“Io sono da sette anni una precaria, una lavoratrice atipica, non ho mai conosciuto il lavoro vero. Ho lasciato la mia città per trasferirmi a Palermo e ho un contratto di  associata in partecipazione in un grande magazzino. Mi occupo del settore dell’arredamento.  Percepisco solo una percentuale su quello che vendo. Ma lavoro come e quanto un lavoratore a tempo  indeterminato. E rispetto agli altri,  non potrò mettere su famiglia. Questa realtà di lavoratrice non me lo consente”. Giusi è tra le prime a prendere la parola davanti alla platea di 277 delegati riuniti per la Conferenza di organizzazione della Cgil di Palermo, che si svolge all’ex deposito delle Locomotive. Un grande padiglione, esempio dell’archeologia industriale della città, oggi trasformato in sede del Museo del Mare, che ospita la convention della Cgil, addobbato con le bandiere rosse  e gli slogan che parlando di inclusione e contrattazione, partecipazione, e con la pausa pranzo dei militanti organizzata tra gli stand con il cibo “da strada”, lo street food, panelle, caponata, pane con la milza. 
 
Nella sala rimbombano le richieste di aiuto al sindacato, gli Sos lanciati da lavoratori con l’acqua alla gola, stretti tra la paura di un futuro incerto, con la crisi che avvolge le poche grandi realtà che rimangono, come i Cantieri Navali, dove a metà giugno è stata chiusa la prima officina e i carichi di lavoro sono agli sgoccioli. Ma anche Emanuele Ribaudo, giovane delegato Fisac, di Unicredit,  considerato fino a ieri un “privilegiato”, ha aperto il suo intervento così: “Appartengo a una generazione che futuro non ne ha”. “Palermo è stata tagliata fuori. Mentre nelle altre sedi  Fincantieri ha assicurato le commesse, noi siamo l’unico cantiere senza lavoro -  è la critica che fa Serafino Biondo, delegato Fiom, che sprona la Cgil a essere più presente sui posti di lavoro - Questo la dice lunga sull’interesse dimostrato dalla politica siciliana. E la Fiat? Speriamo si torni a produrre, in un territorio, come quello di Termini Imerese,  che la Fiat ha usato e poi ha ingiustamente abbandonato. Anche lì sembra una situazione a perdere. Non si sa quando  ripartirà la nuova produzione, con questa società che ha rilevato lo stabilimento. Noi dei Cantieri Navali siamo solidali con gli ex lavoratori della Fiat, e con quelli dell’indotto, perché  da mesi non prendono gli ammortizzatori sociali”.

Susanna Camusso sul palco centrale ascolta gli sfoghi: dieci minuti sono concessi a ciascuno dei 16 relatori  per descrivere  lo stato di lavoro in ciascuna azienda, che siano le Poste o le Ferrovie, la scuola o il cantiere edile,  il Cantiere Navale o la Rai. Poi suona una sirena. E si passa all’altro intervento. “La Sicilia, come tutte le regioni del Mezzogiorno, è stata abbandonata - dirà la segretaria nazionale nelle sue conclusioni  -  Sono abbandonati i lavoratori edili, che non hanno più prospettive. E la Sicilia è stata abbandonata da Ansaldo Breda, che ha venduto ai cinesi tutti gli stabilimenti tranne quello di Carini, e da Fincantieri, che  non dà futuro al Cantiere Navale. In tutto questo c’è una responsabilità della Regione, il presidente Crocetta dovrebbe interrogarsi se è stato fatto il possibile per non fare scappare le aziende. Tra gli annunci e la realizzazione concreta  passa un tempo infinito. Per il Mezzogiorno bisogna cambiare passo. Servono investimenti certi, per creare crescita,  lavoro e sviluppo”.

Le risposte ai lavoratori confusi, preoccupati, sempre più scoraggiati la Cgil di Palermo è pronta a darli, rimettendosi in discussione, aprendo sportelli e spazi per il confronto sindacale in luoghi dove non è mai esistita. “La nostra conferenza di organizzazione è una occasione importante per discutere non solo di come rinnovare la Cgil e modificare il nostro modello organizzativo. Ma soprattutto per mettere al centro della nostra riflessione il lavoro – replica il segretario della Cgil di Palermo Enzo Campo – Il lavoro che c’è ma soprattutto quello precario, quello parcellizzato, quello che perde valore e lascia le persone sempre più sole”. La Cgil di Palermo ha preparato il suo documento da votare alla fine della giornata. “Sarà la traduzione in palermitano della Conferenza di Organizzazione – ha aggiunto Campo, parla di lavoro “rotto”, una frattura  che ha prodotto la rabbia e la solitudine dei lavoratori -  Quando le grandi aziende nazionali pubbliche devono fare dei tagli, tagliano nel Mezzogiorno, soprattutto in Sicilia e a Palermo. Mentre quando devono fare investimenti nazionali, ci prendono in considerazione solo per le grandi emergenze. Come ha fatto l’Anas, dopo il crollo del viadotto sulla Palermo-Catania. Le Ferrovie dello Stato da 25 anni non investono nella nostra regione e adoperano solo la tecnica del disservizio e del taglio dei rami secchi. Il trasporto si è trasferito così sul gommato: ci sono cinque famiglie che con le loro autolinee si spartiscono 165 milioni della Regione”.

