di questo processo di elaborazione politica e programmatica, ma nello scenario post-elettorale attuale il progresso verificatosi nella parlamentarizzazione dell’Unione può aprire nuove possibilità. Il socialismo francese può quindi trovare nel rafforzamento del campo d’azione governativo e partitico a livello europeo una chiave per uscire dalla crisi in cui si trova. Il rapporto con l’Europa, d’altronde, è stato a più riprese, per i socialisti francesi, estremamente delicato. Nel 2005, per esempio, le tensioni al loro interno furono tra le cause principali della bocciatura referendaria del progetto di Costituzione europea. Il dialogo con i democratici italiani potrebbe ora essere molto utile per impostare un progetto per l’Europa che valorizzi l’Unione come risorsa e non solo come vincolo.

La presidenza italiana del Consiglio dei ministri
dell’Ue si presenta quindi ricca di potenzialità. Non solo per i margini d’azione istituzionali previsti dai trattati, che pure sono significativi, ma per il particolare contesto politico in cui viene a collocarsi. Al di là di una certa retorica a volte su una “presidenza dell’Unione europea”, che, in quanto tale, non esiste, essa può contribuire a far sì che venga preso in considerazione il malessere sociale espressosi nelle recenti elezioni e che nel risultato clamoroso ottenuto dal Front National di Marine Le Pen nella patria dei diritti dell’uomo e del cittadino ha trovato la sua manifestazione più inquietante.