PHOTO
Lede i diritti dei lavoratori e compromette la funzionalità delle aziende. Questo il giudizio della Cgil sul documento del ministero della Salute inerente la prevenzione degli infortuni correlati all’assunzione di alcolici e sostanze stupefacenti, presentato nel dicembre scorso. Un orientamento condiviso da Cisl e Uil, che ha portato alla stesura unitaria di una “Nota” (scarica il documento), lunga e articolata, nella quale si contestano gli aspetti più controversi, indicando punto per punto tutte le eventuali aggiunte o correzioni. E che, secondo quanto si apprende, potrebbe spingere lo stesso ministero a ritirare l’attuale bozza di provvedimento e a presentarne un’altra dove sarebbero accolte gran parte delle osservazioni di parte sindacale.
“La problematica – spiega Sebastiano Calleri, responsabile dell’Ufficio salute e sicurezza della Cgil nazionale – era stata affrontata dal Testo Unico, che contemplava una revisione delle cosiddette linee guida per l’accertamento nei luoghi di lavoro delle possibili situazioni di tossicodipendenza e abuso di alcolici. E sottolineo la parola ‘abuso’, perché la normativa non prevedeva una sanzione dell’uso eventuale e, soprattutto, non in costanza di lavoro”. Il Testo Unico, quindi, indicava la necessità (articolo 41, comma 4-bis) di rivedere l’intera materia, attualmente contenuta in diversi provvedimenti (del 2006, 2007 e 2008). “L’esigenza – continua Calleri – è quella di rielaborare la stessa legislazione, poiché si è evidenziato che non sempre essa è interpretata correttamente, provocando episodi incresciosi e un ampio contenzioso tra lavoratori e aziende”. Inoltre, come precisa il documento del governo, l’assenza di un protocollo nazionale ha indotto le Regioni a dotarsi di normative differenti, con conseguenti valutazioni e comportamenti differenziati degli organi di vigilanza nelle varie regioni.
Arriviamo così a oggi, precisamente al dicembre scorso, con la proposta del ministero della Salute, in sede di Commissione consultiva permanente presso il ministero del Lavoro, di un documento che unifica la legislazione, introducendo anche alcune rilevanti novità. “Il primo aspetto negativo è il riferimento continuo del documento allo ‘stile di vita’ dei lavoratori e delle lavoratrici, e non, più correttamente, alla gestione delle eventuali e accertate dipendenze durante l’orario di lavoro” illustra il responsabile sicurezza Cgil, aggiungendo che in questo modo “si indaga e si stigmatizza la vita delle persone anche al di fuori del contesto lavorativo, per altro con un’impostazione molto punitiva”.
Un secondo aspetto contestato dai sindacati è l’introduzione di un’ulteriore diminuzione delle garanzie per quei lavoratori che non rispettano l’obbligo di effettuare i test. “Questi lavoratori – riprende Calleri – vengono lasciati in una sorta di limbo, non ben regolamentato, dove vige esclusivamente la discrezionalità del datore di lavoro. Noi non vogliamo certo promuovere una cultura della non-responsabilità, ma bisogna avere chiaro che queste situazioni si gestiscono mediante una corretta collaborazione fra sistema di prevenzione e protezione, rappresentanza sindacale, medico competente, organismi di vigilanza e strutture della medicina del lavoro. Senza queste avvertenze, queste procedure possono portare a situazioni molto negative e anche a licenziamenti discriminatori”.
Sono numerose le questioni su cui Cgil, Cisl e Uil hanno espresso perplessità, è dunque impossibile riportarle tutte. Terminiamo la nostra breve disamina affrontando un ultimo aspetto critico, quello relativo ai test di accertamento. Su questo tema, il primo punto contestato è la revisione della tabella che elenca le diverse mansioni sottoposte in via obbligatoria ai test, tabella “ampliata in maniera eccessiva, e senza fornire sufficienti dati a supporto di questa decisione”. Il secondo riguarda la scelta del tipo di test: “se si usano esami eccessivamente invasivi – conclude il responsabile dell’Ufficio salute e sicurezza della Cgil nazionale – si va a indagare su aspetti della vita personale del lavoratore che non costituiscono l’oggetto e la ragione per cui si fanno gli stessi test. Ad esempio, nell’ipotesi prospettata dell’utilizzo generalizzato del test del capello, i risultati potrebbero tracciare l’uso di sostanze dopo settimane, o addirittura mesi, dal momento dell’assunzione”.