Dagli americani alla conquista della Tim al futuro delle Tlc, asse strategico per il futuro del Paese. Dalla quarta ondata che ormai si è affacciata anche da noi a frattura con i no vax che affollano le piazze europei da Roma e Milano e Bruxelles e Olanda. E sullo sfondo il lavoro; quello che non si trova, quello che non si offre, quello che si perde, quello precario.

Prime pagine
L’apertura de Il Sole 24 Ore, si distingue dagli altri quotidiani, è dedicata alle novità legale alla manovra e al fisco: “Bonus e controlli. Per i lavori in casa rebus di fine anno sul visto alle spese”. E poi: “Assegno unico, attenti a immobili e conti”.

“Assalto no vax al cuore dell’Europa” è il titolo del Corriere della Sera, in contro apertura: “Opa amichevole di Kkr su Tim. Il governo: pronti a intervenire”.
La Repubblica strilla a 4 colonne: “Tim, l’Opa del fondo Kkr. I paletti di Draghi” e nel sommario: “L’Ad Gubitosi porta in Consiglio l’offerta ‘amichevole’ degli americani. Premio del 46% sul valore attuale di Borsa. Il Mef apre: Prendiamo atto dell’interesse. Il premier pone condizioni su occupazione e sviluppo della banca larga. Landini: Sulle Tlc il governo agisca, non possiamo subire il mercato”.

Il Messaggero sceglie il Covid: “Tornano le regioni a colori ma divieti solo per i no vax”. Stesso tema individuato anche da La Stampa come centrale: “L’Aifa: l’obbligo vaccinale non è escluso”.

Infine Il Fatto Quotidiano: Renzi tratta con FI&Dell’Utri e Iv vuol disarmare l’antimafia”.

Le interviste
“In un settore strategico come quello delle telecomunicazioni lo Stato italiano non può subire semplicemente la logica del mercato. Serve un piano industriale finalizzato alla costruzione della rete unica senza escludere il ricorso al golden power se il progetto di Kkr dovesse essere in contrasto con l’interesse industriale ed occupazionale del Paese”. Lo afferma Maurizio Landini intervistato da Roberto Mania su La Repubblica. E aggiunge: “Stiamo parlando di un settore strategico per il nostro Paese, quello delle telecomunicazioni. Da tempo chiediamo che l’Italia si doti di una rete unica di nuova generazione che sia in grado di connettere il territorio, ma tutto è in grave ritardo. Si pone, davvero, un problema di strategia industriale; si tratta di capire quale ruolo vuole giocare il governo, compreso il ricorso alle prerogative che la legge prevede in caso di acquisizioni da parte di soggetti stranieri di aziende strategiche”. Alla domanda di mania se il governo debba bloccare Kkr, il segretario generale della Cgil risponde: “Non conosco qual è il piano del fondo americano. Sono certo, tuttavia, che il governo non può semplicemente subire la logica del mercato ma deve esercitare un’azione di indirizzo funzionale agli interessi industriali ed occupazionali nazionali. È da tempo che le organizzazioni sindacali chiedono la costituzione di una rete unica e di un campione nazionale unico e competitivo capace di difendere e qualificare l’occupazione”……..” Serve una visione d’insieme. La rete è oggi l’infrastruttura tecnologica più importante per il Paese ed è la base sulla quale poggiare la trasformazione del nostro sistema manifatturiero nazionale. Riguarda tutti i settori, ad esempio: automotive, cemento, acciaio, chimica, vetro, carta. Questo è un tema strategico decisivo. La costruzione di una rete nazionale di nuova generazione rappresenta il volano per lo sviluppo industriale digitale. Per questo proponiamo la costituzione di un’Agenzia nazionale per lo sviluppo industriale e di convogliare tutti i fondi per gli investimenti nei vari settori, compresi quelli previsti nella legge di Bilancio, in un unico grande Fondo speciale per la transizione industriale. Due operazioni propedeutiche ad eventuali alleanze e investimenti internazionali. Non possiamo continuare a dire che siamo il secondo Paese manifatturiero europeo e poi non abbiamo una strategia all’altezza, cioè in grado di gestire la transizione digitale ed ambientale”.