Una Sicilia dove si assiste allo smantellamento delle aree produttive da una parte. E dall’altra la nascita di una nuova classe operaia povera, che ha sostituito tute blu e operai edili: i lavoratori dei call center, 10mila dei quali solo in provincia di Palermo, con i loro contratti  part-time  e paghe oscillanti tra  600 e le 800 euro al mese. “Sono loro oggi il prototipo del lavoro povero, precario e con poche tutele, esposti alle delocalizzazioni e quindi alla perdita di questo misero lavoro”, ha ribadito Campo, ricordando che a Palermo si sono persi, tra il 2008 e il 2014, 47 mila posti di lavoro, in Sicilia 156 mila e nel Mezzogiorno 576 mila. Un’economia sempre più fragile, quella palermitana dove la disoccupazione totale è salita da 16,9 per cento al 23, 2 per cento, i disoccupati sono passati da 74 mila a 95 mila, gli investimenti sono crollati del 50 per cento. “Eppure – conclude il segretario Enzo Campo - ci sono tanti settori che potrebbero dare un futuro a migliaia di  giovani, nei quali siamo pronti ad avviare vertenzialità strategiche con il Comune e con la Regione, dall’edilizia scolastica a pezzi alla messa in sicurezza del territorio, contro il  dissesto idrogeologico, alla manutenzione delle strade”.

A distanza di un anno dal congresso della Cgil,
la crisi continua. E anche nelle parole del segretario della Cgil Sicilia, Michele Pagliaro, trapelano considerazioni amare. “La ripresa è  solo nella propaganda dei politici. E’ stato smantellato lo stato sociale e anche le scelte per curare l’economia malata  sono fallite. Le scelte politiche  hanno portato il Paese  a non potere competere e non è stato investito in sviluppo e innovazione. Ecco perché riteniamo utile investire  su uno stato sociale inclusivo, sulla formazione, sull’innovazione”. “In questi anni – aggiunge Pagliaro – si è scelto di fare pagare la crisi ai più deboli. Il governo si era impegnato a colpire evasione fiscale, corruzione, a mettere in campo le riforme. Anche la spending review si è fermata davanti ai poteri forti. Credo sia opportuno riflettere su come siamo fatti noi e come è fatto il mondo che vogliamo rappresentare. Sono queste le domande alle quali dobbiamo dare una risposta. Oggi non stiamo celebrando un altro congresso ma stiamo parlando di noi stessi. Prima di dire che la conferenza di organizzazione è una occasione mancata, come ha detto qualcuno qui dentro, proviamoci. Proviamo a sviluppare le nostre idee sui luoghi di lavoro, proviamo a trasmettere fiducia e inclusione identitaria, proviamo a rendere protagonisti i lavoratori, innoviamoci, diamo ai lavoratori obiettivi e  protagonismo”.

Un guanto di sfida che i lavoratori intendono raccogliere. Piero Galli, della Flai, è uno dei 22mila “chiacchierati forestali della Sicilia”. “Su di noi ci sono tante strumentalizzazioni, che il  governo regionale  continua ad alimentare. La nostra unica colpa è di non essere utilizzati nei tempi e nei modi giusti, per il bene di questa terra. Ma per quanto riguarda il sindacato, posso dire che ho conosciuto la Cgil appena ventenne, ero lavoratore stagionale da poco. E  nel momento del bisogno ho incontrato il sindacato che rispondeva alle mie necessità, la Cgil, fondato sulla solidarietà.  Un sindacato che va a cercare i lavoratori piuttosto che stare dietro le scrivanie. Oggi anche noi  andremo, coadiuvati dall’Inca, sui territori, in mezzo ai campi, con i furgoni  e la  connessione Internet,  per prestare aiuto a tutti i lavoratori in difficoltà”.