Venerdì 9 giugno, presso il Museo de Historia di Madrid, si è inaugurata la mostra "Amnistía. Que trata de España. Arte y solidaridad, Milán 1972 - Madrid 2017". La mostra è organizzata dal sindacato spagnolo Comisiones Obreras, per ricordare - a 45 anni di distanza - l'evento culturale che si tenne tra Milano e Roma nel 1972, in solidarietà con il sindacato spagnolo e con la lotta per l'amnistia e le libertà civili e politiche nella Spagna all'epoca sotto la dittatura franchista.

In quella circostanza, decine e decine di artisti - pittori, scultori, poeti, musicisti - diedero vita a un evento che ha segnato il corso dei rapporti tra la Cgil e Comisiones Obreras, rapporti che hanno visto molti compagni del sindacato spagnolo, impossibilitati a rientrare nel proprio paese, vivere e lavorare in Italia per anni per diverse strutture della Cgil. Alcune delle opere realizzate per l'evento vennero donate alla Cgil, altre vennero acquistate e si trovano nella sede nazionale della Cgil e in altre strutture, in particolare in Lombardia e in Emilia Romagna. Molte delle opere della mostra di Madrid fanno parte del patrimonio artistico della Cgil, che ha volentieri acconsentito al loro temporaneo trasferimento. Alla cerimonia di inaugurazione hanno partecipato il segretario generale di Comisiones Obreras Ignazio Toxo e il sindaco di Madrid Manuela Carmena. Per la Cgil ha portato il saluto Fausto Durante, responsabile delle politiche europee e internazionali.

A seguire pubblichiamo un saggio sulla mostra del 1972 tratto dal catalogo Ediesse (Roma 2005, anno in cui alcune delle opere furono esposte a Perugia).

Pittura e democrazia: etica ed estetica
di Felipe V. Garín Llombart e Facundo Tomás

Per comprendere adeguatamente l’interessante fenomeno storico della lotta per la democrazia condotta dai pittori all’epoca di Franco, possiamo iniziare osservando uno dei dipinti di maggior rilievo di questa mostra, l’opera di Equipo Crónica, dipinta nel 1967, dal titolo Variante de la familia de Carlos IV, conosciuta anche come Bodegón español. Equipo Crónica prese delle figure da un famoso quadro di Goya e, come se i personaggi ritratti fossero stati prelevati dal dipinto un attimo dopo aver posato per l’artista, le ricollocò in una specie di ricevimento gastronomico. Una quindicina di figure aristocratiche, tipiche di Goya, sono disordinatamente distribuite nell’ambiente, ritagliate dalle tele originali, tolte quindi dal loro contesto pur conservando l’effetto che producevano sull’osservatore nel dipinto di provenienza, tranne che per l’oggetto dei loro sguardi, qui rivolto ad una strana natura morta, che Equipo Crónica colloca in primo piano: cavoli, pomodori, peperoni, melanzane, zucchine, cetrioli, cipolle, rape, con un grande e invitante pezzo di jamón serrano al centro della metà inferiore del quadro che, proporzionalmente, occupa la maggior parte della superficie della tela.

Nello sfondo, dietro i personaggi del 1800, completa la composizione una parete ricoperta con carta dipinta a motivi vegetali, stilizzati e ripetuti, come la carta da parati che ha decorato negli anni sessanta le stanze scrostate delle case della piccola borghesia e della classe operaia urbana spagnola, quale simbolo del primo povero sviluppo di quegli anni (Abbellisca la sua stanza con i parati «Shark»!). Perché, in effetti, la satira alla nascente «società dei consumi» (come veniva chiamato negli anni sessanta lo stato di benessere) è la modalità di interpretazione con la quale lo spettatore si rapporta necessariamente al quadro. L’aristocrazia della pittura classica è lì, ma simboleggia la nuova borghesia spagnola, l’unica che, di fatto, sembra trarre vantaggio dell’arricchimento generale.

Si potrebbe qui ricordare la famosa canzone di Raimón, uno dei cantautori valenziani più conosciuti, stretto contemporaneo dei Crónica:

Tu compri un po’
io compro un po’,
lui quasi niente;
questo verrà chiamato poi:
Società dei consumi.

I negozi sono colmi,
le tasche molto vuote,
le tue, le mie, le sue.
Ma è arrivata l’ora di sapere
chi le ha piene.

