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Il racconto
Sandro Cuccu arriva in fondo alla salita, sulla cima del colle a strapiombo sul mare: Calamosca, città di Cagliari, davanti a sé uno spicchietto di Mediterraneo, all’orizzonte i contorni dell’enorme raffineria.
Scende dalla Vespa, Sandro Cuccu, mette il cavalletto, toglie il casco e sente il vento passargli attraverso i capelli radi. Infila una sigaretta spenta tra le labbra e attacca a parlare con Chicco Perra.
“Cosa vuoi che ti dica? Alla fine lo sai come vanno queste cose, non c’è un modo giusto o un modo sbagliato”.
Scuote la testa, emette una specie di sbuffo.
“Ma cosa te lo dico a fare, a te. Cosa ne capisci di donne, tu, con quel naso che sembri un pugile. Niente ne capisci”.
Chicco ha avuto un amore, uno solo.
Chicco ha avuto un amore, uno solo, Giada, conosciuti e innamorati così, in piazzetta, nemmeno ragazzini: bambini, tra le strade del quartiere. Hanno fatto le cose di corsa ma senza un dubbio. La casa il cane i figli.
“Però voi siete un’eccezione, eh, la gente normale a un certo un punto prende e si lascia. Lo so che d’amore non si muore, lo so. Ma quando vado a fare la spesa mi prende una specie di, come dire, mi viene un magone mi viene. Fare la spesa per me e basta. L’idea non sorprendere nessuno. Forse l’amore è questa cosa qui, aver voglia di sorprendere qualcuno, sempre. Un guizzo, un gesto inatteso, uno scatto in avanti”.
Sandro affonda la gamba destra nel terreno, con il braccio teso in aria, come uno spadaccino nell’atto di colpire.
“Dovresti vedere in che condizioni ho il bagno. Hai presente il mio bagno, no? Ti ricordi che scoppiava di roba? Crema viso crema mani crema corpo, balsami unguenti saponi. Adesso se entri in bagno ti viene un colpo. Potrei parcheggiarci la Vespa. Poi oh, io non sono un tipo da creme, lo sai, ma con la scusa che erano lì, alla fine le usavo anche io. Lasciavano un buon profumo”.
Il mare d’inverno è stranamente tranquillo, dalla cima del colle si sente inesorabile la risacca che sbatte piano sulla scogliera.
“Mi è rimasta una boccia di Pino Silvestre da mezza tonnellata, quando sta per finire lo allungo con un po’ d’acqua e mi dura altri due mesi, me lo faccio andare bene anche per lavare in terra”.
Sandro accende la sigaretta, guarda lontano, oltre il parapetto in legno che separa la strada dallo strapiombo, tira una lunga boccata.
“Che poi, non ci stava più nemmeno uno spillo in quella casa, no?, e lei mi ha detto che aveva bisogno di spazio. Benissimo, le ho lasciato tutto lo spazio del mondo e lo sai cos’è successo? Lo ha riempito con un cubano. Ma no non un sigaro, un dottore. Ramón Gonzalez Blanco, fisiatra. Lascia stare cosa ci fa un fisiatra cubano a Cagliari, gli hanno fatto un contratto col Policlinico che qui, a quanto pare, abbiamo finito i dottori. Sai le università a numero chiuso, lo spopolamento, la fuga dei cervelli. Insomma finiti i dottori. Cuba invece, ogni villaggio di quattro capanne, c’è un ambulatorio e una casa della cultura. Dice che li esportano, i dottori”.
“Dovresti vederlo, sembra un cazzo di rugbista. Un rugbista cubano. Che qua siamo tutti compagni ma finisce sempre che ci prendiamo a sberle tra di noi. Poi dice che perdiamo le elezioni”.
La cosa strana è che una di destra.
“Be’ sì, chiaro che sto vedendo qualcuno, ma cosa c’entra?, uno si deve pur arrangiare. Va be’ ti racconto questa: tu non ci credi ma ci siamo trovati su un’app. No non sta qui la cosa strana. La cosa strana è che una di destra. No non mi ha fatto vedere la tessera del partito, l’ho capito a cena perché le ha dette tutte, ma tutte. Tipo che in piazza del Carmine è pieno di marocchini e non ci si può più passare. I marocchini, capito? C’è mezzo mondo in piazza del Carmine: i bangla, i nigeriani, i senegalesi, gente di Masullas. Ma i marocchini? I marocchini lo diceva mio zio trent’anni fa, per parlare degli extracomunitari in generale”.
