Il nostro non è solamente  il Paese europeo con meno bambini e ragazzi, ma è anche quello dove quei pochi che ci sono li trattiamo peggio. Sicuramente c'è uno scoraggiamento da parte delle donne e dei nuclei familiari a fare i figli, ma il tema da mettere al centro è che, intanto, a quelli che ci sono noi non garantiamo un diritto all'educazione e all'istruzione fin dalla nascita. Si tratta del diritto a essere un cittadino a tutto titolo e, a sostenerlo, ci sono anche studi internazionali che certificano che i bambini che frequentano nido e scuola materna avranno meno rischi di insuccesso scolastico, di povertà educativa come anche di diventare lavoratori poveri. Il pensiero va a tutta una parte del nostro Paese, a tutto il Sud, alle periferie delle città, alle aree interne della Penisola dove non ci sono nidi per bambini, disuguaglianze fortissime che iniziano da quando cominci a vivere”. In questa situazione è quindi comprensibile che uomini e donne, le famiglie, si chiedano cosa offre l'Italia a un bimbo che viene messo al mondo.

Sono riflessioni che la Cgil sta facendo da alcuni anni insieme a una fortissima battaglia sul fatto che il sistema integrato di educazione da 0 a 6 anni diventi un punto centrale delle politiche nazionali, ma purtroppo non è ancora così.  Penso che sia rassicurante per una madre e un padre sapere che c'è un sostegno pubblico all'educazione dei propri figli che non siano soltanto voucher e bonus, ma, ad esempio, congedi parentali per entrambi i genitori: insomma, un Paese che fin dalla nascita accoglie i propri cittadini dando loro le maggiori garanzie possibili, perché non basta solamente farli nascere. Anche in occasione dell’emergenza da Covid-19 abbiamo assistito a una scarsissima riflessione su argomenti, quello della scuola dell’infanzia è stato derubricato e anche ora, a poco tempo dalla ripresa, non si sa ancora che cosa accadrà a settembre. Anche lo smart working sia un problema che si è innestato su una forte carenza e sul quale ancora non c’è la sufficiente attenzione.

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Quello che appare lampante è la mancanza di una visione strategica da parte della politica, ancor più che una mancanza di risorse: ci sono i fondi strutturali e ora tutti i soldi che arriveranno dall'Europa, le risorse quindi ci sono e ci saranno, ma bisogna volerle spendere nel settore dell’educazione e delle politiche sociali. C'è una mancanza di volontà che viene coperta dai voucher, uno strumento molto più semplice ed evidente e che, in più, paga sul fronte del consenso, mettendo soldi nelle mani del cittadino. In discussione c’è il fatto che la scuola dell’infanzia non può essere concepita solamente come il luogo dove parcheggiare i bambini, e che, a fronte del venire meno del tempo pieno scolastico a causa delle norme anti-Covid, non si può pensare di risolvere tutto con l’assunzione di una babysitter, grazie a un voucher per altro insufficiente a coprire la spesa.

Quello che la Cgil pensa è che, da quando nasci, ci deve essere uno sviluppo dell'azione educativa, per la quale servono figure professionali forti su cui scommettere nel campo del settore pubblico e che accompagnino le famiglie nei percorsi educativi dei figli. Questa è l'impostazione e prevede una rivoluzione copernicana, visto che dall'agenda di questo governo il tema scuola è stato completamente assente.  A questo proposito la Cgil è riuscita a tenere presso il ministero dell'Istruzione il tavolo sul sistema integrato 0-6 . 

Al governo si chiede inoltre che parte del denaro che arriverà con il Recovery fund sia investito proprio a favore dei servizi per l’infanzia, così che il l’Italia smetta di invecchiare e insieme cresca anche la volontà e la capacità di rimettersi in gioco e di fare figli da parte di donne e uomini che dovrebbero quindi non sentirsi più soli davanti alla decisione di fare un figlio anche solo per il fatto di sapere che esiste un'istituzione pubblica che li supporta. 

Anna Teselli è una ricercatrice nel campo delle politiche sociali della Cgil