È diventato legge il cosiddetto Decreto Poletti, cioè la riforma dei contratti a tempo determinato e dell’apprendistato (legge 78/2014). Riportiamo una guida alle novità introdotte dal provvedimento, a cura diMateriali”, il mensile digitale della Cgil di Bergamo (qui il PDF).

Il Decreto di marzo, poi parzialmente modificato dalla legge, è stato adottato “considerata la perdurante crisi occupazionale e l’incertezza dell’attuale quadro economico (…) in attesa dell’adozione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro che preveda, in via sperimentale, un contratto a tempo indeterminato a protezione crescente”.

La nuova normativa modifica:
- il contratto a tempo determinato (art.1);
- il contratto di apprendistato (art.2);
- semplifica e razionalizza gli adempimenti relativi alla verifica della regolarità contributiva (art.4/Durc);
- riduce la contribuzione per i datori di lavoro che stipulano contratti di solidarietà (riduzione orario di lavoro) e aumenta le risorse finanziare destinate (art.5).

Ad un anno dall’entrata in vigore, nel 2015, il Ministro del Lavoro dovrà presentare una relazione alle Camere, evidenziando in particolare gli andamenti occupazionali e l’entità del ricorso al contratto a tempo determinato e al contratto di apprendistato. La relazione dovrà contenere ogni altro elemento utile per una valutazione complessiva del nuovo sistema di regolazione di tali rapporti di lavoro in relazione alle altre tipologie contrattuali.

IL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO
È previsto per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato. Il nuovo sistema è imperniato sui limiti di tempo della durata del contratto (al massimo 36 mesi come in precedenza) e di quantità dei lavoratori impiegati con contratti a termine (tetto massimo del 20%) ma non è più prevista una causale per l’apposizione di un termine al contratto.

Quanto può durare?
La durata massima del contratto a tempo determinato è di 36 mesi, comprensivi di eventuali proroghe e rinnovi, se le mansioni restano le stesse. Viene eliminato, per tutti i rapporti a tempo determinato, l’obbligo di indicare le esigenze di carattere tecnico, organizzativo, produttivo che hanno indotto il datore di lavoro ad apporre una scadenza al contratto (acausalità dei contratti a termine). Quindi il limite temporale di un anno per la acasualità dei contratti a termine introdotto dalla legge “Fornero” è abrogato e l’acasualità del contratto a termine è estesa per tutta la durata dello stesso. La legge consente alla contrattazione collettiva di allungare il termine di 36 mesi. Il termine del contratto deve risultare da atto scritto (altrimenti è privo di effetto e il contratto si intende a tempo indeterminato) tranne nei casi di rapporti di lavoro occasionali non superiori a 12 giorni.

E per proroghe e rinnovi?
Le modifiche riguardano il regime delle proroghe e non quello dei rinnovi. Le proroghe (allungamento della durata prima della scadenza) dei contratti a tempo determinato sono ammesse fino a un massimo di 5 volte (prima era di una sola proroga) nell’arco dei complessivi 36 mesi, a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per il quale è stato stipulato il contratto a termine, indipendentemente dal numero dei rinnovi.

Superamento del termine
Se il contratto a termine prosegue oltre i 30 giorni dal termine previsto (prima era 20), in caso di durata inferiore a 6 mesi o oltre i 50 giorni (prima era 30) il contratto si considera a tempo indeterminato. Fatte salve diverse disposizioni contrattuali qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro superi i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi e indipendentemente dai periodi di interruzione, il contratto si considera a tempo indeterminato.