“Ma sì carina è carina, fa l’avvocata ma preferisce che la chiamino avvocato, giusto per inquadrare il tipo. E che ne so perché ha matchato con me, magari si è tolta lo sfizio di un’incursione nel mondo operaio. Sai quanto ha fatto di nero lo scorso trimestre? Diciassettemila euro. Ci teneva che lo sapessi. Dice che lo Stato serve solo a mettere le mani nelle tasche degli italiani, lei si organizza di conseguenza”.
“Va be’ per farla breve siamo finiti a casa sua”.
“Eh oh, uno si deve arrangiare, anche Berlinguer voleva fare il compromesso storico”.
“Comunque, hai mai visto uno specchio su un soffitto? Io sì”.
“Poi lo sai che non mi piace scendere nei dettagli, ma questa a un certo punto mi fa: sculacciami, dimmi qualcosa di osceno e sculacciami”.
“Io ci resto secco”.
“Lei insiste”.
“Insomma comincia una fase che sarà durata due secondi ma, in quei momenti lì, hai presente, no?, basta niente per perdere l’attimo”.
“E quindi nulla, ci ho pensato al volo, ho fatto partire la mano aperta e ho visto me stesso riflesso sul soffitto intanto che gridavo: PATRIMONIALE!”
“Posso dire? Mi sembra le sia piaciuto”.
“No non ho idea, non lo so mica se ci rivedremo. Cosa vuoi ho sempre Filippa in testa. Certo, certo, non ho intenzione restarmene qui ad aspettare che si lasci con Ramón”.
Ci pensa un secondo, Sandro Cuccu, tira altre due boccate e conclude: “A me andrebbe bene anche se lui morisse”.
Il volo di un gabbiano prende una direzione inattesa, sembra puntare dritto sulla Vespa, poi all’ultimo si scansa.
“Ho visto i bambini l’altro giorno. La piccola è una sagoma, sei sicuro sia figlia tua? Be’ innanzitutto perché è graziosa, con quel nasino delicato. E poi ha un modo tutto suo di essere simpatica, cioè ha una sua personalità, è buffa in un modo che è suo e basta. Ha carattere, ecco. Sicuro che sia figlia tua?”.
E mentre lo dice, Sandro Cuccu, abbassa lo sguardo su una targa fissata al parapetto con due tasselli. Al centro una foto, sotto dei numeri e poche scritte.
Al lavoro non è cambiato niente.
“Al lavoro non è cambiato niente. Qualche volta ci fanno saltare la ventilazione forzata per fare più in fretta, qualche volta il rilevatore di gas è scarico o in manutenzione. Tutta la vita così, t’immagini che due palle? Tu mi devi dire come fai, Chicco: come fai?”, dice rivolto alla targa.
Federico Perra, c’è scritto, 12/04/1989 - 22/06/2023.
“Sì lo so l’hai sempre detto: quando lavoro dimentico tutto, dicevi, dimentico mutuo, bollette, irpef, dimentico il mondo”.
E invece Sandro non gli riesce di dimenticare, non è mai stato bravo a dimenticare. Non Filippa, che ha postato su Instagram le foto delle vacanze con Ramòn, abbronzati e felici sulla spiaggia di Caio Largo; non Chicco, che è morto in cisterna per le esalazioni da azoto, una mattina di giugno di qualche anno fa, mentre avevano il turno insieme.
“Se non mi fossi acceso quella sigaretta sarei entrato io, per primo. Poi dice che fumare uccide. E invece sei entrato tu, perché fermo non ci sai stare, perché al lavoro dimentichi i guai. Bell’affare”.
Gli esce un sorriso che sembra una specie di smorfia.
“Certo ti sei fatto sistemare in un bel posto. Sempre meglio di un cimitero. Io non lo so se vorrei farmi cremare. Preferirei che mi buttassero in mare con la bara e tutto, dici che non si può?”.
Spegne la sigaretta, non sa dove gettarla e infine la avvolge in un fazzoletto.
“Be’ io adesso vado, attacco tra mezz’ora”.
Dà un’ultima occhiata alla foto, Sandro Cuccu, rimette il casco e sale sulla Vespa.
“Con quel naso che ti ritrovi è chiaro che ti sei sposato la fidanzatina del quartiere. Chi altro se lo prendeva, uno con quel naso da pugile?”.
© 2025 Nicola Muscas
L’autore
Nicola Muscas è nato e vive tra Cagliari e La Palma, dove lavora come giornalista e scrittore. Il suo ultimo libro è Un amore di contrabbando (Mondadori, 2025).
Collabora, ma con moderazione, con la rivista “Undici” e il quotidiano “Domani”. È addetto stampa di festival ed eventi culturali in tutta la Sardegna. Il suo primo romanzo, Isla bonita (66thand2nd), è uscito nel 2021.
Illustrazione di Silvia Marseglia