Due interviste sul fisco meritano segnalazione. La prima pubblicata a pag. 21 de La Stampa. Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio afferma: “Credo che non si possa davvero dire che le imprese abbiamo avuto sin troppo. Come è noto i contributi a fondo perduto sono stati un parziale e certo non sufficiente ristoro delle drammatiche cadute di fatturato dell’impatto economico e sociale della pandemia….” E rispetto alla riforma del fisco aggiunge: “Occorre agire sia sull’Irpef che sull’Irap, come prevede del resto l’attuale disegno di legge di bilancio. Ma poi bisogna intervenire anche per ridurre il cuneo contributivo”.

L’ex ministro delle finanze Vicenzo Visco, in una conversazione con Il Fatto quotidiano, afferma “Il paradosso del Pil che si impenna e del lavoro che si riduce. Lasciare fare al mercato significa lasciare fare ai più forti. Rinunciare a una fiscalità più equa significa rilanciare le diseguaglianze”. E sulle tasse Visco afferma: “Più tasse per i ricchi. E meno per i poveri. Ma come è possibile che il reddito di cittadinanza, in media 500 euro, faccia concorrenza – secondo quel che raccontano gli imprenditori – al lavoro stabile? Vuol dire che è remunerato pochissimo e ci stiamo avviando a una frattura sociale ancora più eclatante di quella attesa e prevedibile”.

Editoriali e commenti
Francesco Manacorda, su La Repubblica, rifletta sull’offerta Kkr per l’acquisto di Tum e sulla partita delle Tlc: “…….Se il passaporto di chi compra non deve essere un problema, è però corretto che il titolare di un passaporto straniero che vuole prendere tutta la Tim - la quale ha in mano anche infrastrutture decisive per il Paese come i collegamenti dati e voce internazionali e una parte della rete a banda larga - debba rispettare alcune regole. Il governo le ha elencate, distinguendole in sostanza in tre grandi capitoli. Il primo riguarda proprio il carattere strategico della rete: anche se non anticipa nessuna mossa, palazzo Chigi spiega che se del caso potrebbe utilizzare il golden power che gli consente di bloccare o chiedere modifiche a un passaggio di proprietà: difficile, del resto, pensare che infrastrutture decisive, compreso il cloud nazionale che dovrebbe ospitare i dati sensibili del Paese e dei suoi cittadini, possano essere appaltati senza garanzie al fondo Usa. Poi si sottolinea che si deve in ogni caso andare avanti nel piano per la banda ultralarga, finanziato anche con i fondi del Recovery Plan e considerato un fattore decisivo per spingere la produttività italiana rimasta indietro rispetto al resto d'Europa. Infine il governo parla di "salvaguardia" e anzi di "crescita" dell'occupazione; qui è più difficile dare credito alle intenzioni dichiarate: se Kkr dovesse davvero prendere la Tim difficilmente manterrà i suoi 40 mila attuali dipendenti e ancor più difficile è che al momento decida di aumentarli. Nessuno può augurarsi un sovranismo economico di stampo francese - quello che appena pochi mesi fa ha bloccato addirittura un'offerta canadese sui supermercati Carrefour decretandone un'inedita "strategicità" per la nazione. Ma nessuno deve dimenticare che quando gli azionisti non hanno faccia diventa più facile per loro sottrarsi a quelli che sono i doveri nei confronti di una comunità dove producono o alla quale offrono i servizi da cui traggono i loro profitti. Per questo, se il governo, come è giusto che sia, non vuole giocare direttamente la partita della rete e delle telecomunicazioni, farà meglio a studiare regole del gioco nette, che impediscano a chiunque di poterle violare senza sanzioni”.

Sullo stesso argomento interessante lo scritto di Marco Zatterin a pag. 23 de La Stampa: “l’intenzione è “non vincolante” e “indicativa”, l’offerta è “possibile” e “non ostile”, condizionata all’approvazione del management e del governo. La prima mossa dei facoltosi numi di Kkr sul 100 per cento di Tim è una scatola da riempire e ci vorrà tempo, quattro settimane, per conoscere i se, i come e i quando dell’operazione. Ma siccome il futuro nasce nel presente, sarebbe un passo avanti capire come mai un fondo che ha fama di determinato affarista, e un pedigree da mago dello spezzatino societario, abbia in animo di acquisire la totalità di un gruppo ridotto all’ombra di quello che, nei tempi gloriosi, si chiamava Telecom Italia e si pregiava di essere fra leader planetari delle comunicazioni.

