Il settore lattiero-caseario rappresenta un asse importante del sistema economico italiano, sia per la qualità dei prodotti che per la capacità produttiva ed occupazionale. Con il libro “L’industria casearia - Emilia-Romagna e Lombardia nel contesto italiano”, pubblicato recentemente da Editrice Socialmente e realizzato da Daniela Freddi e Gianluca De Angelis si è voluto dare seguito alla ricerca sulla filiera del latte alimentare, uscito nella stessa collana, per offrire un’analisi sull’intero comparto.

Il termine “formaggio” cela dietro di sé prodotti, processi produttivi e dunque mercati e organizzazioni del lavoro profondamente diversi. La ricerca svolta, realizzata mediante l’intreccio di percorsi metodologici differenti, ha teso ad evidenziare sia le direttrici comuni che le specificità di prodotto e di mercato. Tra gli elementi comuni emergono: la forte pressione sul prezzo del prodotto a cui tutta la trasformazione casearia è sottoposta, la rimodulazione dei consumi, l’avanzata delle Private Label (PL – prodotti venduti con il marchio del distributore) e l’abolizione delle quote latte.

La tensione sul prezzo è generata prevalentemente da due elementi. I dati mostrano che il formaggio viene venduto in larghissima parte da esercizi commerciali della grande distribuzione, che per mezzo delle centrali di acquisto ha proceduto da un lato a una concentrazione di mercato all’atto dell’acquisto dei prodotti, aumentando il proprio potere contrattuale nei confronti dei produttori, e dall’altro, con l’espansione dei marchi privati (Private Label) è riuscita a dominare di fatto la filiera produttiva condizionando anche i player detentori di prodotti di marca. In seconda battuta la recessione, iniziata alla fine del 2008, è nel 2012 che inizia a far sentire gli effetti sui consumi, causandone una contrazione. Per i produttori di formaggio in sostanza, schiacciati dal calo dei consumi e dalla concorrenza delle Private Label che offrono, per chi opera in questo segmento con una marginalità molto bassa, vendere è diventato difficile. I prodotti di marca o di maggiore pregio, come i grana, riescono a trovare spazio nel mercato quasi esclusivamente grazie alle campagne promozionali delle catene distributive, con ripercussioni notevoli sulla programmazione dell’attività produttiva e sul lavoro.

Un secondo elemento trasversale al comparto è lo spazio molto vasto che le PL hanno saputo in breve tempo conquistare sul mercato. Le marche private operano per tutti i tipi di formaggio ed esistono imprese specializzate in questo segmento di mercato a fianco di imprese con prodotto di marca con linee di produzioni o, in alcuni casi, stabilimenti specificatamente dedicati a questa linea di prodotto. Avere linee o stabilimenti dedicati risulta necessario per operare nel mercato PL, che genera una marginalità minima a fronte di una richiesta di flessibilità produttiva molto alta.

Una terza dinamica che accomuna i diversi segmenti del settore è l’abolizione delle quote latte. Al netto di alcuni elementi discordanti che le analisi previsionali hanno, è condivisa l’attesa della riduzione del prezzo del latte. Questa tendenza si avvertirà probabilmente maggiormente nelle produzioni non dop, ovvero quelle che possono attingere per le produzioni ad un mercato della materia prima più ampio. Per quanto riguarda le produzioni dop, poiché le si possono considerare rispetto all’approvvigionamento di latte nicchie di mercato chiuse, per quanto comunicanti con il più ampio mercato del latte, può essere che l’effetto sul prezzo della materia prima sia più contenuto.

Rispetto alle specificità del comparto, le più evidenti interessano i segmenti del fresco e dello stagionato dove il primo, contrassegnato dalla shelf life (vita del prodotto sullo scaffale) limitata, è interessato da forti stress produttivi ma anche da significative dinamiche innovative, mentre il secondo, specialmente nell’ambito delle produzioni DOP, si mostra meno innovativo ma ad alto potenziale per le possibilità di espansione sui mercati internazionali.

Per quanto riguarda il segmento del fresco, dominato da tre player (il Gruppo Lactalis Italia che detiene circa il 30% del mercato, le PL che detengono un secondo 30% e Granarolo con il 10%), le principali sfide da affrontare, oltre a quelle comuni a tutto il comparto, sono date innanzitutto dalla shelf life limitata dei prodotti. La data di scadenza che generalmente arriva al massimo fino ad un mese dal momento della produzione ha implicazioni significative sull’organizzazione della logistica, sul packaging, sul rapporto con la grande distribuzione.