Quale limite?
Il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro non può eccedere il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione. Il limite si applica ai rapporti di lavoro costituiti a decorrere dalla data di entrata in vigore del Decreto, cioè dal 21 marzo 2014. Non concorrono al raggiungimento della soglia del 20% i contratti stipulati per esigenze sostitutive o stagionali (in tal caso il contratto deve essere motivato), i contratti stipulati per l’avvio di nuove attività, quelli stipulati con lavoratori over 55 anni e la somministrazione di lavoro. Sono esonerati dal rispetto del limite del 20% e dei 36 mesi complessivi per la durata del contratto a termine (oltre a casistiche già presenti nella previgente normativa, come ad esempio i dirigenti o gli addetti di aziende che esercitano il commercio di esportazione, importazione ed all’ingresso di prodotti ortofrutticoli oppure ancora il personale docente e Ata della scuola) i contratti di lavoro stipulati dagli enti di ricerca (pubblici e privati) con ricercatori e personale tecnico. Il limite non si applica ai datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti. In queste realtà è possibile assumere un solo lavoratore a termine.

In regola entro fine anno
In sede di prima applicazione, i limiti quantitativi per le imprese che, alla data di entrata in vigore del Decreto, cioè il 21 marzo, già superano il tetto del 20%, diventano obbligatori entro il 31 dicembre 2014. Occorre, dunque, mettersi in regola entro fine anno salvo che un contratto collettivo applicabile nell’azienda disponga un limite percentuale o un termine più elevato. In caso contrario, il datore di lavoro, dopo il 31 dicembre 2014, non può stipulare nuovi contratti di lavoro a tempo determinato fi no a quando non rientri nel limite percentuale del 20%.

I limiti previsti dai Ccnl alla stipula dei contratti a termine
Il limite del 20%, può essere modificato, aumentato oppure ridotto dai Contratti collettivi nazionali di lavoro. Due importanti contratti collettivi (metalmeccanici e bancari) oggi non prevedono nulla al riguardo. Ecco perché la legge, in questi due casi, introduce un tetto che, al momento, non esiste. In altri contratti, invece, il tetto oscilla tra un minimo del 7% (elettrici) a un massimo del 35% (autotrasporti).

Cosa accade se si supera il limite del 20%?
In caso di violazione del limite del 20%, si applica una sanzione amministrativa a carico del datore di lavoro, per ciascun lavoratore assunto oltre la soglia massima.

La sanzione è pari:
• al 20% della retribuzione, per ciascun mese (o frazione di mese superiore a 15 giorni) di durata del rapporto di lavoro nel caso di assunzione di un solo lavoratore che fa superare il limite;
• al 50% della retribuzione, per ciascun mese (o frazione di mese superiore a 15 giorni) di durata del rapporto di lavoro, e per ogni lavoratore, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a 1.

C’è diritto di precedenza
Alla conclusione del contratto a termine, l’azienda, prima di procedere a una nuova assunzione per le stesse mansioni a tempo indeterminato nei 12 mesi successivi, deve offrire il posto all’ex dipendente che abbia prestato un periodo di lavoro a tempo determinato superiore a 6 mesi. A questa norma già prevista dalla legislazione corrente, le nuove norme aggiungono la disposizione che il congedo di maternità usufruito durante l’esecuzione del contratto a termine presso la stessa azienda, è utile a far maturare i 6 mesi per il diritto di precedenza. Per le lavoratrici in congedo obbligatorio di maternità, il diritto di precedenza viene esteso anche alle nuove assunzioni a tempo determinato, effettuate dal datore di lavoro, con riferimento alle mansioni già espletate nei precedenti rapporti a termine. Il diritto di precedenza deve essere richiamato nel contratto di lavoro che ne fissa il termine.

L’APPRENDISTATO
La nuova legge si pone l’obiettivo di semplificare le disposizioni in materia di contratto di apprendistato che si applicheranno ai rapporti di lavoro costituiti a partire dalla data di entrata in vigore della nuova normativa, cioè dal 21 marzo 2014. Le nuove misure, quindi, non riguardano i contratti già in essere.

Quale piano formativo?
È reso obbligatorio un piano formativo individuale, redatto in forma sintetica, che entra a far parte integrante del contratto e viene firmato contestualmente all’assunzione. Il piano può essere definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli Enti Bilaterali. Il piano, in funzione della qualifica contrattuale da far conseguire all’apprendista, deve individuare i contenuti, il numero delle ore e le modalità di erogazione della formazione per l’acquisizione delle competenze tecniche, professionali e specialistiche.

