L'articolo che segue è tratto da Idea Diffusa, l'inserto della Cgil sul lavoro 4.0 a cura di Rassegna Sindacale. Il nuovo numero – che si può scaricare qui – viene presentato oggi (9 luglio) in occasione di un evento organizzato dalla confederazione di corso d'Italia a Roma.

In una scena del romanzo appena pubblicato in Italia dalla scrittrice e saggista scientifica Ilona Jerger, intitolato E Marx tacque nel giardino di Darwin, il grande scienziato dell’evoluzionismo spiega che “la bellezza della natura è nello sguardo dell’osservatore”. Indirettamente gli risponde l’autore de Il Capitale e soprattutto dei Grundrisse, il quale ha vissuto realmente per molti anni a meno di venti chilometri dall’autore de L’Origine della specie – senza incontrarlo realmente mai – che “è dall’anatomia dell’uomo che si ricava quella della scimmia”.

La prendo apparentemente alla larga, perché la suggestione di un incontro mai avvenuto fra i due giganti del materialismo scientifico mi aiuta a fissare meglio il punto di un ragionamento che propongo come contributo alla nostra discussione: l’innovazione in sé non esiste, esistono i rapporti sociali che si determinano ed esprimono mediante le forme tecnologiche. È di questo reale contenuto del mondo digitale – gli occhi dell’osservatore – che dovremmo meglio parlare, più che arrovellarci su questo o quel dispositivo tecnologico, per capire come tutelare diritti e bisogni di tutti, proprio perché è l’anatomia più avanzata che ci permette di capire le fasi precedenti o, come avrebbe detto Di Vittorio, “solo se vinciamo contro i padroni più padroni, possiamo tutelare anche i cafoni”.

Sono ormai passati quasi 35 anni dal famoso spot del MC 2, girato da Ridley Scott, considerato l’atto di nascita della computerizzazione dei comportamenti sociali, e credo sia importante che il ramificato sindacato italiano decida di reagire alla retorica della Silicon Valley che ci tramanda l’innovazione come fenomeno uniforme e neutralmente positivo. Abbiamo sotto i nostri occhi il più spettacolare processo di ristrutturazione che si sia mai concentrato nello spazio di una sola generazione, trasformando, antropologicamente, l’idea stessa del produrre e del pensare in una sequenza di algoritmi che rende ormai realizzabile il sogno di Pitagora: calcolare il futuro. Ma chi è il calcolato e chi il calcolante? Questa è la domanda che oggi deve precedere ogni idea di innovazione.

Tutti i principali comportamenti umani – leggere, informarsi, pensare, ascoltare, vedere, parlare, comunicare e trasformare la natura – sono oggi mediati e formattati da un sistema di calcolo che in base a una sequenza di istruzioni matematiche preordina la soluzione di ogni problema in un modo e uno solo. Una pretesa di unicità che ci mostra la contraddizione su cui concentrarsi: ogni soluzione è sempre parziale e interessata, mai unica e oggettiva. Come ci dice il grande e irrequieto matematico americano Alexander Galloway, “l’algoritmo convertendo il suo significato in azione è l’unico linguaggio inconsciamente eseguibile”. Democrazia, diritti, dignità e sviluppo sono oggi alla mercé di quell’avverbio: inconsciamente. Rovesciarlo tenacemente nel suo contrario è la via per ridare dignità e valore al termine innovazione.

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