Sul mercato del fresco sono entrati recentemente, tendenza che peraltro potrebbe proseguire in futuro, aziende il cui core business era fino a poco tempo fa sul comparto lattiero. Offrendo questo marginalità sempre più ridotte, alcune imprese sono spinte a “cambiare pelle” spostandosi sul comparto caseario. Perché questo avvenga sono necessari ingenti investimenti sia sul lato produttivo che su quello commerciale, che comprendano azioni volte all’ampliamento della gamma prodotto. L’ampliamento della gamma è una tendenza comune alle imprese che operano sul segmento del fresco, soprattutto per quelle che mirano a incrementare le esportazioni. Il comparto del fresco si contraddistingue inoltre per i maggiori spazi di innovazione di prodotto e di processo rispetto al segmento dello stagionato.

Volgendo lo sguardo al comparto del formaggio duro-stagionato, con particolare riferimento ai grana, produzioni di fondamentale importanza per il mercato italiano e per le regioni Lombardia ed Emilia Romagna, emerge un quadro molto differente rispetto a quello sopra illustrato. Innanzitutto la produzione dei grana e in generale di molti formaggi duri e semiduri dop è rigidamente vincolata dai disciplinari produttivi. Questo fa sì che le potenzialità innovative sul prodotto siano minime, al netto di innovazioni relative al packaging e al formato in cui il formaggio viene venduto. Anche i processi produttivi sono regolamentati dai disciplinari sebbene abbiano vissuto un processo di innovazione dato dalla possibilità di automazione di alcune fasi. I nuovi formati di vendita, ma soprattutto gli investimenti per incrementare le esportazioni di questi prodotti, hanno comportato un’esigenza di rinnovamento delle competenze professionali: non solo è necessario sapere utilizzare le macchine atte a questo scopo ma è soprattutto fondamentale riuscire a gestire in modo corretto il sistema delle etichettature soprattutto quando il prodotto è destinato a diversi Paesi nel mondo, in diverso formato. L’innovazione quindi è arrivata anche in questo segmento così tradizionale, soprattutto nei casi in cui l’esposizione verso l’estero è aumentata, e ha comportato, per le imprese vi hanno peso parte, significativi investimenti. I formaggi duri e in particolare i grana, come già detto sopra hanno al momento attuale un forte potenziale di crescita nel mondo e rappresentano anche per chi opera nel segmento del fresco il ponte per entrare nei mercati stranieri.

 

I due territori oggetto di particolare attenzione in questo lavoro, Lombardia ed Emilia Romagna, rappresentano il punto di caduta delle dinamiche sopra descritte. Lombardia ed Emilia Romagna sono le prime due regioni italiane per produzione casearia, tuttavia la produzione dei due territori è profondamente differente, in quantità e qualità. Quella lombarda, più elevata della produzione emiliana di oltre il doppio, è altamente differenziata, il 40% è composta da formaggi freschi, il 34% di formaggi duri, il 16% a pasta molle e il 10% a pasta semidura. Molto diverso è il grado di specializzazione dell’Emilia-Romagna dove ben l’80% della produzione è composto dai formaggi duri, seguita a distanza dalla quota del 17% di formaggi freschi mentre i formaggi semiduri e molli di fatto sono assenti. Oltre ai volumi totali e alla differenziazione produttiva profondamente differenti appaiono anche le strutture produttive del comparto dei rispettivi territori. In Emilia Romagna la produzione è altamente frammentata rispetto alla Lombardia: in questa seconda regione 235 operatori producono oltre 419 mila tonnellate di formaggio mentre in Emilia Romagna ben 381 ne producono “solo” 148 mila tonnellate. Quindi la struttura produttiva lombarda, rispetto a quella emiliano-romagnola, è molto più concentrata con imprese di maggiori dimensioni, caratteristica comune sia alla produzione del Grana Padano che a quella del comparto del fresco.

La conoscenza delle differenze esistenti all’interno del comparto e tra i territori in analisi, oggetto del libro da poco pubblicato e qui sinteticamente riassunte, è utile all’attività sindacale per comprendere il ventaglio di possibili comportamenti aziendali e sindacali assunti nelle diverse realtà per far fronte ai processi di trasformazione ed è fondamentale per gli attori politici ed istituzionali al fine di individuare le più opportune azioni di policy a sostegno di una filiera di fondamentale importanza per l’economia nazionale.