“A distanza di quarant’anni dalla sua istituzione, il Servizio sanitario nazionale è ormai quasi al collasso. Sulla sanità si ragiona in termini economici e il diritto universale alla salute viene messo in discussione”. Così la segretaria confederale Cgil, Rossana Dettori, ai microfoni di Italia Parla, la rubrica quotidiana di RadioArticolo1.

“Poi ci sono le carenze di natura organizzativa negli ospedali, dai posti letto sempre più insufficienti rispetto alla media Ocse, con i pronto soccorso, che dovrebbero essere il primo punto di accoglienza dei malati, in condizioni così drammatiche che gridano vendetta per quanto sono affollati. C’è un problema di numeri, dovuto al personale insufficiente per via del blocco annoso del turn over, a carenze di ogni tipo, con gli infermieri costretti spesso a subire le aggressioni di cittadini infuriati per i ripetuti episodi di malasanità. I sindacati, e in primo piano la Cgil, si sono molto spesi in questi anni sulla valorizzazione di questa figura professionale, che rimane il primo operatore che gli utenti si trovano davanti. Negli anni, c’è stata un’evoluzione della loro formazione professionale: siamo passati dall’infermiere col biennio di scuola media superiore al diploma e oggi, alla laurea con sviluppi di competenze molto forti”, ha affermato la dirigente sindacale.

“D’altro canto, c’è il mancato rinnovo contrattuale - che la Fp Cgil rivendica in modo molto forte - e che permetterebbe di mettere le mani sull’organizzazione dei turni, sull’organizzazione del lavoro e quant’altro. Il caos coinvolge anche i medici, sottodimensionati rispetto alle piante organiche, soprattutto, ma non solo, quelli di medicina generale. Un problema destinato ad acuirsi, se è vero che entro cinque anni andranno in pensione circa 50.000 camici bianchi, dei quali 14.000 sono medici di famiglia, gli altri sono medici di specializzazione e le nostre università, per via del numero chiuso, non sono in grado di sfornarne altrettanti. Ma il disordine del Ssn coinvolge anche i servizi territoriali – come da tempo denunciamo -. Noi non siamo ideologicamente contrari a un’azione di ristrutturazione delle strutture ospedaliere, ma nel contempo giudichiamo fondamentale che, a fronte della riduzione dei posti letto e della chiusura di alcuni ospedali, si proceda a una riorganizzazione dei servizi territoriali, come case famiglie, case della salute, ecc. Il problema vero è che ci sia un punto sul territorio che diventi il luogo dove va il cittadino, una volta uscito dall’ospedale, con una facilità di accesso e di presa in carico completa”, ha rilevato ancora la sindacalista.

“Siamo preoccupati per quanto potrà accadere nei prossimi anni. La quota di Pil destinata al Ssn è pari al 6,5%, ed è in costante diminuzione, tanto che abbiamo già raggiunto la soglia di allarme secondo l’Organizzazione mondiale della sanità. Nello stesso tempo, sono dieci anni che gli operatori del settore attendono il rinnovo contrattuale. Per martedì 20 febbraio è stato convocato il tavolo negoziale e i medici hanno fatto rientrare uno sciopero programmato tre giorni dopo. Uno dei nodi sul tappeto è quello delle risorse, che, secondo noi, non può essere usato per dire che non rinnova il ccnl. Le risorse vanno trovate, e in caso contrario non si deve mettere in discussione il servizio, perché sono due diritti che non possono essere messi in contrapposizione, il diritto alla salute dei cittadini e il diritto al contratto dei lavoratori pubblici della sanità: l’uno non è a scapito dell’altro. Il valore di questo contratto, oltrechè a mettere in campo gli aumenti dovuti, è lo strumento per arrivare a una nuova organizzazione del lavoro, con la possibilità di contrattare orari e turni, per far sì che il sistema funzioni in maniera diversa e risponda ai bisogni dei cittadini, parimenti valorizzando gli operatori. Le controparti, Stato e Regioni, non devono e non possono sottrarsi dal mettere in campo le risorse necessarie per arrivare alla firma dell’accordo contrattuale”, ha concluso l’esponente Cgil.