Merita davvero di esser letta con attenzione la riflessione di Ezio Mauro, pag. 29 de La Repubblica. Il titolo è emblematico: La Rivincita del welfare. Scrive l’editorialista del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari: “….È il welfare, l'invenzione più importante del Novecento, nata dall'incontro tra Stato, capitale, lavoro e società quando si pensava ancora di poter razionalizzare l'immediato avvenire, governare la modernità, dare una base strutturale concreta a quella forma di convivenza civile che nasce dal contratto sociale. Oggi si discute il destino del patto europeo di stabilità, la nuova misura che deve avere il rapporto tra debito e Pil, la regola che stabilirà quanto deve scendere l'indebitamento pubblico nei Paesi col fardello più pesante, le spese virtuose che con la golden rule potrebbero essere in parte sterilizzate nel computo del deficit e del debito perché hanno arginato il Covid. Nessuno lo dice, ma tutto questo ha un significato preciso: siamo davanti a una resurrezione del welfare.

In realtà il welfare ci ha protetti dal virus nei mesi più critici con il miracolo generoso della sanità pubblica, ci ha sostenuto economicamente con la cassa integrazione quando le città erano sbarrate, ha portato a casa ai nostri figli un'istruzione che non potevano più raggiungere a scuola, ha salvato con il sussidio chi è rimasto tagliato fuori, senza più mezzi e risorse. Soprattutto la resistenza al male si è organizzata attorno al triangolo sanità-lavoro-famiglia, tre pilastri classici del welfare. La famiglia organizzava una rete domestica di protezione e sicurezza nell'attesa del vaccino, la sanità grazie al sacrificio di medici e infermieri curava chi era stato attaccato dall'infezione, il lavoro reagiva come forza di contrasto, di ribellione e di speranza, tenendo sempre acceso il motore del sistema: grazie all'impegno di chi era occupato nei servizi, nel commercio, nel trasporto, nella manutenzione, ed esponendosi ogni giorno nella sua postazione di mestiere consentiva agli altri - a noi - di rimanere al riparo dal pericolo di contagio. Al centro di questo triangolo c'è un elemento comune, che è la vera ragione sociale del welfare, capace di attraversare epoche diverse: il sentimento umano, politico e culturale di solidarietà.

Oggi in più c'è anche la consapevolezza che il welfare è uno strumento di governo delle società complesse perché - come si potrebbe dire in una formula - costituzionalizza il bisogno e l'insicurezza, ammortizza la lotta di classe, obbliga lo Stato a rivelare una sua dimensione sociale”….. E conclude Mauro: “Oggi che usciamo dall'emergenza più pressante per passare a una guerra di posizione, dobbiamo reinsediare il welfare sottraendolo alla logica di mercato per modellarlo sulle nuove esigenze, a partire dalla ricostruzione di una rete sanitaria efficiente sul territorio, in un sistema cosciente di poter essere sfidato da altre emergenze, e preparato. La fine dell'austerità europea va in questa direzione, così come la mutualizzazione del debito per sostenere la ricostruzione, che deve avere al centro il lavoro. Lavoro, welfare, occupazione: si ricostruisce il triangolo sociale europeo, si recuperano i cittadini tagliati fuori dalla crisi, quando le disuguaglianze sono precipitate in esclusioni. Silenziosamente, forse si introduce nell'aritmetica di Maastricht un nuovo parametro, quello della coesione sociale, per ricostruire un vincolo di cittadinanza comune tra i vincenti e gli sconfitti della globalizzazione. E si difende la democrazia della solidarietà che ci ha portati fin qui: prima che s'infiammi la nuova lotta di classe postmoderna tra chi può contare sulla sicurezza del futuro e chi è condannato all'incertezza del domani”. Di questa necessità, però, poco si trova nella legge di bilancio e in quelle che l’accompagnano, dalla concorrenza fino alla riforma del fisco.

Maurizio Ferraris su La Stampa lancia una proposta su come costruire un nuovo welfare tassando le plus valenze create dagli utilizzatori del web: “……Gli umani sono produttori di valore sul web attraverso i loro consumi e comportamenti, che generano profitti pubblicitari, vantaggi distributivi e incrementi di automazione grazie alla intelligenza artificiale come registrazione della forma di vita umana. Occorre riconoscere che in questo quadro il consumo produce valore e che questo valore dipende dagli umani mobilitati sul web molto più che dalle piattaforme, perché senza gli umani le piattaforme non andrebbero da nessuna parte….” E aggiunge: “Bisogna riconoscere il plusvalore di cui godono le piattaforme, fabbriche che non pagano i loro operai, e che diversamente dai loro operai diventano proprietarie dei dati, e hanno gli strumenti per confrontarli, capitalizzarli, finalizzarli, rivenderli….” Conclude Ferraris: “Bisogna capire quali sono le vie per redistribuire nel territorio i profitti di una tassazione europea del plusvalore delle piattaforme. Considerando che non deve trattarsi né di una distribuzione a pioggia, né di un reddito di cittadinanza, ma piuttosto dell’inserimento dei cittadini che perdono il lavoro in un ciclo virtuoso di socializzazione, educazione e riqualificazione. Si prende il dato bruto del consumo e della mobilitazione, lo si trasforma in valore, e lo si redistribuisce come cultura”.

