Ore di attesa, a Taranto. L’appuntamento è per venerdì 3 agosto, il giorno in cui il tribunale del riesame dovrà pronunciarsi sul provvedimento del gip che, sequestrando sei impianti dell’area a caldo dell’Ilva – per disastro ambientale, la stessa ragione per cui i Riva padre e figlio e altri sei indagati sono finiti agli arresti domiciliari –, mettendo quindi in forse il futuro dello stabilimento siderurgico, ha scatenato un’autentica sollevazione popolare.

Dopo la frenetica giornata del 27 luglio – con l’assemblea in fabbrica dei segretari generali di Fiom, Fim e Uilm, l’assicurazione da parte di Bruno Ferrante, presidente di Ilva Spa, che l’azienda non intendeva smobilitare, la notizia che il successivo round in tribunale si sarebbe tenuto in tempi rapidissimi, e la constatazione che l’ordinanza del gip non significava l’immediato spegnimento –, la tensione si era allentata, lo sciopero a oltranza era stato interrotto. Poi, lunedì 30, con l’arrivo nello stabilimento dei custodi amministrativi nominati dal giudice, ancora grande fibrillazione.

Una continua altalena, insomma. In attesa del 3 agosto, dicevamo, e del nuovo verdetto, che saranno preceduti il 2 agosto da uno sciopero nazionale di 4 ore per ogni turno di lavoro in tutto il gruppo, e da una manifestazione cittadina cui parteciperanno i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil e di Fiom, Fim e Uilm. Aspettando per l’appunto il venerdì del riesame, proviamo a riflettere su quanto finora è accaduto con Luigi D’Isabella, segretario generale della Camera del lavoro di Taranto.

Rassegna La vicenda dell’Ilva è apparsa come l’ennesimo caso, oggi il più eclatante, di una frattura, quella tra ambiente e lavoro, che nel nostro paese non si riesce a sanare. In città, a causa delle sostanze emesse dall’azienda, ci si ammala e si muore; e questo con i dipendenti dello stabilimento – ricordiamolo: più di 11.500 diretti, età media fra i 30 e i 35 anni, oltre alla densa popolazione dell’indotto – costretti da sempre a subire i danni provocati dalle emissioni in cambio della certezza di un reddito.

D’Isabella La frattura c’è e i danni causati dall’Ilva alla salute e all’ambiente, nel corso del tempo, sono gravissimi. Quel che però in tutta questa vicenda è passato inosservato è l’impegno nostro, dico di noi della Cgil, della Fiom, del sindacato, per provare a fare un salto in avanti, per ricomporre progressivamente quella frattura. Un impegno che negli ultimi mesi, sapendo che un provvedimento della magistratura doveva arrivare – l’incidente probatorio è stato chiuso il 30 marzo – si è intensificato.

Rassegna In che modo?

D’Isabella Da un lato chiedendo all’Ilva garanzie circa la sua permanenza a Taranto; garanzie, si badi, fondate su concreti interventi per l’ambientalizzazione. E facendo tutto il possibile, dall’altro, perché si accelerassero i lavori del tavolo istituzionale – governo, Regione ed enti locali – aperto a Roma sul caso Taranto. Tavolo che, come si sa, è approdato a un protocollo d’intesa sulle bonifiche, gli interventi portuali, la riqualificazione della città, stanziando a questo scopo più di 336 milioni di euro.

Rassegna Un atto importante, hanno commentato i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. Ma l’Ilva?

D’Isabella Bruno Ferrante ha detto espressamente che l’azienda vuol restare a Taranto. Adesso il gruppo dovrà esporre al magistrato le iniziative che intende adottare in tema di sicurezza e ambiente. L’Ilva, come ricordava il segretario generale della Fiom Maurizio Landini all’assemblea del 27 luglio, deve fare un passo avanti, deve garantire nuovi interventi.

Rassegna Nuovi interventi, tu dici. Quanto realizzato finora è oggetto di molte discussioni...

D’Isabella Con la legge sulla diossina approvata dalla Regione Puglia siamo passati in pochi anni da circa 8 nanogrammi a metro cubo agli attuali 0,2: un risultato molto positivo. Ma non basta, qui non parliamo solo di diossina. L’azienda deve andare ben oltre. Il punto, però, la questione su cui insistiamo, è che tutti i processi di ambientalizzazione devono essere compiuti con gli impianti regolarmente funzionanti: lo spegnimento significherebbe chiudere. Si può fare di più, molto di più. Ma, ripeto, occorre trovare le modalità per realizzare gli interventi con gli impianti in funzione. Tenere in piedi l’attività, fra l’altro, significa generare anche la ricchezza che permette di proseguire nel risanamento. È la ragionevolezza il criterio che ha ispirato finora le nostre azioni. Ed è questo il comun denominatore dello schieramento, ampio, costruito in nome della salvezza dell’Iva. L’inquinamento c’era e c’è. Ma bisogna lavorare per ridurlo al minimo salvando l’Ilva, realtà che è uno degli architravi della grande industria italiana…

Rassegna … di quel che rimane…

D’Isabella Già... La frattura di cui parlavamo inizialmente, insomma, qui c’è qualcuno che prova a sanarla. Per far crescere un’azienda in cui, vorrei ricordare, operano professionalità, in gran parte giovani, quotidianamente impegnate proprio su questi temi.

Rassegna Toccando ferro, proviamo per un attimo a immaginare il contrario: se l’Ilva chiudesse?

D’Isabella Se chiudesse la tensione si farebbe incontrollabile. In un primo momento. Poi avremmo una generale implosione, economica e sociale, che ovviamente non riguarderebbe solo la nostra città. L’Ilva è il più grande stabilimento siderurgico d’Europa: le ripercussioni sull’economia meridionale, e più in generale sul fabbisogno di acciaio del paese, sarebbero assai gravi.