Il 21 agosto del 1968 le truppe del Patto di Varsavia entrano in Cecoslovacchia per porre fine all’esperienza della Primavera di Praga. Così Antonio Molinari, segretario della Federazione lavoratori abbigliamento della Cgil, in quei giorni ospite in città del Consiglio centrale dei sindacati assieme a una delegazione di associazioni internazionali, racconta a Rassegna Sindacale (n. 143-144 del 15 settembre) gli avvenimenti dei quali era stato involontario testimone: “Praga: sono le 2,40 della notte fra il 20 e il 21 agosto quando arrivo all’albergo dei sindacati e il portiere mi dice: questa notte non dormirai perché sono arrivati i sovietici, i bulgari, i polacchi, gli ungheresi e i tedeschi della Rdt”.

Molinari pensa che siano arrivate all’improvviso delegazioni di questi Paesi e che l’albergo sia stato costretto a sistemarle utilizzando anche le camere già occupate. “Sto per dirgli di non preoccuparsi, quando lui, intuendo dalla mia reazione che forse non avevo capito di cosa si trattava, con voce piena di angoscia aggiunge e precisa: ‘Dalle ore 23 l’esercito di questi cinque Paesi sta occupando il territorio della Repubblica socialista cecoslovacca’. Così, tra la sorpresa e lo sgomento dei pochi presenti, perché nessun aspetto della vita del Paese lasciava margine a pensare all’occupazione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia, ho appreso del nuovo e tremendo dramma che il popolo cecoslovacco era costretto a vivere”.

Mentre, ancora incredulo per questo inammissibile atto da parte dei Paesi del Patto di Varsavia, il sindacalista italiano chiede di conoscere i particolari, con il dubbio e la speranza che si tratti di un errore di informazione, la radio trasmette in continuazione l’appello del Presidium del Pcc, che invita “le forze armate a non opporre resistenza e tutto il popolo a mantenersi calmo nei confronti delle forze occupanti”, appello che toglie ogni speranza e conferma una tragica realtà. “Alle 4-4,30 del mattino del 21 agosto – prosegue Molinari –, Praga riprende il suo volto normale, i tram sono pieni di lavoratori che si recano negli uffici e nelle fabbriche, non ancora a conoscenza dell’occupazione del loro Paese, anche se mezzi privati, con bandiere e clacson cercano di segnalare quanto sta avvenendo”.

Alle 6 Molinari assiste a uno dei primi momenti di massima tensione dall’inizio dell’occupazione. “È quando arrivano davanti all’albergo due camionette cariche di soldati bulgari, che si incrociano con un autocarro carico di giovani i quali sventolano le bandiere, distribuiscono il Rude Pravo, quotidiano del Pcc. È un attimo. Giovani, operai e studenti corrono verso i soldati armati e – sembra – pronti al combattimento, consegnano loro alcune copie del Rude Pravo, e chiedono: ‘Cosa siete venuti a fare? Non c’è bisogno di voi: il socialismo lo difendiamo noi’. I soldati restano muti e il confronto fra questi ragazzi di una stessa generazione, con bandiere e armi di due Paesi socialisti, è forse l’aspetto più drammatico e più gravido di conseguenze, prodotto dall’invasione della Cecoslovacchia da parte di cinque Paesi del Patto di Varsavia”.

Nel frattempo, gli operai escono dalle fabbriche e discutono con le truppe occupanti; i mezzi pubblici si sono fermati: “Incominciano le file davanti ai negozi di alimentari ancora chiusi – dice a Rassegna Molinari –, nelle strade e ovunque vengono distribuiti i giornali, con gli appelli alla calma. Incontri e scontri continuano, trovando forme nuove sia nella conversazione con gli occupanti, sia nella informazione a tutti i cittadini. Dalle 7 alla televisione non ancora occupata, si vedono operai, dirigenti di fabbriche, studenti che, intervistati sugli avvenimenti, esprimono la loro amarezza, la loro angoscia, ma anche e soprattutto la loro solidarietà ai dirigenti del Paese, a Svoboda, presidente della Repubblica, a Dubceck. segretario del Pcc, e chiedono il ritiro degli occupanti”.