Equipo Crónica realizzava serie, e il quadro presente in questa mostra appartiene appunto alla serie chiamata La recuperación, dipinta nel periodo che va dal 1967 al 1969. Secondo le testimonianze degli artisti, questa serie fu concepita come un senso narrativo unico: non dato dalle singole opere, ma dalla loro totalità. Una delle caratteristiche principali di quel lavoro creativo consisteva appunto nell’utilizzo di immagini molto conosciute appartenenti alla pittura classica spagnola, soprattutto Goya, Velázquez, Ribera e El Greco, figure prese dai quadri originali e collocate in contesti quotidiani della Spagna del 1960, spesso accostate ad alcuni strumenti della comunicazione e dei consumi di massa. Dopo la loro realizzazione, i pittori ritennero di dover precisare che le opere d’arte classiche erano state «manipolate ma non criticate», essendo utilizzate «… nella misura in cui si portano dietro un peso culturale, sociale e politico concreto».

(Manuel Ayllón)

Era, però inevitabile che lo spettatore attribuisse connotazioni positive o negative a seconda del ritratto pittorico che era stato usato. Così i cortigiani e gli alti personaggi (le famiglie reali di Velàzquez o i ritratti come il conte-duca di Olivares, la duchessa d’Alba di Goya, i frati di Zurbarán...) erano identificati quasi per caso con le diverse gerarchie del regime di Franco (o della «società perbene» spagnola dell’epoca). L’infante don Carlos di Velázquez, che appariva in El alambique (1967), assumeva le funzioni di imprenditore e direttore della grande industria collocata alle sue spalle; il cavaliere con la mano sul petto di El Greco, rappresentato in La antesala (1968), era seduto dietro ad un tavolo sul quale si trovava una impugnatura metallica, utilizzata in alcune occasioni dalla polizia per torturare gli antifranchisti; il conte-duca di Olivares di Velàzquez era posto a tagliare con le forbici un nastro per inaugurare un’opera pubblica in La inauguración o La cinta (1969). Invece il San Bartolomé martirizzato di Ribera appariva sempre come vittima, quindi connotato positivamente.

(Armando Cardona Torrandell)

Questo gioco complesso di significati, questo richiamo allo spettatore, e la stessa risoluzione formale della tela (come tutta le serie accennata e anche la maggior parte dei quadri dell’Equipo Crónica), viene realizzata a campiture piatte di colore, con figure interamente ritagliate, una sull’altra, trattate riprendendo il linguaggio e la maniera di alcuni mezzi di comunicazione di massa, con ciò esprimendo una chiara manifestazione della più importante corrente internazionale d’arte contemporanea, la pop art.

La peculiarità della pop art spagnola, qui rappresentata da Equipo Crónica, è il ricorso alla satira sociale e politica quale contenuto generale delle sue opere. A questo proposito sono più che mai opportune le parole del critico d’arte Tomás Llorens, che seguì e incoraggiò l’Equipo sin dai suoi inizi: «Per l’arte pop americana (quella di Warhol per esempio) il criterio di pertinenza mediante il quale il «comune», l’artificiale, diventa oggetto di creazione artistica risiede nel sentimento di distruzione (e rinnovamento) permanente del soggetto: l’utilizzo della tecnica duchampiana del caso permette che l’opera d’arte si costituisca in analogia all’esperienza biografica dell’uomo moderno, sottomessa continuamente alle seduzioni, distrazioni (e distruzioni) che su di lui esercita quell’ipertrofico mezzo artificiale che è venuto ad occultare e finalmente a far rinascere l’unità del senso dell’antico cosmos naturale. Così il conflitto tra il biografico e l’artificiale gioca un ruolo equivalente a quello di quella mediazione della coscienza che è la fonte del senso del Sachlichkeit moderno: dal quale deriva la ricchezza artistica del pop americano. «Dal punto di vista spagnolo, (in contrasto con quello nordamericano), non risultano accettabili né l’introduzione soggetto-artista né il richiamo duchampiano al caso. Per il programma dell’Equipo Crónica nella sua formulazione iniziale il criterio di pertinenza dell’artificiale doveva consistere semplicemente nella loro presenza e operatività sociale, valori che si presumevano dati all’artista per una specie di razionalità storica (la logica della lotta di classe), senza alcuna mediazione della coscienza e senza spazio, pertanto, all’ambiguità e all’ironia profonda che caratterizza il pop nordamericano». Senza dubbio diversità esistevano, anche se forse – astraendo volutamente dalle differenze tra «il soggettivo» e «l’oggettivo» – si dovrebbe invece parlare della specificità dalla pop art di Equipo Crónica, caratterizzata da una ricerca dai contenuti satirici e dall’utilizzo di oggetti di vita quotidiana così come appaiono nei mezzi di comunicazione, con la pretesa di prescindere da qualsiasi «soggettività». Certamente, nella loro pittura vi è una volontà di «distacco brechtiano» (soprattutto nei primi tempi), ma ciò non modifica la sostanziale dimensione formale del «linguaggio» utilizzato.

