La Corte di Giustizia Europea ha deciso: i precari della scuola con più di 36 mesi di servizio hanno diritto all’assunzione a tempo indeterminato. Una sentenza destinata a fare da apripista e dare una speranza alle centinaia di migliaia di precari che da anni coprono posti vacanti facendo così funzionare le scuole, gli enti di ricerca, le università e tutte le pubbliche amministrazioni in generale.

In pratica nell’udienza di oggi (26 novembre) a Lussemburgo, alla presenza dei legali Flc Cgil, la Corte ha dichiarato che lo Stato italiano non rispetta il diritto europeo. “Un pessimo esempio - afferma il sindacato - per un datore di lavoro che dovrebbe invece essere il garante della legalità agli occhi dell’intera collettività”. “Finalmente - prosegue la nota - le ragioni dei precari, stabilità del lavoro e equa retribuzione, sostenute dalla Flc Cgil anche in migliaia di ricorsi sono state riconosciute alla luce del sole. Quando accadono questi fatti siamo orgogliosi di sentirci europei”. Nelle prossime ore in una conferenza stampa organizzata dalla sigla di categoria il segretario generale Domenico Pantaleo e l’ufficio legale anticiperanno i contenuti della sentenza e suoi effetti.

 

LA SENTENZA
"La normativa italiana sui contratti di lavoro a tempo determinato nel settore della scuola è contraria al diritto dell'Unione. Il rinnovo illimitato di tali contratti per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle scuole statali non è giustificato". Scrive così la Corte di giustizia europea nella sua sentenza odierna in risposta a un quesito posto (con rinvio pregiudiziale) dalla Corte costituzionale e dal Tribunale di Napoli.

La questione trova origine nelle cause presentate da un gruppo di lavoratori precari assunti in istituti pubblici come docenti e collaboratori amministrativi in base a contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione. Questi hanno lavorato durante periodi differenti, fermo restando che non sono mai state impiegate per meno di 45 mesi su un periodo di 5 anni. Sostenendo l'illegittimità di tali contratti, quei lavoratori hanno chiesto giudizialmente la riqualificazione dei loro contratti in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la loro immissione in ruolo, il pagamento degli stipendi corrispondenti ai periodi di interruzione tra i contratti nonché‚ il risarcimento del danno subìto.

Secondo i giudici di Lussemburgo, la normativa italiana non prevede alcuna misura diretta a prevenire il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. La Corte Ue evidenzia come "l'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato non ammette una normativa che, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali dirette all'assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, autorizzi il rinnovo di contratti a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti e di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l'espletamento delle procedure concorsuali ed escludendo il risarcimento del danno subito per tale rinnovo".

Inoltre la legge italiana "non prevede criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo risponda ad un'esigenza reale, sia idoneo a conseguire l'obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine". E "non contempla neanche altre misure dirette a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo a tali contratti". Trattandosi di un rinvio pregiudiziale, e cioè di quel meccanismo che consente ai giudici degli Stati membri di interpellare la Corte in merito all'interpretazione del diritto dell'Unione, la Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta infatti al giudice del Paese Ue risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte europea.