Alle 9 il presidente della Repubblica, dalla sua residenza ufficiale (occupata) invita tutto il popolo alla calma, a non creare e accettare provocazioni, a dimostrare anche in tal modo alle forze di occupazione che non esiste nessuna ragione per il loro intervento. “Intanto i punti chiave della vita economica e politica del Paese vengono occupati dalle forze dei cinque Paesi e gli organismi legali della Repubblica cecoslovacca vengono impediti in tal modo di svolgere il loro lavoro. Solo la sede della radio non è ancora occupata, vi sono resistenze e alcuni scontri violenti. La protesta va via via dilagando. Si formano cortei che percorrono le vie del centro scandendo il nome di Dubceck e Svoboda. Sulle macchine e su tutti gli automezzi sventolano bandiere, scritte inneggianti ai dirigenti del nuovo corso, cartelli con i quali si chiede agli occupanti di tornare a casa. In tutto ciò trovo la conferma di quanto mi dicevano i compagni cecoslovacchi durante il mio soggiorno, e cioè che fra il nuovo gruppo dirigente e il popolo si erano stabiliti nuovi rapporti, basati sulla fiducia e la stima, ma anche sul colloquio più franco e sincero”.

È assistendo a queste manifestazioni – racconta ancora Molinari –, durante le quali non sono certo mancati gli attimi drammatici, fortunatamente sempre contenuti, che insieme ai giovani, alle donne e a tutto il popolo cecoslovacco anch’io mi sono chiesto il perché dell’occupazione e contro chi era rivolta. Certo, nel ‘nuovo corso’ vi potevano essere anche delle esasperazioni, aspetti da correggere, ma quello che colpiva e che contava, era ed è la capacità del Pcc, dei dirigenti tutti, nell’orientare e fronteggiare le situazioni che via via si creavano. Alle 10,30 del mattino, dopo che anche la sede della radio è stata occupata, l’unico organismo che ancora svolge le sue funzioni è il comitato centrale dei sindacati; le truppe occupanti hanno circondato la sede ma non impediscono ai dirigenti di entrare o uscire, ed è anche attraverso di essi che molti di noi riescono ad avere notizie più precise”.

È il Consiglio centrale dei sindacati, attraverso la radio clandestina, a chiamare i lavoratori e i cittadini tutti a manifestare per due minuti, dalle 12 alle 12,02 del 21 agosto, contro l’occupazione. “Alle 12 tutte le sirene delle fabbriche, le campane, i clacson degli automezzi, il silenzio del popolo, dicono il loro no all’occupazione – il racconto di Molinari –. La città intanto si copre di striscioni e cartelli, le vetrine e tutti gli spazi sono occupati. Gli slogans, nelle cinque lingue dei Paesi occupanti, dicono: ‘Socialismo – dittatura no’; ‘Amici – occupanti no’ e, ovunque, ‘Svoboda e Dubceck’. Alle 18 una grande manifestazione di massa si svolge nella piazza San Venceslao; è una manifestazione silenziosa che, proprio in tal modo, riesce a dare il senso della sua forza, del suo rifiuto alla violenza, della sua decisione incrollabile per difendere l’autonomia e l’indipendenza nazionale”.

Alla sera, molti mezzi corazzati lasciano il centro di Praga e si ritirano nei parchi. Ma nella notte, di tanto in tanto, alcune raffiche danno a Molinari e agli italiani della delegazione sindacale la misura di quanto sia grave la situazione in città. “A ciò – continua il sindacalista italiano – si aggiunge la notizia che Cisar, il candidato dei giovani studenti alla presidenza della Repubblica all’inizio del nuovo corso, è stato arrestato e deportato, che i più noti dirigenti del nuovo corso arrestati nella notte fra il 20 e il 21 sono stati portati non si sa dove, e che arresti sono in corso. Molte di queste notizie non sono confermate, ma lo stato di allarme e la tensione aumentano. Nella notte del 21 agosto il Consiglio centrale dei sindacati si riunisce e decide lo sciopero di un’ora (dalle 12 alle 13) per il giorno 22 agosto”.

