“ll passaggio critico è sull'articolo 18 – dice Enrico Letta, intervistato da Il Corriere della Sera –. Due parti su tre funzionano: quelle che riguardano i licenziamenti discriminatori e disciplinari. E invece da correggere il vero punto debole, quello dei licenziamenti economici. Lì bisogna applicare in toto il modello tedesco. L'idea di fondo è che se la procedura di conciliazione individua una sfasatura tra i motivi che vengono addotti e la realtà, possa essere prevista l'alternativa tra reintegro e indennizzo, in modo da evitare un abuso di questa norma”. “Penso che Monti, Pd, Pdl e Terzo polo – aggiunge – possano convenire sul fatto che non sarebbe un cedimento, ma buon senso”.

Quello della Cgil è un no che pesa molto all’interno del Pd – ammette il vicesegretario del Pd, –, soprattutto per i toni in cui è stato espresso. Avrà conseguenze nella discussione politica”. E a Stefano Fassina, che dice che il governo non ha cercato l'accordo Letta ribatte:“Non condivido questa impostazione. È un testo che è il frutto di due mesi di serrato negoziato: non si può dire che sia il frutto di un'imposizione. Al 90 per cento è un accordo molto positivo e condivisibile. Lì c'è il cuore del nostro programma e c'è anche quello che noi non siamo riusciti a fare in questi anni”.

Ma il Pd, gli chiedono, non può dire di no al governo. Esatto? “Mettiamola così – conclude Letta –: noi non possiamo dire di no al governo, ma il governo non può permettersi il nostro no. Ciò detto, io credo che l'approdo finale del Pd non possa che essere il ‘sì’ a questa operazione. Ma è evidente che un sostegno obtorto collo avrà conseguenze suI futuro”.