Luglio 1970. Gli spettatori italiani hanno appena visto in televisione la partita del secolo, Italia-Germania 4-3 che si è svolta il 17 giugno. Jean-Luc Godard sta girando Lotte in Italia, pellicola sperimentale sulla militanza commissionata e poi rifiutata dalla Rai. La rivista mensile New Cinema propone Veruschka nuda in copertina: “Interpreta se stessa”, avverte lo strillo del numero. Gli stessi spettatori hanno visto al cinema Fellini Satyricon, uno dei film più barocchi e ipertrofici del maestro (che pone ormai il suo nome nel titolo); hanno visto Il tagliagole di Claude Chabrol, uscito a febbraio, un regista francese che sta portando il noir in giro per il mondo. Ma c’è anche un altro film, che non arriva nelle sale e proprio quel luglio viene proiettato per la prima volta: al congresso della Fiom a Roma (13-18 luglio 1970), il primo del sindacato dei metalmeccanici dopo l’autunno caldo. Il film è Contratto di Ugo Gregoretti.

Gregoretti lo gira a 39 anni. Ha appena ultimato il “quasi documentario” Apollon: una fabbrica occupata (1969), in cui i lavoratori che occupano la tipografia sulla Tiburtina recitano nella parte di se stessi (con una delle sequenze più belle del cinema italiano anni Sessanta: l’incipit con gli operai che cantano mentre fanno l’albero di Natale). A quel punto Gregoretti viene chiamato da Bruno Trentin, segretario generale della Fiom che ha apprezzato il film: gli chiede di riprendere anche la lotta dei metalmeccanici. Lui si lancia all’inseguimento dell’autunno caldo. Letteralmente. Prodotto dalla Unitelefilm per Fiom, Fim e Uilm, il racconto si getta nella battaglia degli ultimi mesi del 1969, quelli che portano alla manifestazione di Roma del 28 novembre per rivendicare il contratto. Il film inquadra proteste, volti e voci per dare il senso di quella stagione: ma soprattutto va in piazza, perché le riprese catturano i cortei operai, i discorsi sindacali, le assemblee di fabbrica e le mobilitazioni degli studenti.

Scandito dalla voce narrante di Riccardo Cucciolla, l’attore di Sacco e Vanzetti di Montaldo, Contratto non rispetta però l’ordine cronologico. Il racconto di Gregoretti si apre nel dicembre 1969: un sindacalista ringrazia per la riuscita della protesta, “forse superiore alle nostre capacità”, a seguire vediamo gli operai in assemblea che ratificano l’accordo firmato l’8 gennaio 1970, perché “noi un contratto così non ce l’abbiamo mai avuto” (i dettagli nell’articolo di Ilaria Romeo). D’altronde il sottotitolo del film dice già tutto: Scene dall’autunno caldo dei metalmeccanici. Scene, appunto. Il cineasta romano le mette insieme e costruisce un significato attraverso il montaggio, memore della lezione di Eisenstein, consapevole che proprio la cabina di montaggio è il luogo più adatto per un film su una rivoluzione.

Ecco allora gli operai a Torino, il 25 settembre 1969, che arrivano coi pullman nel cuore della notte e si posizionano in picchetto davanti a Mirafiori: è l’inizio della vertenza. “Le trattative si svolgeranno con la lotta sempre in piedi - così la voce -, senza mai interrompere gli scioperi fino alla soluzione”. E ancora: “Gli operai non si limitano a chiedere aumenti, vogliono cambiare la fabbrica e la società”. Tanti sono i volti noti che troviamo in Contratto: Bruno Trentin, i suoi omologhi di Fim e Uilm (Luigi Macario e Giorgio Benvenuto), il ministro del Lavoro Carlo Donat-Cattin, il presidente della Fiat Gianni Agnelli.

Ma i protagonisti sono sempre i lavoratori, ovvero “la più giovane e meno integrabile classe operaia che il nostro Paese abbia mai conosciuto” (Gregoretti). All’epoca il cinema non poteva entrare nelle fabbriche vere, doveva ricostruirle sui set, eppure Contratto fa eccezione: ecco allora la ripresa di un operaio di 19 anni alla Fiat, “è il mio primo anno qui, ringrazio i vecchi che mi danno la loro esperienza”. Ecco le tute blu che fanno partecipare a un’assemblea di fabbrica uno studente della Cattolica contestatore del sindacato, con grande capacità di autogoverno. Ecco la nascita del servizio d’ordine dei metalmeccanici, duemila operai col bracciale che diventano tutori del corteo, non accade nulla, “neanche uno schiaffo” e la polizia si rivela inutile. Ecco soprattutto gente comune: giovani in tuta da lavoro che suonano campanacci per le strade, militanti che espongono striscioni contro stampa e televisione “serve del potere”.

Gregoretti nell’arco di 75 minuti effettua la sua ricostruzione, va di strada in strada, da fabbrica a fabbrica, dalla Fiat all’Ibm. Riprende i “padroni” che gradualmente realizzano la forza e compattezza del movimento. Filma i cortei che nel corso del tempo conquistano l’opinione pubblica: i ferrovieri ringraziano i viaggiatori per la pazienza, i meccanici invitano i commercianti a non abbassare le saracinesche al loro passaggio - uno dei momenti migliori -, gli studenti si recano spontaneamente ai cancelli delle fabbriche. C’è poi il simbolico processo alla Fiat, organizzato dagli operai torinesi, e passo dopo passo si arriva al 28 novembre. Il film lo mostra alla fine forse perché è un perfetto finale. Centomila operai arrivano a Roma, scandiscono cori: “Agnelli, Costa, questa è la risposta”. La risposta è nell’unità sindacale e di classe, spiega Gregoretti. Contratto ospita quindi stralci di una lettera pubblicata sul settimanale Epoca, per poi contestarla. Un giovane aspirante magistrato si lamenta delle continue violazioni dell’ordine per colpa degli operai. “Non abbiamo bisogno di altri magistrati come questo”, risponde il regista. E il movimento continua: il racconto si chiude in un’assemblea alla Sapienza che decreta l’alleanza sancita tra lavoratori e studenti.

Rivisto oggi, al tempo del lavoro frantumato, con nuovi operai e nuove crisi (leggi il caso Ilva), Contratto resta un alieno nella storia del cinema italiano: ricorda il documentario Which Side Are You On? di Ken Loach (1984), sullo storico sciopero dei minatori contro la Thatcher, trasmesso però dalla Tv inglese solo dopo la fine della vertenza e la sconfitta dei miners. Anche la pellicola di Contratto fu portata in giro a mano, proiettata nei collettivi di sinistra e nelle riunioni sindacali, tra i militanti e gli studenti. Nel 1973 uscì perfino nelle sale in Germania con il titolo Der Vertrag. Così lo ricorda Gregoretti in una nostra intervista: “Ci sforzavamo di seguire una lotta che erompeva in tutti i luoghi del Paese. Serviva grande tempismo: era una continua rincorsa per tentare di arrivare in tempo, per filmare un’assemblea a Brescia o un corteo a Castellammare (...). Allora questo si chiamava cinema alternativo”. Gregoretti è scomparso a Roma lo scorso 5 luglio: riguardare il suo film significa vedersi in uno specchio deformante, tutto è cambiato eppure quegli operai fanno ancora parte di noi.
 

SPECIALE AUTUNNO CALDO
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