Secondo il sociologo Carlo Trigilia, su Domani, il governo deve scegliere se arrendersi o resistere: “Resa o resistenza? Nelle ultime settimane, specie dopo la presentazione della legge di bilancio che non affronta nodi rilevanti ma divisivi, è apparso chiaro che il governo si trova di fronte a un bivio. Una prima strada comporta la resa alla voglia di riprendersi al più presto il centro della scena da parte di alcune forze politiche che si sentono forti e puntano a elezioni anticipate. Ma Il governo e il presidente del Consiglio potrebbero però prendere un’altra strada: resistere alle pressioni, facendo valere il peso di una legittimazione forte che ha portato all’Italia una credibilità inedita a livello internazionale”.

Scrive Ferruccio De Bortoli su l’Economia del Corriere della Sera: “L’Italia è un’autentica potenza nell’economia circolare per quanto riguarda l’alluminio, la plastica o la carta. Un primato semisconosciuto di cui dovremmo andare fieri. Ma in molti altri campi – acqua o digitale – la strada verso minori sprechi è lunga. Nel Pnnr ci sono progetti per rendere le piccole isole in grado di produrre da sole con impianti rinnovabili tutta l’elettricità che serve a chi ci vive. Perché non moltiplicare questa idea? Se ci fosse una comunità energetica per ognuna delle 25.600 parrocchie italiane avremmo minori spese per le famiglie. Oltre che minore inquinamento”.

Economia, lavoro e sindacato
La notizia del giorno, lo dicevamo, riguarda Tim e l’interesse del fondo statunitense all’azienda di Tlc. Scrivono Anais Ginori ,  Sara Bennewitz ,  Paolo Mastrolilli su La Repubblica: “Alla fine di un consiglio di amministrazione fiume, convocato con urgenza per discutere di una manifestazione d’interesse «amichevole» da parte di Kkr, Telecom Italia ha annunciato che il fondo Usa ha palesato la volontà di promuovere un’Offerta pubblica di acquisto - non ancora finanziata e non vincolante - al prezzo «indicativo» di 0,505 euro. L’offerta, che rappresenta un premio del 46% rispetto alla chiusura delle azioni in Borsa di venerdì, punterebbe a ritirare il titolo dal mercato e sarebbe condizionata al raggiungimento di almeno il 51% del capitale. l ministero del Tesoro in una nota ha precisato che «il governo prende atto dell’interesse manifestato da investitori istituzionali qualificati», una «notizia positiva per il Paese» di cui «seguirà gli sviluppi», valutando «attentamente, anche riguardo all’esercizio delle proprie prerogative, i progetti che interessino l’infrastruttura». Se poi l’interesse di Kkr «dovesse concretizzarsi sarà in primo luogo il mercato a valutarlo».In serata diverse fonti finanziarie riferivano però che l’offerta parte in salita, perché tra le altre cose sarebbe condizionata al via libera del management, del consiglio di amministrazione e delle istituzioni italiane. Ieri in quattro ore di accesa discussione, più che della proposta di Kkr, il consiglio di Tim ha discusso del ruolo del management. Alla fine, l’amministratore delegato Luigi Gubitosi non ha ricevuto un mandato a negoziare l’offerta, nè a nominare un advisor finanziario o legale che lo assista al tavolo con il colosso Usa”.

