Il lavoro è sempre più precario e vuoto di significato. È il segno di un mondo in crisi. Ma solo nella realtà, perché se passiamo alla dimensione virtuale le cose cambiano. E il lavoro riconquista tutta la sua forza e il suo senso.

Super Mario, uno tra i più famosi personaggi dei videogiochi, non ha particolari superpoteri ma un lavoro: è un idraulico che, per una specie di infortunio, finisce in un tubo che stava riparando e si ritrova a combattere in un mondo parallelo contro tartarughe e funghi infestanti. Dopo i primi videogiochi ambientati nello spazio o in mondi fantastici dove impersonare maghi e nobili cavalieri, nel 1981 “Mario” irrompe sulle scene come il primo eroe “proletario” dell’era virtuale.

Negli stessi anni si sviluppa anche una diversa idea di videogioco. La maggior parte dei titoli delle software-house avevano avuto fino ad allora uno sviluppo lineare e ripetitivo, così i programmatori osarono di più: fecero la loro comparsa i videogiochi gestionali. Scopo principale era (ed è) quello di gestire un’attività, sia essa uno stato, un’azienda o la vita quotidiana del personaggio. La definizione è ampia e spesso si è fusa e confusa con altre. I padri del genere, “Hamurabi” e “Santa Paravia and Fiumaccio” permettevano già nei primi anni ‘80 di vestire i panni del celebre re babilonese e di un signore del Rinascimento impegnati nella gestione del regno.

Il loro successo ha fatto sì che negli anni si sviluppassero altri giochi simili, dove l’obiettivo è addirittura quello di far evolvere intere civiltà dalla preistoria al viaggio nello spazio, come “Civilization”, di gran lunga il più curato e celebrato. La dimensione del lavoro in questi videogiochi è ancora piuttosto astratta, diventa invece ben più concreta quando il compito del giocatore diventa quello di gestire un’attività aziendale.

Titoli come “Transport Tycoon”, “Theme Hospital”, “Restaurant Empire”, “Theme Park”, “Sim City”, consentono di organizzare ferrovie, ristoranti, ospedali, parchi a tema ed intere città, imponendo di stare attenti ad ogni aspetto per ottenere la vittoria. L'immagine del lavoro che trasmettono è presa dal punto di vista dei “padroni”, i lavoratori nel gioco sono spesso fonte di problemi e noie, costringono il giocatore-manager a licenziarli o accontentarli con gli occhi rivolti solo al bilancio, al risultato finale, trascurando ogni aspetto “umano”. Accettando le dinamiche del gioco i problemi virtuali, scioperi o carenze professionali sono e devono essere trattati con freddezza e calcolo.

Non sempre è così; ci sono casi in cui il punto di vista si sposta sul lavoratore. “The Sims” con decine di titoli ha permesso a milioni di giocatori di gestire la vita quotidiana di un avatar, controllandone bisogni primari, sentimenti, aspirazioni e la carriera lavorativa. Nel gioco si possono scegliere molti lavori: si parte dalla gavetta fino ad arrivare ai vertici del proprio settore; il lavoro è un fattore decisivo, serve per accumulare denaro e mettere su famiglia, ma soprattutto nel tempo gratifica il personaggio e lo fa crescere.

Questa dimensione è presente anche in altri giochi, dove però è messa in secondo piano. Nei videogiochi di ruolo l’obiettivo principale è terminare l’avventura sconfiggendo i nemici, alternando al filone principale delle sottotrame in cui è possibile agire con la massima libertà.

Nella saga “Fable” ad esempio è possibile sposarsi ed avviare varie attività lavorative: con pazienza e buona volontà possiamo farci assumere, guadagnando onestamente quanto ci serve. In questo modo possiamo far evolvere il nostro personaggio come un “buono”, mentre in alternativa dovremmo scegliere una carriera criminale, fatta di furti e omicidi su commissione, connotando negativamente il nostro “eroe”. Il lavoro ha una valenza positiva, responsabilizza il giocatore inducendolo a rispettare i propri impegni.

Stessa cosa accade nei videogiochi di ultima generazione, che sfruttano come sola ed unica piattaforma la rete, in particolare i social network. Giochi come “Farmville”, “Cityville” ed altri incollano gli utenti agli schermi, creando in alcuni casi vere e proprie dipendenze. Gestire un’azienda o svolgere un impiego virtuale diviene, per chi ci gioca assiduamente, un impegno quotidiano fondamentale ai fini del gioco, tanto vero e sentito che spesso però porta via tempo alle attività della vita reale.

Insomma, i videogiochi sono oggi un universo in divenire, integrato ed accettato dalla società che in essi rispecchia i suoi valori, le sue paure e speranze. E il lavoro è entrato perciò a pieno titolo in questo universo che a suo modo cerca di dare risposte a chi oggi vede vacillare un aspetto fondamentale della propria vita. I videogiochi sono cresciuti con noi e non possono che far parte della nostra vita, condividendone la realtà, per quanto possibile. In fondo quei ragazzi che ieri giocavano a “Super Mario” oggi sono cresciuti.