L'articolo che segue è tratto dal nuovo numero de Il Magazine, l'inserto realizzato dalla Filcams Cgil insieme a Rassegna Sindacale.

La lotta al virus è diventata presto una vera e propria guerra, con le sue battaglie, i suoi coprifuoco e le sue strategie difensive. E la prima linea non è solo nei pronto soccorso e nei reparti che accolgono i pazienti infetti, dove pure si combatte più aspramente che in qualsiasi altro luogo. La prima linea attraversa silenziosamente le città, le tocca in tante parti, come una nervatura scoperta e vulnerabile. Attraversa negozi, supermercati, grandi magazzini, posti dove il lavoro va avanti e le nuove regole che dovrebbero garantirne la sicurezza non sono sempre applicate dalla direzione dei punti vendita e rispettate con criterio dalla clientela. I lavoratori del commercio e della grande distribuzione sono preoccupati, disorientati, si trovano ogni giorno in un loro speciale occhio del ciclone.

“Ci sono da una parte le disposizioni del governo e dall’altra quello che la gente recepisce” osserva Flora, impiegata nel negozio Leroy Merlin di Brescia, dapprima chiuso come esercizio commerciale non essenziale, in seguito alle direttive governative ancora più serrate dell’11 marzo, e dopo solo un giorno riaperto. Nel frattempo i numeri dell’epidemia, promossa a pandemia, crescono a un ritmo incalzante. I clienti del negozio dove lavora Flora sono calati, ma sono sempre abbastanza, e se escono di casa “per venire a comprare una piantina c’è qualcosa che non va”, ci spiega. “Tra loro molti privati, non professionisti, che hanno probabilmente deciso di utilizzare il tempo forzato a casa per fare dei lavori”. Niente che non possa essere rimandato a un momento migliore.

I lavoratori avevano chiesto di poter utilizzare le mascherine, ma prima della stretta del decreto del 9 marzo la direzione del negozio aveva risposto di no per rispettare, sostenevano, le regole del ministero della Salute, che prevedevano la protezione solo per gli operatori sanitari e le persone malate. “I primi a indossarle sono stati i colleghi che hanno parenti anziani o a rischio. Se le sono procurate da soli. Ma il 9 marzo abbiamo ribadito le nostre necessità e finalmente abbiamo trovato una linea più accomodante”. Le mascherine però non c’erano, gli ordini erano stati dirottati verso le strutture sanitarie.

“Noi nei supermercati siamo stati lasciati un po’ allo sbando – dice Sandro, che lavora in un negozio Conad di Desenzano del Garda –. Il primo giorno dopo l’uscita del decreto sono stati esposti dei cartelli con avvisi e norme, in tarda mattinata, senza però che nessuno controllasse i flussi all’entrata, e le persone si ammassavano come sempre alle casse”. I controlli hanno maglie larghe anche in città, dove basta dire che ci si muove per lavoro o per fare la spesa per continuare a girare. “Fanno sempre vedere Milano deserta in televisione, come se fosse così dappertutto, ma domenica, l’8 marzo, e anche nei giorni seguenti, da noi ho visto ancora tanta gente in giro”. L’azienda ha fornito le mascherine, però il rispetto delle norme appare sempre vago e inadeguato. “Tra i lavoratori c’è frustrazione, rabbia, se non si seguono le regole si va a lavorare così, con questo stato d’animo: ci voleva qualche parola più decisa per noi”.

“La gente non sa bene le cose, vive di fretta, non osserva la distanza di sicurezza – spiega Roberto, addetto dell’Esselunga di Curno, nel bergamasco –. Da noi i clienti si mostrano anche scocciati, non capiscono che si devono osservare queste direttive per il bene di tutti, il loro e il nostro”. I lavoratori vivono la nuova condizione, così velocemente accampata nel loro quotidiano, con ansia e apprensione. “È una situazione surreale. Le mascherine prima c’erano per chi desiderava usarle, poi dopo il decreto l’attenzione dell’azienda è aumentata e sono state distribuite a tutti. Ma quelle che ci arrivano sono di stoffa, non sono protezioni sufficienti, lo ha detto anche una dottoressa dell’ospedale. Basterebbe un po’ di attenzione, da tutte le parti. La distanza non è sempre rispettata e il numero di clienti in negozio non è sempre contenuto. Si creano assembramenti, se ne sono accorti e lamentati anche alcuni clienti: si accalcano alle casse e nascono facilmente delle tensioni”.

“Abbiamo paura, ma cerchiamo di restare sereni e continuare a lavorare con pazienza, con la dedizione di sempre” racconta Rosanna, cassiera del negozio Margherita di Modugno, a Bari. Le casse sono le postazioni più difficili. “Ci sono clienti che riescono a seguire le nuove procedure, ad altri invece non importa niente, ci aggrediscono, ci dicono che è tutta una fesseria, che siamo noi che ci crediamo. Ho chiesto al direttore l’autorizzazione a rispondere, garbatamente, a questi attacchi e mi è stata accordata”. All’inizio dell’emergenza sanitaria Rosanna e i suoi colleghi hanno avuto i disinfettanti per pulire la postazione, poi è arrivato il detergente per le mani. Per ultime, solo dopo il decreto del 9 marzo, le mascherine, ma non ce ne sono per tutti. Dei segni sul pavimento indicano le barriere, i punti da non oltrepassare in attesa del proprio turno, ma non bastano. “Dobbiamo dire a ogni cliente di non superare la linea, di non avvicinarsi troppo. Ci parlano in faccia, ci stranutiscono davanti. Siamo in balìa del buon senso delle persone, o della sua mancanza. Ci vorrebbero delle chiusure per sanificare periodicamente l’ambiente, si potrebbe fare a meno di fare la spesa la domenica, ad esempio. “Ma continuiamo a fare il nostro lavoro responsabilmente”, conclude con qualche amarezza e tanta tenacia. “Non abbiamo altra scelta, dobbiamo stare sul campo”.

Per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori del commercio e della grande distribuzione impegnati ad affrontare questa nuova sfida, le organizzazioni sindacali di categoria l’11 marzo hanno inviato una lettera unitaria alle associazioni datoriali e alle aziende del settore per chiedere il rispetto delle misure precauzionali necessarie a contenere la diffusione del virus e a garantire e rassicurare i lavoratori. Esporre tutta l’informativa prevista, dotare i lavoratori di guanti protettivi, fornire gel disinfettante per le mani a loro e alla clientela, effettuare interventi di pulizia e sanificazione straordinaria per tutta la durata dell’emergenza, controllare il numero degli ingressi, coinvolgere le rappresentanze sindacali sulle misure adottate dalle aziende: gettare insomma un fascio di luce su questa prima linea, impegnata ad assicurare un servizio necessario alla comunità, e farne quanto possibile un luogo dignitoso e protetto.