Stabilizzazione?
Esclusivamente per i datori di lavoro che occupano almeno 50 dipendenti, l’assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione, a tempo indeterminato, di almeno il 20% dei contratti di apprendistato (prima era il 50%) stipulati nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione. Sono fatte salve le eventuali previsioni dei Contratti collettivi nazionali di lavoro, che quindi prevalgono nell’individuare limiti diversi da quelli dettati dalla nuova legge.

Per la qualifica e per il diploma professionale
È l’apprendistato finalizzato al completamento dell’obbligo scolastico. La principale novità riguarda la retribuzione delle ore di formazione che potranno essere retribuite solo in parte. Fatta salva l’autonomia della contrattazione collettiva, al lavoratore è riconosciuta una retribuzione che tenga conto delle ore di lavoro effettivamente prestate nonché delle ore di formazione almeno nella misura del 35% del relativo monte ore complessivo. Vengono retribuite solo il 35% delle ore complessive di formazione.

Di mestiere o professionalizzante e formazione pubblica
L’apprendistato professionalizzante è un contratto a causa mista, in cui all’obbligo retributivo si affianca quello formativo. La formazione di base e trasversale (teorico formale), per previsione costituzionale, è di competenza regionale. I Contratti collettivi nazionali di lavoro disciplinano, invece, la formazione tecnico professionale e specialistica (pratica), che può essere svolta in azienda o fuori. La nuova legge dispone che le Regioni comunichino all’azienda, entro 45 giorni dalla comunicazione di instaurazione del contratto di apprendistato, le modalità di svolgimento dell’offerta formativa pubblica, con indicate le sedi e il calendario delle attività previste. Per questa formazione potrà anche avvalersi, in via sussidiaria, delle imprese e delle loro associazioni, se disponibili.

IL DURC SMATERIALIZZATO
Il Durc (documento unico di regolarità contributiva) attesta la regolarità della contribuzione nei confronti degli enti previdenziali (INPS, INAIL) e eventualmente della Cassa edile. Il Durc deve essere richiesto dai datori di lavoro per la fruizione di benefici normativi e contributivi in materia di lavoro e legislazione sociale, di benefici e sovvenzioni previsti dalla normativa statale, regionale e comunitaria. Deve essere richiesto dai datori di lavoro e dai lavoratori autonomi nelle procedure di appalto di opere, forniture e servizi pubblici e nei lavori privati dell’edilizia.

In materia di appalti pubblici l’interrogazione assolve l’obbligo di verificare, presso la banca dati nazionale sui contratti pubblici, l’assenza di violazioni gravi alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali.

Le modifiche introdotte dalla legge 78/2014 riguardano la modalità di acquisizione (Durc) da parte dei soggetti interessati, mentre non cambiano i soggetti che devono rispettare questo adempimento.

Per la verifica della regolarità contributiva non sarà necessario recarsi presso i singoli enti, il controllo avverrà in tempo reale tramite un unico accesso telematico in un archivio di un solo ente, utilizzando il codice fiscale del soggetto da verificare. Per l’effettiva attuazione del Durc telematico sarà però necessaria l’emanazione di un decreto ministeriale che definisca i requisiti di regolarità, i contenuti e le modalità della verifica nonché le ipotesi di esclusione.

I CONTRATTI DI SOLIDARIETÀ

Per i contratti di solidarietà di tipo difensivo, cioè in caso di crisi aziendali, stipulati da imprese rientranti nel campo di applicazione della Cassa integrazione speciale che prevedono una riduzione dell’orario di lavoro superiore del 20%, è prevista una riduzione dei contributi, a carico delle aziende, pari al 35% (prima era del 25%). Si tratta, per intenderci, della norma utilizzata subito da Electrolux. Viene innalzato il limite di spesa relativo alle risorse da destinare ai contratti di solidarietà, pari attualmente a 5,16 milioni di euro, portandolo a 15 milioni di euro a decorrere dal 2014.