Il 22 agosto, la città è immobile e tesa la protesta, questa protesta fatta di silenzio e di dibattito con le truppe occupanti, impegna oramai tutti; si vedono bambini con le tute sportive arrampicarsi sui carri armati per consegnare i giornali; giovani seduti in piazza San Venceslao davanti ai carri armati. Alle 10,30 i compagni Poliotti e Fornari, che lavorano all’Unione internazionale tessili e a quella dell’agricoltura, vengono all’albergo per informarci che si può partire, che si circola senza eccessive difficoltà e le frontiere sono aperte agli stranieri. Si parte. Su tutto il percorso troviamo scritte, gruppi di giovani che distribuiscono volantini, ci salutano, fermano la macchina per consegnarci coccarde. I cartelli indicatori sono in buona parte cancellati e si trova più facilmente la scritta ‘Mosca’ con indicato il numero dei Km... Attraversiamo Tabor a Vaself mentre è in corso lo sciopero. Indescrivibile è quanto abbiamo visto in queste località. Già conoscevano il comunicato del Pci e della Cgil, ci salutavano, ci fermavano e concludevano con un arrivederci. A Ceské Budujovice le stesse manifestazioni, e nel parco cittadino, ove sono i carri armati, una ragazza attorniata da centinaia di persone parla in russo ai giovani militari delle forze occupanti: sul ponte, un carro armato fermo: su di esso un gruppo di ragazzini disegnano con il gesso scene e parole d’ordine. I due giovani militari seduti all’interno, guardano”.

Si arriva così alla frontiera: decine di macchine italiane e francesi; molti rientrano dal congresso internazionale di geologia, che aveva avuto luogo in quei giorni a Praga. “Un’ultima sosta sotto lo sguardo dei militari cecoslovacchi di servizio alla frontiera per prendere alcuni souvenir; la bandiera nazionale è a mezz’asta – conclude Molinari –. Ci salutano e ci dicono anche loro arrivederci. Alle 14,30 attraversiamo la frontiera, portiamo con noi l’immagine dolorosa e sconvolgente del dramma che sta vivendo il popolo cecoslovacco, confortati solo dalla constatazione che una tragedia ben più grave, sino a quel momento, era stata evitata per la grande unità, per il coraggio e la calma del popolo cecoslovacco e soprattutto per la fiducia plebiscitaria che esso aveva avuto nelle indicazioni date dai suoi rappresentanti legali. Questa immagine è per me, e credo per tutti coloro che hanno vissuto, anche se per poche ore, il dramma dell’occupazione, la migliore garanzia della ripresa e della continuità del cammino che il popolo cecoslovacco ha dovuto improvvisamente e bruscamente interrompere”.

La presa di posizione della Cgil
A seguito delle notizie sugli sviluppi drammatici della situazione in Cecoslovacchia, la segreteria della Cgil, riunitasi il 21 agosto, dopo una rapida consultazione all’interno dell’organizzazione e un esame dei fatti, si dichiara “nettamente contraria all’intervento delle forze armate del Patto di Varsavia nella Repubblica socialista cecoslovacca”. “L’inammissibile intervento militare, oggettivamente diretto a sostegno della vecchia burocrazia, non può che frenare il processo di sviluppo delle forze rivolte alla ricerca di un genuino rafforzamento della società socialista nella democrazia e rischia di rafforzare invece all’interno di quel Paese le minoranze antisocialiste, e più in generale favorisce di fatto gli atteggiamenti provocatori delle forze imperialiste. In questo grave momento la Cgil è cosciente di seguire fedelmente la linea di solidarietà internazionale, di difesa della pace e dell’indipendenza dei popoli, a cui essa si è sempre ispirata”. La Cgil, conclude la presa di posizione, “esprime ai lavoratori e ai sindacati cecoslovacchi la solidarietà dei lavoratori italiani e auspica che la situazione possa trovare una soluzione nel pieno rispetto dell’autonomia del popolo cecoslovacco”.

Il documento unitario di Milano
L’intervento delle truppe sovietiche, polacche, bulgare, ungheresi e della Rdt nella Repubblica cecoslovacca, desta forte indignazione fra i lavoratori milanesi. Le tre segreterie provinciali di Cgil, Cisl e Uil, “certe di interpretare i sentimenti di pace e di libertà che animano i lavoratori di Milano e provincia”, esprimono anche loro nella stessa giornata del 21 agosto “la più severa condanna nei riguardi degli invasori e ribadiscono l’inalienabile esigenza che per ogni popolo sia rispettato il diritto all’autodeterminazione. Con questi sentimenti, le stesse segreterie, nell’esprimere la loro piena solidarietà al popolo cecoslovacco per gli sforzi compiuti in direzione dello sviluppo della democrazia e della giustizia sociale, formulano l’augurio che, malgrado l’intervento militare compiuto, la Repubblica cecoslovacca possa ugualmente realizzare i suoi obiettivi di progresso autonomamente e liberamente determinati dalla volontà popolare”.

