Il 7 giugno del 1984 Enrico Berlinguer viene colto da un malore durante un comizio elettorale a Padova nel corso della campagna politica per le elezioni Europee. Minuti drammatici, che sembrano non avere fine.

“Lavorate tutti - dirà il segretario in quello che diventerà a tutti gli effetti un testamento - casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini, con la fiducia per le battaglie che abbiamo fatto, per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati e siamo. È possibile conquistare nuovi e più vasti consensi alle nostre liste, alla nostra causa, che è la causa della pace, della libertà, del lavoro, del progresso della nostra civiltà!”.

Gli manca il respiro, sussurra, le forze gli vengono meno, eppure continua a parlare. Pronuncia le sue ultime parole con la voce fioca, spezzata, un fazzoletto bianco premuto sulla bocca. “Non vedete che sta male?”, urlano i compagni. “Basta. Enrico, Basta”. Ma lui vuole andare avanti lo stesso.

Alla fine perde conoscenza. Lo portano in albergo, poi di corsa all’ospedale. Nella notte lo operano, ma non c’è niente da fare. La mattina dopo arriva Pertini. “È un uomo giusto”, piange il vecchio partigiano.

“Giorni tristi e senso di impotenza - scriveva in quei giorni nei suoi appunti Bruno Trentin -. In queste ore Enrico Berlinguer sta morendo. E più l’angoscia si trasforma in certezza, più la sua figura solitaria e austera ingrandisce nella coscienza di molti. E appare in tutta la sua nobiltà la fatica di dare corpo ad una grande intuizione anche se spesso questa intuizione è rimasta in molti casi separata da un autentico rinnovamento culturale e da una lucida strategia. Questo rende ancora più rispettabile e drammatica la sua fatica e la sua solitudine. La sua storia segnerà tutti noi. È - è stato - il meglio e il limite di ognuno, di una intera generazione di comunisti. Le loro ansie, la loro ricerca a tentoni e anche la loro impotenza a compiere un salto culturale che ridesse senso e respiro ad ogni atto quotidiano”.

Nel novembre del 2020 Il Venerdì chiedeva a Diego Bianchi: “Cosa ti manca del Pci?”. “Del Pci mi mancano Botteghe Oscure - rispondeva - e la sicurezza di avere un posto dove andare, il giorno in cui si sarebbero vinte le elezioni, a festeggiare un mondo migliore, con le bandiere con la falce e martello, cantando Bandiera Rossa, ascoltando il Segretario Nazionale che usciva dal balcone solo a risultato conseguito. Purtroppo è capitato pochissime volte. Del Pci mi manca Enrico Berlinguer. Quando è morto avevo 14 anni, e ho pianto tanto. Del Pci mi manca l’esempio, e la certezza di essere dalla parte giusta”.