… Una pagina di “estremo orrore”, come disse in luglio il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sollecitando governo e Parlamento a intervenire. La decisione è venuta dal Senato il 25 gennaio scorso, che ha approvato a maggioranza (con 226 sì, 40 no e otto astensioni) il disegno di legge di conversione del cosiddetto “decreto carceri” (il 211 del 2011), presentato dal ministro della Giustizia Paola Severino contro il sovraffollamento degli istituti di pena.

Tra gli emendamenti approvati, appunto, anche quello per la chiusura degli Opg. Il cui posto dovrebbe essere preso da nuove strutture di competenza regionale, interamente a carattere ospedaliero e con una rete di vigilanza esclusivamente esterna, mentre le persone ritenute non più socialmente pericolose saranno dimesse e prese in carico dai Dipartimenti di salute mentale. A meno che non prenda corpo la proposta di legge Ciccioli.

Reperiti anche i fondi: 180 milioni di euro per le nuove strutture (120 nel 2012 e 60 nel 2013), 38 milioni (nel 2012) e fino a 55 (nel 2013) per il funzionamento delle nuove residenze sanitarie, che si aggiungono ai 23 già stanziati per la copertura degli oneri degli attuali Opg.

Un passo avanti di grande importanza, che sana una ferita aperta negli anni del fascismo, con l’introduzione del codice Rocco nel 1930. A questo risultato ha contribuito in modo determinante la campagna “Un volto, un nome” lanciata dal Comitato Stop Opg, costituito da un vasto cartello di associazioni tra cui la Cgil nazionale e la Funzione pubblica Cgil. Una campagna che, pur registrando questo importante successo, deve ancora attendere: il provvedimento passa infatti ora alla Camera, l’ultimo sì è atteso entro il 20 febbraio. E che ora si svolgerà principalmente a livello territoriale, con la nascita di Comitati Stop Opg in ogni regione. Di primo passo in avanti, infatti, parla Rossana Dettori, segretaria generale Fp Cgil: “Evento importante, ma non risolutivo.

Serve una svolta chiara, e la presa in carico degli internati da parte del Sistema sanitario nazionale in sinergia con gli enti locali. La soluzione non può essere la creazione di una struttura detentiva per ogni Regione: il fatto che dentro queste strutture possa operare solo il personale del Ssn, e che la polizia penitenziaria sia solo di supporto, è una garanzia non sufficiente. È proprio il modello detentivo che va superato”. E lancia una proposta: “Se c'è la disponibilità di 180 milioni di euro per la costruzione di nuove strutture o per la ristrutturazione di quelle attuali, li si investa in un solido sistema di assistenza indirizzato al reinserimento sociale. Va completato il progetto di riforma e la rivoluzione culturale che Franco Basaglia ci ha lasciato in eredità”.

Sovraffollamento, carenza di personale e di risorse, inadeguatezza delle strutture, questi i principali problemi degli Opg. Sei strutture (Castiglione delle Stivere, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Napoli, Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, cui si aggiunge il reparto femminile del penitenziario di Sollicciano) dove risiedono 1.400 internati (in larga maggioranza uomini), che rappresentano – spiegano i promotori della campagna – “gli ultimi residui dell’orrore manicomiale”. Istituti, per dirlo con le parole di Ignazio Marino (presidente della Commissione d’inchiesta del Senato sul Servizio sanitario nazionale e attivista del Comitato), che “per ottant’anni sono rimasti uguali a se stessi, diventando il luogo in cui celare ciò che per alcuni erano solo ‘rifiuti umani’.

Per fortuna il nostro paese non può e non vuole più tollerare che esista un inferno dei dimenticati'”. Istituti dove si soffre e si muore: nel 2011 – secondo i dati riportati dall’Associazione Antigone – sono 11 i decessi registrati nei sei Opg, l’ultimo dei quali il 2 gennaio scorso nell’ospedale messinese di Barcellona Pozzo di Gotto. Istituti, infine, che presentano – come denuncia “La Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari” redatta dalla Commissione d’inchiesta del Senato – gravi carenze strutturali e igienico-sanitarie (tranne che per Castiglione delle Stiviere e, parzialmente, per Napoli), competenze medico-specialistiche “globalmente insufficienti rispetto ai numeri dei pazienti in carico”, e dove l’utilizzo delle contenzioni fisiche e ambientali lascia intravedere “pratiche cliniche inadeguate e, in alcuni casi, lesive della dignità della persona”.

Il voto del Senato, come si diceva, è solo una tappa di un lungo percorso che dovrebbe portare alla chiusura degli Opg. Un percorso che nasconde però diverse insidie, come spiega Stefano Cecconi, responsabile delle Politiche della salute della Cgil nazionale: “Occorre fare attenzione che ora non si aprano ‘mini Opg’, magari uno in ogni regione. Bisogna assistere e curare ogni persona senza internare mai più”. La preoccupazione di Cecconi, infatti, è che “le strutture residenziali previste in sostituzione dei vecchi Opg finiscano per riprodurre situazioni simili agli ospedali psichiatrici. E che le persone restino internate, in strutture certo meno fatiscenti ma pur sempre in luoghi di internamento”.

La vera alternativa, come del resto chiedono tutti i promotori della campagna, è offrire “a ogni persona un percorso di cura, di assistenza e di inclusione sociale nel territorio, e non solo il ricovero in strutture, che finisce per escludere e recludere”. Per questo, aggiunge Cecconi, il voto del Senato “ci spinge a insistere con la campagna ‘Un volto, un nome’ per restituire cittadinanza a ogni persona. E quindi anche a proporre l’urgenza di una legge che abolisca definitivamente l’istituto giuridico degli Opg”. La mobilitazione, insomma, va avanti senza soste: “Il nostro impegno adesso è verso il governo, le singole Regioni, le Asl e i Comuni, cioè tutti coloro che hanno la responsabilità di organizzare la presa in carico delle persone internate, per curarle e assisterle nel territorio di residenza, come prevedono le norme e indicano le ripetute sentenze della Corte Costituzionale. Sapendo che serve investire nei servizi socio-sanitari nel territorio, a partire dai Dipartimenti di salute mentale”.

La campagna “Un volto, un nome”, presentata ufficialmente alla fine di gennaio, ma i cui prodromi risalgono all’inizio dell’anno scorso, ha avuto (e ha tuttora) il merito di aver posto all’attenzione dell’opinione pubblica la situazione degli Ospedali psichiatrici giudiziari. Un istituto su cui si sono registrate omissioni e mancate assunzioni di responsabilità: gli Opg, infatti, sono stati oggetto di due sentenze della Corte Costituzionale (nel 2003 e nel 2004) che avevano spalancato la possibilità di trattamenti alternativi.

E grave è il ritardo nell’applicazione del decreto del presidente del Consiglio dei ministri (dpcm) del 1 aprile 2008, inerente il trasferimento di competenze e risorse dalla sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale, in particolare in riferimento agli interventi attuati dalle Regioni per il superamento degli Opg. “La cosa più preoccupante – conclude Cecconi – è che dal 2008, cioè da quando la presa in carico degli internati doveva passare dagli Opg ai Dipartimenti di salute mentale, il numero di pazienti in queste strutture è aumentato di 150 unità, invece di diminuire”.