“Il nodo della riflessione di questa conferenza pone di fronte a un bivio e a un cambiamento anche il sindacato: se riesce a fare una politica di ricomposizione del mondo del lavoro o se sceglie la via più semplice, quella di occuparsi solo di coloro che si muovono in un quadro definito di diritti, che gli permette di esercitare la contrattazione”. È quanto ha affermato Susanna Camusso, segretario generale Cgil, a conclusione di ‘Nuove sfide, universalità dei diritti, libera circolazione’, la conferenza nazionale della confederazione sull’immigrazione, che si è svolta a Roma, il 12 e 13 dicembre.

“A tale proposito, ci sono settori dove siamo straordinariamente presenti tra i migranti, ad esempio in agricoltura, con la Flai che riesce a interloquire direttamente con i lavoratori nelle loro lingue. Invece, i cantieri di Monfalcone sono per noi una ferita aperta da lungo tempo. Non esiste una piattaforma per il riconoscimento dei diritti per le migliaia di addetti stranieri degli appalti di Fincantieri e perciò non riusciamo a organizzare quei lavoratori al fine di consentire una loro rappresentanza sindacale. Castelfrigo poi, è un’esperienza che parla di tanta parte del mondo della logistica, di un intero distretto contraddistinto dall’illegalità: rappresenta un’esperienza nuova e davvero importante, perché supera la costruzione di gerarchie etniche presenti sui luoghi di lavoro, e in quel contesto addirittura anche la comunità cinese è uscita dall’isolamento”, ha proseguito la dirigente sindacale.

“Se qualcuno pensa che sia un lusso l’universalità dei diritti, il sindacato ha automaticamente perso, perché ciò determina una deriva verso lo sfruttamento e permette il dumping e non si riesce più a includere e non si determina la parità di condizioni. ‘Ci hanno sottratto il lavoro, le nostre condizioni di lavoro sono peggiorate per colpa loro’, ci dicono molti italiani. Ma se passa tale logica, diventiamo un piccolo sindacato corporativo dei pochi forti. Per questo, pensiamo che il primo strumento di difesa per noi siano i contratti nazionali di lavoro, perchè difendono i diritti, ma anche le retribuzioni contro ogni forma di dumping. La campagna per lo Ius soli ci ha portato a molte disdette e tessere in meno, ma continuiamo lo stesso in quella battaglia e penso che non approvare quella legge sia una sconfitta per il Paese. Ciò significa che per il momento hanno vinto le forze xenofobe e ha perso la libertà di stampa e di opinione”, ha aggiunto la leader Cgil.

“Provo a rovesciare la domanda: il tema è occuparsi dei lavoratori migranti, affinchè la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici italiane non continui a peggiorare. Lasciar sfruttare i migranti determina le difficoltà sul lavoro di tutti gli altri. Questo vale per il lavoro, ma vale anche per i servizi sociali. Se il welfare lo fai e lo consideri diversificato a seconda delle persone, viene meno il fondamento che è la condizione di benessere del cittadino, di colui che vive accanto a te, lavora vicino a te, paga le tasse, sia italiano o straniero. Non riconoscere il lavoro, mette in discussione il patto di cittadinanza tra governanti e governati, che è quello fiscale, e il tema delle tasse e dell’evasione riguarda proprio quel patto lì. Se non siamo in grado di esercitare la rappresentanza dei lavoratori migranti sui luoghi di lavoro, vuol dire che anche al nostro interno si è aperta una frattura. Noi siamo per l’universalità dei diritti, che significa anche immaginare una politica contrattuale che riguarda tutti i lavoratori indistintamente”, ha rilevato ancora la sindacalista.

“Ognuno di noi ha qualcuno che è emigrato. Non c’è nessuna famiglia italiana che nel corso della vita non abbia avuto migranti. Quindi, quel tema ci riguarda tutti direttamente. Abbandonare Mare nostrum, sostenendo che costava troppo, è stato un grave errore per il nostro Paese. Anche perché Frontex costa altrettanto. Vi è la possibilità di avere una società differente da quella che l’economia e il capitalismo hanno delineato: continuano a dirci che bisogna rassegnarsi alla situazione attuale, cercando di fare in modo che quella situazione non diventi troppo dolorosa. Noi abbiamo provato a porre tali questioni, soprattutto sul fatto che la precarietà sia inevitabile o meno, che il pareggio di bilancio sia inevitabile o meno, eccetera. Ma neanche la Cgil riesce a organizzare i lavoratori se non costruisce un orizzonte alla propria mobilitazione. Non si capisce perché i lavoratori stranieri dovrebbero iscriversi a un sindacato, se non si delinea una possibilità concreta per loro. Con la Carta dei diritti, abbiamo costruito un processo faticoso, ma quello è il grande tema dell’uguaglianza e della partecipazione, che deve contraddistinguerci”, ha sottolineato Camusso.

“La nostra grande critica al governo non riguarda solo i provvedimenti presi, ma il fatto che sia possibile creare una società diversa. Scuola e lavoro sono luoghi d’integrazione, ma parimenti possono diventare luoghi di esclusione. Molti immigrati sono inclusi sul luogo di lavoro, ma non lo sono fuori, pur abitando nello stesso quartiere dei loro colleghi italiani. Questo dipende dal fatto che non si è mai sviluppata una politica urbanistica dell’integrazione. Li abbiamo confinati in nuovi ghetti, svalutando quei luoghi e quelle case. L’integrazione deve avvenire equiparando allo stesso livello di vita italiani e immigrati. L’esempio negativo delle banlieue francesi non ci ha insegnato nulla. In un’ottica femminista, le donne hanno affrontato la questione, parlando di velo e costumi. Noi abbiamo bisogno di farlo anche sul lavoro”, ha aggiunto il segretario generale.

“Più del 20% degli nostri iscritti sono immigrati e dobbiamo sempre più fare i conti con loro, facendoli diventare dirigenti, quadri e funzionari. Al contrario, nel momento in cui ci fosse un sindacato dei migranti o un sindacato musulmano, sarebbe la fine del sindacato confederale. Perché vorrebbe dire l’aver accettato che non è possibile fare una politica indifferenziata dei diritti sul lavoro, mentre si affermerebbe una politica differenziata per razza o religione. La tutela del lavoro passa per il fatto che i diritti sono universali. Tema che vale per la politica, ma vale anche per il sindacato. Quando si parla d’immigrazione, vi sono mormorii anche nelle nostre assemblee. Ma non dobbiamo mai dimenticarci di porre quell’argomento, perché altrimenti accetti la guerra tra poveri. Però, qualche segnale positivo lo vedo: la faticosa costruzione della vertenza Castelfrigo, il primo sciopero Amazon, dove esiste una competizione allo sfruttamento tra lavoratori. Forse il vento sta cambiando. E noi dobbiamo essere tra coloro che la battaglia dei diritti la fanno quotidianamente”, ha concluso la numero uno Cgil.