C'è anche il Bes nella definizione di crescita per l'Italia. O per meglio dire, ci sarebbe. Perché se è vero che per la prima volta gli indicatori del benessere equo e sostenibile sono entrati nel processo politico in via sperimentale nel Def, gli impegni a cui avrebbe dovuto portare rimangono per adesso sulla carta. L'idea fu lanciata nel 2009 dall'allora presidente dell'Istat Enrico Giovannini, il quale successivamente fu anche protagonista del governo Letta come ministro del Lavoro. “Sono molto soddisfatto – commenta l'economista a RadioArticolo1 – che al centro del processo politico siano entrati gli indicatori alternativi: non si può misurare il successo di un paese utilizzando solo Pil. Occorre tenere conto della disuguaglianza tra ricchi e poveri, ma anche di genere. Per esempio, cerchiamo di capire come le condizioni sociali impediscano alle donne che lavorano di avere dei figli, o l'impatto delle emissioni di Co2 nell'atmosfera e così via”.

Un emendamento alla legge di bilancio prevede la trasformazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica, il Cipe – che sovrintende a tutti gli investimenti pubblici – in Comitato interministeriale per lo sviluppo sostenibile, per allargare i modelli con cui il governo fa le previsioni da mettere a disposizione anche del Parlamento. “Questa è la logica, come accade in Olanda o in altri paesi nordici: fare analisi integrate, anche prospettiche, così da simulare, prima di adottare le politiche, quale sarà l'impatto guardando a elementi come quelli della povertà o della mancanza di servizi sanitari che fanno parte, appunto, di questi indicatori”.

Di questi temi di cui si occupa l'Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, di cui Enrico Giovannini è portavoce: “Noi siamo convinti – afferma – che la prossima campagna elettorale dovrebbe svolgersi su questi temi, che la prossima legislatura debba essere sullo sviluppo sostenibile, al punto tale che abbiamo proposto addirittura il cambiamento della parte prima della Costituzione con l'inserimento del principio dello sviluppo sostenibile, come hanno fatto la Francia, la Svizzera e altri. Sono molto lieto che in Parlamento sia stata presentata una proposta di legge proprio su questo”.

Il problema pratico, per adesso, è che dei 130 indicatori iniziali ne sono stati selezionati soltanto 12 e l'impatto sulle decisione politiche stenta ad arrivare: “Il Bes – osserva Gianni Di Cesare della Cgil nazionale sempre a RadioArticolo1 – è uno strumento potente, ma gli indicatori dovrebbero essere più compositi, più aggreganti e fare alcune scelte di grande rilievo. Noi vogliamo continuare a lavorarci e siamo sempre disponibili a un confronto per spingere avanti un progetto in cui crediamo”. Il tutto in una logica di prospettiva, ad esempio, “ipotizzando come superare la fase di transizione della decarbonizzazione con le nuove energie”, allo stesso tempo “tornando a parlare di piena occupazione, cercando di mettere insieme l'economia, l'ambiente e il lavoro e l'inclusione sociale”.

“Nelle nostre proposte, anche quelle che abbiamo fatto al Cnel – aggiunge il sindacalista – abbiamo detto che bisogna rimettere al centro la questione dello sviluppo sostenibile e la della partecipazione. Vogliamo dare una mano, così come abbiamo fatto qualche anno fa nel produrre i Bes, quei 130 indicatori che ci hanno posto oggettivamente all'avanguardia. Le organizzazioni sindacali ci sono, la Cgil c'è per questo impegno”.