Nei giorni scorsi la Cgil in uno studio ha denunciato il fatto che, negli ultimi sette anni, le previsioni sull'economia italiana si sono dimostrate sempre sbagliate. E anche per il 2015 le stime calcolano una ripresa che non ci sarà. “C'è una certa dose di disonestà intellettuale. Dopo tanti anni di errori reiterati c'è per forza una componente politica. Però c'è anche un errore nel pensiero economico dominante che sta dietro all'elaborazione di questi modelli. Ci sono dei tecnici che, senza porsi troppe domande, continuano a sbagliare in nome di una politica sbagliata”. Lo ha detto Riccardo Sanna, coordinatore dell'Area politiche di sviluppo della Cgil nazionale, ai microfoni di Italia Parla, su RadioArticolo1.

Si tratta anche di errori internazionali, come nel caso dell'Ocse, organizzazione che viene citata nello studio diffuso dalla Cgil. “Dietro tutto questo - ha continuato Sanna - c'è innanzitutto un'idea di economia fondata sulle aspettative e sull'effetto annuncio. Ma si tratta di un'economia, di un modello, che in realtà ci ha trascinato nella crisi. E' frutto della grande trasformazione del capitalismo. Se mettiamo in fila gli errori, ad esempio le previsioni d'autunno utili alla stesura delle leggi di stabilità, vediamo che dopo sette anni, nove punti di Pil perduti, 1,6 milioni di unità di lavoro perse e manovre all'insegna dell'austerità, nel nostro paese si continua a prevedere una ripresa. Una ripresa che in realtà non ci sarà. La Cgil lo denuncia da tempo, così come aveva annunciato l'arrivo della deflazione prima della stessa Bce. Non credo che si tratti solo do una questione di maggiore lucidità. Credo che ci sia dietro una disonestà nell'elaborazione di modelli fondati sull'ottimismo, da diffondere prima ancora di concentrarsi su una giusta analisi per affrontare la crisi”.

Il conto di queste previsioni errate, tra l'altro, varia tra i 220 e i 300 miliardi di euro. “Cumulando tutto questa distanza tra la realtà e le previsioni ottimistiche della la Banca d'Italia - afferma ancora lo studioso - arriviamo a una differenza tra crescita auspicata ed effettiva di 13,6 punti. Stessa cosa possiamo dire del governo italiano, che ne ha maturati ben 14,4 in più. L'Ocse è quella che ha sbagliato di meno, ma comunque registra oltre 10 punti percentuali in più. Questo significa che se si fossero posti come obiettivo delle previsioni e non si fossero concentrati semplicemente sulla speranza, noi a quest'ora non avremmo dovuto subire tutte le manovre di 50 miliardi l'anno che hanno portato una riduzione del welfare e un abbassamento dei salari, con il blocco di quelli pubblici. E non avremmo dovuto nemmeno subire un aumento della disoccupazione che è arrivato strutturalmente attorno al 13%. Senza considerare gli scoraggiati, gli inattivi e tutta la forza potenziale che nella crisi non cerca più lavoro”.

Come abbiamo indicato nel Piano del lavoro della Cgil - conclude Sanna -, una politica economica che analizzasse le vere cause della crisi, i vuoti di domanda dell'economia italiana oltre che la scarsa qualità e innovazione dell'offerta produttiva, potrebbe invece fissare degli obiettivi di crescita, di nuova occupazione e anche di ragionevole inflazione, sfuggendo alla morsa terribile della deflazione. Così si potrebbe uscire dalla crisi e cominciare a parlare di ripresa. Ma quando si pensa che la ripresa debba essere generata solo dal mercato, quando l'obiettivo è deregolare l'economia, svalutare i diritti e i salari, e cercare di nuovo una competizione basata sulla riduzione dei costi, la politica perde la sua identità. Perché lascia alle forze libere, nella giungla del mercato, l'idea e la volontà di uscire dalla crisi, investendo e sospingendo i consumi secondo interessi ben precisi. Interessi, però, che altro non sono che quelli della finanza e del mercato internazionale”.