(Vicente Caraltó Salvá)

Infatti, è proprio così che emerge uno dei profili più nitidi della grande protesta artistica dell’epoca di Franco: in un clima di profondo e ammuffito conformismo sociale del sistema, le ricerche formali di qualsiasi tipo, sin dagli anni cinquanta, avevano assunto il significato di protesta larvata, e così erano percepite da buona parte della società, che vedeva in esse una volontà di libertà creativa in contrasto e conflitto con le strutture mentali ufficialmente accettate. La sperimentazione formale era allo stesso tempo volontà di uscire dal cerchio chiuso su se stesso costituito dalla dittatura, e un legame con il pensiero artistico universale nella sua manifestazione più creativa, una partecipazione alle ricerche internazionali indirizzate a «normalizzare » la vita e la mentalità spagnole, strappandole dal loro isolamento storico.

Bisognerebbe comprendere, pertanto, le diverse opere della mostra, che affondano le loro radici nell’arte informale astratta degli anni cinquanta, sia quelle orientate verso linee più concordi con le tendenze pop predominanti negli anni sessanta, aventi o no contenuto critico, sia quelle che sviluppano ricerche di tipo geometrico o di evidenziazione fenomenica della superficie del piano pittorico. Poteva, il senso ludico della Formación espacial imposible di José María Yturralde, celare un’allegoria sulla necessità di sciogliere i nodi gordiani delle strutture esistenti? e non si apriva, l’Automovilista gris-malva di Luis Gordillo, a quella stessa società dei consumi alla quale facevamo riferimento prima? o non reclamava fortemente, l’erotismo pop di Eduardo Úrculo, una nuova concezione dei rapporti umani?

L’estetica diventava perciò espressione chiara di un’etica della protesta sociale di resistenza proprio continuando ad agire in contrasto con le regole ufficiali imposte.

Probabilmente, uno dei quadri presenti nella mostra potrebbe rappresentare l’emblema di ciò che stiamo dicendo e delle aspirazioni di libertà di quel gruppo di artisti che donarono le loro opere a favore dell’amnistia per i detenuti politici: quello di Juan Genovés, appunto, intitolato L’attesa.

Quest’opera si colloca perfettamente nella linea generale della produzione dell’artista; è costituita da tre fasce orizzontali, che acquisiscono nell’insieme un senso sequenziale. Nella prima fascia poche persone, appena una decina, sono ferme, in piedi in uno spazio ampio, con lo sguardo rivolto verso lo spettatore. Nella seconda sembra che le persone si siano moltiplicate per cinque e, benché vi sia ancora sufficiente spazio tra di loro, iniziano ad assumere la caratteristica di una folla. Nella terza e ultima lo spazio è completamente gremito di uomini e donne che fanno della loro attesa una protesta, una vera manifestazione, un appello imperativo ai cambiamenti che avrebbero dovuto realizzarsi. Il quadro sembra la versione plastica di una canzone di lotta sindacale, divenuta molto famosa proprio in quegli anni sessanta, e che sembra simboleggiare perfettamente l’azione degli artisti, sia rispetto al loro lavoro quotidiano che nella volontà di unirsi alla lotta antifranchista manifestatasi anche con la donazione dei loro quadri per le esposizioni solidaristiche di Milano e Bologna.

Allo sciopero, dieci!
Allo sciopero, cento!
Allo sciopero, madre,
anch’io andrò!
Allo sciopero cento!
Allo sciopero mille!
Io per loro, madre,
e loro per me!

Arte, lotta per la democrazia e sviluppo della società, appaiono così amalgamati in questa mostra, che raccoglie un’eccellente selezione di opere, pienamente rappresentative di ciò che già ha cominciato a diventare storia di Spagna.