Chi ha paura del salario minimo? Sicuramente il governo italiano, nonostante che questa volta davvero ce lo chiede l’Europa, visto che lo scorso autunno un’importante direttiva in materia è stata approvata e attende di essere recepita entro un anno. Tema complesso quello del salario minimo che attiene alle diverse nature dei mercati del lavoro e soprattutto delle relazioni industriali nei vari paesi europei. Tema complesso e carsico che appare e scompare dal dibattito politico. 

Ultima arrivata la proposta di legge sul salario minimo presentata la scorsa settimana dal (quasi) campo largo del centro-sinistra: Partito democratico, Movimento 5 stelle, Sinistra italiana, Europa verde, Azione e +Europa. Italia Viva di Renzi si è invece sfilata.

Landini: salario e rappresentanza

La questione è molto articolata perché, appunto, il salario è “solo” una parte, seppur fondamentale, di un contratto di lavoro. Che regola anche diritti, ferie, malattia eccetera. Lo ha ribadito il segretario generale della Cgil Maurizio Landini a margine di una conferenza su “Inflazione e salari: quali politiche” promossa ieri (3 luglio) dall’Università Roma Tre. 

Il tema salariale va dunque affrontato da più lati. Oltre al capitolo fiscale, per il sindacalista bisogna “aumentare le retribuzioni rinnovando i contratti, ma bisogna anche alzare la paga oraria nei contratti in cui è troppo bassa”. Per questo, ha aggiunto, “per noi è il momento di ragionare su una legge che anche nel nostro paese introduca il salario minimo, ma bisogna farlo tenendo conto che in Italia c’è una contrattazione collettiva molto importante”. Serve quindi anche “una legge che dia validità generale ai Ccnl in modo che diventino vincoli di legge sia la paga oraria sia tutti i diritti contenuti nei contratti stessi. E questo per noi deve valere per tutte le lavoratrici e i lavoratori: siano essi subordinati, autonomi o a partita Iva”. Allo stesso tempo, c’è “bisogno di aumentare i salari perché ci sono milioni di persone che hanno paghe orarie sotto i 9 euro e questo non è più accettabile”.

Il dibattito

La discussione è molto articolata. Giorgia Meloni intervistata dal Corriere della sera è stata netta: “Non sono convinta che al salario minimo si possa arrivare per legge”. Il giorno prima la ministra Calderone aveva usato praticamente le stesse parole, da cui il commento della segretaria del Pd Elly Schlein, secondo la quali il governo non vede “quei tre milioni di lavoratrici e lavoratori poveri. L'obiettivo di questa maggioranza è evidente, vogliono smantellare ogni rete di protezione sociale, come hanno già fatto con il reddito di cittadinanza”. Del resto, nessun partito del Centro-destra aveva inserito questa misura nel programma elettorale.

Per il resto, molto scettica resta anche la Cisl. Per il segretario generale Luigi Sbarra, intervistato da La Stampa, "il salario minimo serve per sostenere la crescita dei redditi, ma deve essere rigorosamente di natura contrattuale. La legge deve rimandare ai contratti prevalenti, che sono quelli confederali, e non determinare arbitrariamente una soglia minima”, mentre per il leader della Uil, Paolo Bombardieri, “il salario minimo serve perché in questo Paese ci sono tre milioni di lavoratori che stanno sotto quella soglia”.  Anche il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, nelle sue Considerazioni finali aveva definito il 31 maggio questa misura come una "questione di giustizia sociale".

Nessun "veto" da parte di Confindustria sul salario minimo. A dirlo il presidente dell'associazione degli industriali Carlo Bonomi, intervenendo all'assemblea di Assolombarda. Bonomi ribadisce però che quello del salario minimo "non è un problema di Confindustria" perché "tutti i nostri contratti sono sopra" alle proposte fatte fino a questo momento.

Poveri salari

Il tema della povertà lavorativa in Italia ha come è evidente assunto dimensioni drammatiche, come ci confermano a intervalli regolari i dati Eurostat. Ormai può essere povero anche chi un’occupazione ce l’ha, ma è spesso precaria, sottopagata, al nero, con poche ora lavorate (si pensi ad esempio al part-time obbligatorio soprattutto femminile) o magari regolata da contratti pirata siglati da sindacati fantasma.

Nel terribile 2022, con un’inflazione annuale in Ue del 9,2%, se i salari sono cresciuti (poco) con una media del 4,4%, l’Italia si è fermata al 2,2%, primato negativo insieme a Malta, Finlandia e Danimarca. Ancora più negativi i dati in proiezione temporale: l’Italia è l’unico paese in Europa dove negli ultimi 30 anni gli stipendi – secondo i dati Ocse – sono addirittura diminuiti (-2,9%). Basta aggiungere, per rendersi conto della portata del fenomeno, che in Germania e in Francia (che partivano da un livello retributivo già alto) i salari medi hanno avuto un aumento rispettivamente del 33,7 e del 31,1%.

La direttiva europea 

Dopo lunghi negoziati finalmente è intervenuta anche l’Europa. La direttiva approvata dal Parlamento europeo non fissa un salario minimo europeo e non detta regole uguali per tutti, ma stabilisce che il salario minimo deve sempre garantire un tenore di vita dignitoso. Le norme europee rispetteranno le pratiche nazionali di fissazione dei salari e una grande importanza viene assegnata alla contrattazione, sia in quei paesi in cui è molto forte, come l’Italia, sia in quelli in cui lo è meno. La competenza, dunque, rimane in capo agli Stati nazionali, poiché, appunto l'Ue non ha fissato un salario minimo uguale per tutti. 

La proposta del centro-sinistra

La proposta del centro-sinistra (sintesi di quattro diversi testi) parte dall’articolo 36 della Costituzione, che stabilisce che a tutti i lavoratori e le lavoratrici va corrisposta una retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro svolto, sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa. Questi i punti principali: a tutte le lavoratrici e i lavoratori deve essere riservato “un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative”.

La soglia minima inderogabile deve comunque essere di 9 euro l’ora “per tutelare in modo particolare i settori più fragili e poveri del mondo del lavoro, nei quali è più debole il potere contrattuale delle organizzazioni sindacali”. Secondo i dati dell’Inps, infatti, a gennaio 2021 sono circa 4,6 milioni i lavoratori che in Italia non raggiungono i 9 euro l’ora, pari al 29,7%. 

La soglia dovrà riguardare non solo i lavoratori subordinati, ma anche parasubordinati e autonomi. Prevista anche una Commissione di rappresentanti istituzionali e delle parti sociali, con il compito di aggiornare periodicamente il trattamento economico minimo orario.