Il messaggio dei sindacati cecoslovacchi
Il 23 agosto il Consiglio centrale dei sindacati della Repubblica socialista cecoslovacca scrive alle centrali sindacali della Repubblica democratica tedesca, dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, della Repubblica popolare polacca, della Repubblica popolare bulgara e della Repubblica popolare ungherese. “Cari amici – si legge nel messaggio –, ci rivolgiamo a voi in uno dei momenti più gravi delle nostre nazioni, nel momento in cui carri armati percorrono le vie delle nostre città ed i motori dei bombardieri rombano sopra le nostre teste. La gente si chiede: perché? Le nostre nazioni e il nostro governo non hanno desiderato altro che quello che voi stessi desiderate: una vita migliore per tutti nella pace e nel socialismo, che sono inscindibili dalla verità, dall’umanesimo e dalla vera giustizia. Noi vogliamo raggiungere questo socialismo percorrendo la strada che più si addice alle nostre condizioni senza alterare minimamente i legami di amicizia che ci legano ai vostri popoli”.

È possibile dire, si chiede il Consiglio centrale dei sindacati, che in questo modo noi minacciamo il socialismo o l’intero campo socialista? Non abbiamo forse il diritto – in quanto Stato sovrano – di affidare il nostro futuro alle cure di personalità responsabili quali i compagni Dubcek, Svoboda, Cernik, Smrkovsky e tanti altri? Con quale delitto abbiamo infranto gli amichevoli accordi recentemente convalidati con le nostre firme? “Cari amici – si conclude il messaggio –, ci rivolgiamo a voi come amici, perché crediamo che siete rimasti i nostri amici. Vi conosciamo attraverso il nostro lavoro sindacale comune. Vi preghiamo di esigere dai vostri governi il ritiro delle forze armate dal nostro Paese. Credeteci, siamo capaci di decidere noi stessi dei nostri affari, senza aiuto straniero, nell’interesse dei lavoratori e del socialismo. Abbiate fiducia in noi!”.

La risoluzione della Fsm
Il 28 agosto la segreteria della Federazione sindacale mondiale si riunisce a Praga per la prima volta dopo la grave situazione creatasi con l’ingresso in territorio cecoslovacco delle forze armate dei cinque Paesi socialisti del Trattato di Varsavia. Il vertice dalla Fsm, in linea con i contenuti della lettera comune del segretario generale e del presidente della stessa Federazione mondiale, consegnata il 24 agosto al segretario generale dei sindacati ungheresi Gaspar, “esprime la più completa solidarietà ai lavoratori e al popolo della Repubblica socialista cecoslovacca e rende omaggio alla loro calma e al loro sangue freddo. Nell’interesse dell’unità e dell’internazionalismo proletario, pone nello stesso tempo in guardia i lavoratori del mondo intero contro le speculazioni e le manovre presenti di coloro che in particolare si sono ben guardati e si guardano sempre dal condannare l’aggressione degli imperialisti americani contro la libertà e l’indipendenza del popolo vietnamita. Il rispetto della sovranità, dell’indipendenza nazionale di ogni Paese, la non ingerenza negli affari interni, la volontà di risolvere i problemi internazionali litigiosi attraverso negoziati e senza ricorsi alla forza e alla guerra sono regole che assumono tutto il loro significato se hanno pienamente un valore universale”.

Su queste basi, continua la risoluzione della Fsm, “può attuarsi la distensione internazionale, che favorisce grandemente lo sviluppo dei rapporti unitari tra i sindacati e tra i popoli, rapporti unitari che a loro volta portano a un rafforzamento della distensione internazionale. La segreteria della Fsm augura vivamente che siano superate le gravissime ripercussioni della situazione creata dall’intervento in Cecoslovacchia e a tal uopo si impegna ad agire concretamente perché i principi di solidarietà, di amicizia, di cooperazione si affermino ancora, perché si rafforzino sulla base della loro comunanza di interessi la lotta e il successo dei lavoratori di tutto il mondo. La segreteria della Fsm assicura i sindacati cecoslovacchi della propria volontà di non trascurare alcuno sforzo per aiutare i lavoratori e il popolo della Cecoslovacchia a ritrovare una vita normale e pacifica, e creare le migliori condizioni per continuare l’edificazione del socialismo in questo Paese, esclusa la presenza degli eserciti stranieri”.

Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale