“Nell'economia mondiale c'è una distanza enorme tra ciò che si predica e ciò che si pratica. Germania e Stati Uniti, i Paesi che hanno raccontato per anni al mondo la necessità del liberismo sfrenato, erogavano contemporaneamente risorse pubbliche per determinare il primato della loro economia. Queste contraddizioni, però, ci dicono che l'investimento pubblico è oggi possibile, soprattutto nella logica dell'innovazione”. Lo ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, chiudendo la Conferenza di programma della Cgil "Buon lavoro. Governare l'innovazione, contrattare la digitalizzazione."

Investire nel pubblico - ha continuato - si può fare nell'ottica del cambiamento e della sostenibilità. Per questo le nostre rivendicazioni possono trovare spazio nei processi di trasformazione e di digitalizzazione in atto. Spesso ci disegnano come coloro che parlano un linguaggio antico e che non si misurano con le differenze. La realtà è che noi abbiamo ancora bisogno di quelle parole, ma dobbiamo coniugarle con la realtà di oggi. Per far ciò bisogna disegnare un perimetro all'interno del quale provare a governare la trasformazione dei processi produttivi determinata dalla tecnologia. Il tema della democrazia, un tema fondamentale per il nostro sindacato, può e deve essere il centro intorno al quale muoversi”.

 

In un'epoca in cui “la politica si riduce a slogan senza ragionamento”, la Cgil vuole quindi “mettere in fila le ragioni della complessità”. Non è un caso, secondo il leader Cgil, che un recente sondaggio certifichi una crescita dell'8% nella fiducia che gli italiani ripongono nei sindacati. “Questa crescita - ha detto - non è certo figlia di slogan, ma del complicato lavoro di costruzione di un orizzonte che abbiamo intrapreso. I cittadini non hanno bisogno di slogan ma di analisi complesse della loro condizione di vita”.

L'obiettivo della Cgil, quindi, dev'essere “integrare il contrasto ai provvedimenti sbagliati del legislatore con la progettazione della nostra iniziativa”. La Carta dei diritti universali del lavoro resta la “vera risposta”. Perché “bisogna governare l'innovazione nel perimetro dei diritti universali in capo ai lavoratori”. Solo così la tecnologia può diventare “un elemento di sostegno alla qualità e al valore del lavoro.”

È in questo straordinario cambiamento sociale che la Cgil deve porsi il problema delle alleanze. “Se non riusciamo a ricomporre la nostra dualità tra l'essere lavoratori e l'essere consumatori non riusciremo a trovare le soluzioni adatte”, ha detto ancora Camusso. “Abbiamo dei vuoti di rappresentanza, è vero, e li abbiamo soprattutto dove più si marginalizza la prestazione a causa della velocità permessa dalle tecnologie”. È un problema del sindacato, ma “è anche una delle contraddizioni di questa epoca”.

Il tema della confederalità deve essere declinato in quest'ottica. Non c'è una questione "categorie contro confederazioni" (come accennato dal segretario generale della Cisl, Anna Maria Furlan, nel suo intervento), e non esistono "soluzioni verticali": “Non come un dibattito organizzativo interno, ma sui valori. Per tanti lavoratori non c'è un'identità di settore ma una richiesta di aiuto, quindi dobbiamo mettere in secondo piano il tema dell'organizzazione interna e cercare di rispondere alle loro esigenze”.

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Dentro al tema della democrazia – ha proseguito Camusso – è centrale “l’uso dei dati: può diventare un elemento di condizionamento della nostra vita”, può influire su “welfare, consumi, servizi”. “Per tornare ad avere un welfare universalistico – spiega il leader della Cgil – dobbiamo cambiare l’affermazione in base alla quale il welfare è una misura di sostenibilità economica. Nell’ultimo Def del governo italiano è scritto che l’obiettivo è che il fondo sanitario non superi il 6,5% del Pil”. Anche se il paese ha ricominciato a crescere. “L’idea è che hai stabilizzato la risposta sanitaria a quel livello”, e che non si va oltre quel livello. La conseguenza è poi “quello che ci raccontano tanti rapporti”, ossia che sempre più “persone hanno rinunciato a curarsi”. L’unica misura che conta “non è mai la condizione sociale e ambientale, ma la certezza e stabilità economica rispetto a parametri dati”. Si chiede Camusso: “La domanda è: ma la nostra contrattazione prova a entrare in questo tema? Il tema dell’universalità del welfare e di come agisce sulla contrattazione ha bisogno di essere rimesso in fila”, dev’essere riordinato dai sindacati.

Un altro nodo centrale è il rapporto tra sindacato e aziende, quando il sindacato è chiamato a contrattare l’innovazione. “Se un’azienda ci dice che il suo investimento è sui metodi di controllo e sugli algoritmi, si torna nel controllo delle persone e della prestazione”. “Ma se io non propongo la tracciabilità del lavoro – incalza il segretario generale della confederazione –, avrò il miglior prodotto eppure, lungo la catena, non eviterò forme sempre più schiavizzate di prestazione, anche nelle catene di qualità”, non solo nelle campagne e nelle raccolte dei pomodori. “Nei contratti uno dei temi che devo proporre è la tracciabilità. Devo condizionare come si forma la filiera di quell’azienda. Devo provare a ricondurre a una dimensione di filiera ciò che è esternalizzazione, terziarizzazione, produzione al ribasso”.

“Troppo spesso per noi prestazione corrisponde all’idea che stai parlando di ritmi e tempi di lavoro, e di turnazione. Dentro la prestazione di lavoro però c’è un grande tema all’origine della nostra contrattazione aziendale: il lavoro, anche quando è parcellizzato e prestato da un operaio manuale, è acquisizione di sapere”. Qui Camusso cita la riflessione e l’insegnamento sindacale di Bruno Trentin. E chiede alla platea: “Se l’innovazione che abbiamo dinanzi a noi è innanzitutto capacità di relazionarsi con le nuove tecnologie, il sapere è tutto dell’azienda o si deve redistribuire e riconoscere? La produzione dei saperi riguarda i nuovi diritti intellettuali e il riconoscimento del lavoro”. Ma il riconoscimento delle professionalità, la ricomposizione delle mansioni, il non marginalizzare “sono tutti temi che, se rimangono nella contrattazione collettiva, li difendi, se invece li lasci all’azienda, il divario e l’emarginazione aumentano”, ha sottolineato Camusso.

Il segretario generale ha poi ricordato che nei processi di innovazione devono essere “le macchine che si adattano agli uomini”, non il contrario. Non devono essere lavoratrici e lavoratori ad adattarsi ai processi di automazione. “Altrimenti l’unico produttore di valore per l’impresa diventa la macchina. La catena del valore si sposta”. E bisogna evitarlo. Ma non è affatto scontato.

Orari di lavoro e tempo di vita non devono essere in negazione uno dell’altro, sono invece aspetti di un problema unico che dobbiamo affrontare”, prosegue Camusso. Il segretario Cgil dà ragione a Anna Maria Furlan, che nel suo intervento ha ricordato che siamo entrati nel “tempo della velocità”. “Non c’è dubbio che è così. Ma sul piano dei rapporti unitari e della contrattazione ci limitiamo a dire che dobbiamo essere veloci?”, chiede Camusso al leader della Cisl.

Bisogna essere capaci di agire velocemente, è giusto. Ma servono anche regole certe e definite. Velocità è mettersi in condizioni di avere regole che agiscono nel processo democratico. Le regole non sono un portato del Novecento ma una delle condizioni che permettono di salvaguardare le persone”. Camusso ha però invitato la Cgil a non nascondersi dietro “l’alibi” dell’articolo 39 sulla certificazione della rappresentanza. I sindacati devono trovare un accordo tra di loro sulle regole, e poi esercitarle.

Il salario, in ogni caso, “è e resta una questione importante”. Per Camusso, c'è una nuova questione salariale, “determinata dal fatto che le retribuzioni non permettono condizioni di vita dignitose alle persone”. Per questo la Cgil non può “intavolare discussioni che non prevedano un aumento dei salari”. È questo il terreno sul quale Confindustria “deve ragionare con noi nella discussione sulla contrattazione”. Prima, però, i sindacati “devono smetterla di rimbalzarsi tra loro il problema del welfare contrattuale”. La Cgil continua a pensare che non “ci possa essere uno scambio tra welfare integrativo e salario”. Bisognerebbe prima ottenere la non defiscalizzaZione del welfare, “spiegando ai lavoratori che il welfare aziendale “è un beneficio a breve ma un danno a lungo termine sul welfare nazionale”. Il welfare, d'altronde è un importante pezzo della digitalizzazione che stiamo vivendo: “Il governo della trasformazione deve permettere di avere effetti positivi soprattutto su chi è in difficoltà. È l'opportunità che abbiamo davanti. Ma servono risorse e innovazione pubblica per dare risposte alla marginalità”. Se si lasciano gli investimenti al privato, infatti, “le disuguaglianze aumenteranno. Ed è quello che sta succedendo nella sanità”. Tutto ciò che porta inclusione, però, “deve essere presente nel perimetro del contratto nazionale”.

“Questa - ha concluso Camusso - è la nostra risposta anche ai populismi e ai fascismi crescenti nel nostro Paese .Qualunque politica fondata sulle paure è un idea che colpisce e marginalizza il mondo del lavoro. Per questo abbiamo dinanzi una stagione di ricostruzione valoriale. Dobbiamo ricostruire nei territori una battaglia di civiltà, di riconoscimento delle diversità, a partire dalla campagna di tesseramento dell'Anpi del 3 e 4 febbraio, e prima ancora con la presentazione dell'appello “Mai più fascismi”.