Nella crisi che stiamo vivendo le responsabilità di industriali e imprenditori sono numerose. “In Italia registriamo un ritardo pauroso negli investimenti. Si tratta dello spread più pericoloso e che ci attanaglia da una ventina d'anni: da ben oltre, dunque, l’inizio della crisi”. Così, questa mattina, il segretario confederale nazionale della Cgil, Fabrizio Solari, intervenuto ai microfoni di Radioarticolo1 nel corso di “Italia Parla” (qui il podcast). Il nostro apparato produttivo e dei servizi, ha aggiunto Solari, “mostra una scarsa propensione all’innovazione. Gli imprenditori hanno utilizzato le proprie risorse finanziarie, per nulla intaccate dalla crisi, per dirigerle verso le rendite anziché in investimenti produttivi. Questo nodo resta irrisolto, e nessun intervento del governo se ne sta occupando”.

D’altro canto, al ministero dello Sviluppo economico sono aperti oltre 150 tavoli di crisi. “E sono crisi durissime – riprende il sindacalista –. Si tratta di aziende che non hanno una prospettiva e dove è in gioco l'occupazione, lo sviluppo, la permanenza in vita dell'azienda stessa. Un tempo queste vertenze andavano al ministero del Lavoro, dove si tentava una mediazione fra le parti e si mettevano in campo gli ammortizzatori per provare a attutire i morsi della crisi. Il primo errore sta in questo spostamento: il Mise dovrebbe, infatti, occuparsi di come si costruiscono le condizioni che prevengono le crisi di impresa, cioè di come si fa programmazione e politica industriale. I tavoli al Mise dovrebbero costruire le condizioni perché non si aprano i tavoli di crisi vera e propria. Ma così non avviene”.

“La crisi che stiamo gestendo è l'ultimo cascame di un'ideologia che ha toccato il suo culmine 20, 25 anni fa e che sostanzialmente sosteneva che lasciando libero il mercato le cose sarebbero andate a posto e lo sviluppo assicurato – ha aggiunto il sindacalista –. Ma non è andata così. Tanto è che parti gli Usa con la presidenza Obama si è deciso di mettere in campo una politica monetaria e industriale espansiva. Faccio un esempio. Quando Obama ha deciso di favorire la vendita di Chrysler a Fiat ha posto delle condizioni alla Fiat. Ovvero: sviluppare un'automobile basata sul policombustibile, investire in ricerca e sviluppo e creare una filiera tecnologica di un certo tipo. Ecco, questo è esattamente ciò che in Italia non si è più fatto da venti anni a questa parte, cioè da quando non ci sono più le partecipazioni statali”.

Questo per Solari, non vuol dire che negli anni delle partecipazioni statali tutto funzionava alla perfezione, però si trattativa di un’epoca in cui lo Stato faceva politica industriale e soprattutto “contribuiva a generare anche una classe dirigente di cui ancora oggi abbiamo traccia nel nostro paese. Quando si è affermata l'ideologia neoliberista e una politica delle privatizzazioni questa capacità di guidare il mercato non è stata allocata da nessuna parte, il mercato ha fatto da sé e i risultati li abbiamo tutti sotto agli occhi. La nostra impresa ha saltato un ciclo di investimenti si è illusa di poter competere abbattendo diritti e costo del lavoro. Invece, si è ritrovata in una condizione in cui puoi comprimere i costi finché vuoi ma non sarai mai competitivo con i paesi emergenti. La competizione possibile è sulla qualità, ma per competere sulla qualità occorrono investimenti e scelte. E così torniamo al punto da cui siamo partiti”.

Infine, il segretario Cgil è intervenuto sui casi industriali più “spinosi” del momento: Ilva e Ast di Terni: “Il decreto Ilva – ha detto – va cambiato. È evidente che senza intervento straordinario dello Stato non c’è futuro”, ma così com’è oggi il decreto non dà certezze: “I due miliardi di cui si parla, che dovrebbero essere oggetto del sequestro da parte dell'autorità giudiziaria nei confronti dei Riva, per essere realmente messi a disposizione e arrivare all'indotto o ai fornitori o a chi deve fare gli investimenti per ristrutturare quel sito, ha ancora bisogno di qualche passaggio pure di natura legislativa. Se non si colma rapidamente questo gap, la situazione è quella che abbiamo sotto gli occhi: un'azienda che non solo è in agonia dal punto di vista della sua possibilità di sopravvivere, ma che rischia di entrare in un ciclo infernale nel momento in cui non riesce a garantire il normale flusso finanziario necessario per la produzione quotidiana. Quindi alla cassa integrazione, già ampiamente utilizzata, si potrebbero così aggiungere ulteriori disastri”.

Quanto all’Ast di Terni
, nel giorno in cui i sindacati del comparto metalmeccanico tornano a varcare i cancelli di viale Brin per incontrare l'amministratore delegato Lucia Morselli per una prima verifica dell'accordo siglato il 3 dicembre, siamo all’inizio di una vertenza ancora lunga: “L’accordo – ha concluso il dirigente Cgil – ha segnato uno stop rispetto a una scelta di disinvestimenti e di lenta depauperazione di quel sito produttivo. Si tratta ora di capire se nel concreto, oltre che fermare quella deriva, si può iniziare la risalita. Tentare cioè di costruire una prospettiva reale e concreta per il futuro”.