Il riacutizzarsi della pandemia, al momento più in Europa e meno da noi anche se al di qua delle Alpi i contagi sono in contante aumento, con i suoi risvolti sull’economia e sulla tenuta sociale occupa le pagine dei quotidiani. Scrive Viola Giannoli su La Repubblica: “Correre. Con le terze dosi di vaccino anti Covid per ridurre al minimo il calo di efficacia dello scudo protettivo e con una stretta sulle misure di prevenzione del contagio per evitare ospedalizzazioni e chiusure. I governatori pressano per il Super Green Pass, da subito. «Proporremo all’esecutivo di scegliere il più presto possibile delle misure che possano favorire le vaccinazioni, garantendo in caso di passaggio di zona la possibilità di superare quelle restrizioni per le persone che si sono vaccinate», spiega Massimiliano Fedriga, presidente di quel Friuli Venezia Giulia che per primo potrebbe scivolare in zona gialla. L’obiettivo è «convincere anche gli ultimi indecisi» (6,7 milioni di vaccinabili) e «dare certezza alle imprese alle quali non possiamo dire “vediamo in che zona sarete e se terrete aperto o no”».L’incontro delle Regioni col governo, chiesto d’urgenza proprio da Fedriga, si terrà probabilmente domani. Il calendario prevede poi la cabina di regia mercoledì e a seguire il Consiglio dei ministri. Date estremamente ravvicinate per mettere a punto un decreto complesso che conterrà l’obbligo di terza dose per i medici, gli infermieri e gli operatori delle Rsa, l’anticipo del booster a 5 mesi dalla seconda somministrazione e la riduzione della validità del Certificato verde a 9 mesi vincolato alla terza dose. Sulla stessa linea si starebbe muovendo l’Europa”. E il passaporto verde come verrà modificato? Prosegue la cronista: “Ma l’attenzione è tutta sul Super Green Pass: non è certo che le decisioni arrivino nell’immediato. Devono essere ancora interpellati il Comitato tecnico-scientifico, l’Aifa e il Garante della privacy. Eppure le Regioni spingono affinché le nuove misure debuttino se non già dal 29 novembre, quando potrebbero arrivare i primi cambi di colore, almeno da dicembre. «Serve il Pass rafforzato subito, anche in zona bianca, basta con i tamponi» si spinge a dire il presidente della provincia autonoma di Bolzano Arno Kompatscher. L’idea è quella di un certificato a due velocità: concesso a tutti per accedere ai luoghi di lavoro, ai mezzi di trasporto a lunga percorrenza e ai servizi essenziali; riservato ai guariti e ai vaccinati per ristoranti, palestre, stadi, cinema, funivie. La stretta non si applicherà invece a bus e metro: per salire a bordo non ci vorrà il Pass. Ipotesi smentita dal ministero dei Trasporti e cassata dai sindacati: «I controlli — dicono — sarebbero impossibili». Il ragionamento alla base del Super Pass, spiega Fedriga, non è punitivo, non mira a «escludere», ma «ad aprire un po’ di più a qualcuno». Di fatto però la vita dei No Vax sarà fortemente compressa”.

La società e la politica, poi, ragionano su quanto proposto dalla Cgil insieme a Cisl e Uil sei mesi fa: l’obbligo vaccinale. Su La Stampa sia il presidente dell’Aifa Giorgio Palù, che il giurista Giovanni Maria Flik aprono alla vaccinazione obbligatoria “non in contrasto con la Costituzione”.

Mentre la politica si interroga sul che fare le piazze di Italia e d’Europa si riempiono di no vax. Ne scrivono, tra gli altri: Francesca Basso sul Corriere della Sera: “L’assalto no vax al cuore dell’Europa. Proteste a Bruxelles fin sotto la sede Ue: lacrimogeni e feriti. La marcia dei 35mila contro le restrizioni”. Su La Repubblica Claudio Tito: “Guerriglia e arresti a Bruxelles. No vax all’attacco nel cuore d’Europa” e Roberto Brunelli: “Il nuovo muro dell’ultra destra Stop alla dittatura Covid”

Da leggere, a pag. 4 dell’inserto Affari&Finanza de La Repubblica il focus sul lavoro firmato da Marco Frojo: “Occupazione, il mercato è ripartito ma manca il personale qualificato”. Interessante, certo, anche se forse parziale. L’analisi si concentra sui lavori legati all’innovazione digitale e per questi mancherebbe il personale qualificato. Poco si dice sulla precarietà come caratteristica delle assunzioni perfezionate nel corso degli ultimi mesi.

Così come da leggere è certamente il Dataroom di Milana Gabanelli sul Corriere della Sera. Il titolo è significativo: Con l’auto elettrica 60mila posti a rischio. Scrive Gabanelli: “L’automotive occupa 274 mila persone, ma per un motore elettrico serve il 30% di manodopera in meno. Senza un piano di riconversione al 2023 intere filiere possono sparire. Nel 2023 dove si produce il diesel 5 mila addetti potrebbero perdere il lavoro”.

L’apertura di Collettiva.it è dedicata a Quel che resta della sanità

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