Il tema delle migrazioni, nonostante diffuse e malcelate resistenze, trova ormai pieno titolo nelle discussioni a livello internazionale ed europeo anche in ambito sindacale. Sono sempre di meno le organizzazioni che sostengono che il tema non sia di interesse primario per i sindacati e rifiutino di discuterne in questo ambito.

Il dibattito sul “Global compact sulle migrazioni” dell’Onu ha però evidenziato come il tema sia altamente politicizzato e poco legato alla necessità sociale di una gestione dei fenomeni migratori che trovi fondamento nel dettato dei diritti umani. Le stesse organizzazioni sindacali, unanimi nel voto anche sul tema migrazioni in occasione dell’ultimo congresso della Confederazione internazionale dei sindacati (Csi), sono poi pronte ai distinguo quando si tratta di tradurre in pratica e in politiche quegli stessi principi a livello nazionale o persino nelle istituzioni intergovernative e tripartite (vedi Ilo).

È da qui che parte la volontà della Cgil di stabilire percorsi di cooperazione sindacali volti a modificare dal basso l’approccio al tema, contaminandosi e condividendo limiti e opportunità dell’azione sindacale in contesti talora diversissimi come, appunto, quello italiano e nigerino.

La cooperazione con il sindacato nigerino Unione dei sindacati dei lavoratori del Niger (Ustn) prende avvio proprio dalla volontà di opporre alla logica securitaria (la decisione di inviare militari italiani in Niger ha fatto notizia nel 2018, ma forse poco e male) un approccio pragmatico, fondato sui diritti umani e sindacali. Un approccio, come ha chiesto a gran voce larga parte dell’assise congressuale della Csi, che porti i sindacati a lavorare di più sul terreno dell’effettiva ed efficace rappresentanza del mondo del lavoro, a costruire presupposti d’interculturalità, anziché rincorrere burocrazie e discutibili dinamiche di potere.

La macro-regione in cui si trova a operare il sindacato nigerino, oggi nota come Cedeao/Ecowas (1) è storicamente uno spazio di mobilità umana, una regione al contempo di origine, transito e destinazione della migrazione. I suoi flussi migratori sono stati favoriti (e forse provocati) dalle dinamiche di appartenenza prima alla Comunità africana occidentale in epoca coloniale francese, poi in maniera autonoma alla Cedeao (che ha svariati protocolli di libera circolazione dei suoi cittadini), successivamente alimentati dall’aumento demografico che ha portato la popolazione della Cedeao a quadruplicarsi tra il 1960 e il 2007, arrivando a 300 milioni (l’Unione Europea, ad esempio, ha 500 milioni di abitanti).

Oggi questa macro-regione è la prima area di accoglienza delle migrazioni in Africa, ospitando circa 7,5 milioni di emigrati intra-regionali (il 70 per cento del totale). È caratterizzata da una tradizionale migrazione interna di tipo misto, le cui ragioni sono economiche (mancanza di opportunità e reddito), climatiche (imprevedibilità dei flussi piovosi e desertificazione), umanitarie (fuga da conflitti e guerre). Si migra per assenza di opportunità di lavoro e di fare impresa o di spendere il proprio titolo professionale nel paese d’origine, o per paura della corruzione che ingurgiterebbe i profitti dell’impresa. Si migra durante la stagione secca che lascia ai contadini tempo per andare a prestare manodopera laddove manchi, o per compensare stagioni siccitose. Queste cause sono, a propria volta, con-cause, perché il cambiamento climatico oppure il controllo di risorse minerarie, da vendere alle multinazionali bianche, generano conflitti per le risorse primarie (terre, acqua), su cui si innescano guerre sante (i poel, allevatori nomadi, non hanno più spazio e diventano manodopera per gli shabab, boko haram e jihadismi vari in Kenia, Burkina Faso, Niger, Mali).

Ma il fenomeno è antico. Ci si muove storicamente dentro i confini della regione o verso il Maghreb dove ci sono più possibilità di reddito. Ma quasi sempre per tornare: cioè una migrazione circolare. Quella che sarebbe da potenziare in questo momento storico, permettendo porte girevoli per chi vuole entrare per un periodo in Europa a parità di condizioni di accesso al mercato del lavoro, per poi eventualmente tornare a casa.

Da piattaforma storica di smistamento dei flussi migratori verso Algeria, Libia e Unione Europea (il 60 per cento dei migranti registrati che arrivano in Italia sono transitati attraverso il Niger), oggi il Niger è una piattaforma che gira su se stessa. Come ha evidenziato la ricerca “Liberi di restare, liberi di partire” (https://www.nexusemiliaromagna.org/wp-content/uploads/2019/01/Liberi-di-restare-Liberi-di-partire.pdf), in Niger oggi è presente una nuova versione di migrazione mista fatta di:

  1. lavoratori migranti provenienti da paesi Cedeao;
  2. migranti che tentano, attraverso percorsi alternativi pericolosi, di attraversare la frontiera verso Algeria o Libia;
  3. migranti che non riescono ad attraversare la frontiera, respinti in Niger dall’Algeria (dal 2014 anche non nigerini) o liberati dai centri di detenzione in Libia dall’Alto commissariato per le Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr);
  4. migranti provenienti dalla Libia o dal deserto, che scelgono il rimpatrio assistito volontario promosso dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim);
  5. sfollati interni e regionali legati ai jihadismi di Mali e Nigeria (circa 250 mila).

Una delle conseguenze maggiori della legge 2015/36 contro il traffico illecito di migranti, infatti, è proprio quella di creare una barriera che non fa uscire i migranti dal Niger. Le situazioni che incontriamo lavorando in quel Paese portano ad affermare che bisogna rivedere la categoria semantica di paese di transito. Quando il transito si prolunga a causa delle politiche di criminalizzazione della migrazione, quando il rimpatrio volontario assistito è l’unica via di scampo e non una scelta, quando il transito diventa destinazione perché la meta finale non può essere raggiunta a causa della chiusura delle frontiere tra Paese di sbarco e altri Paesi Ue, o quando il transito diventa un pezzo di vita perché le guerre non finiscono mai. Quando il transito diventa agonia, tortura, stupro sistematico, racket, perché i porti sono chiusi e si considera Paese e porto sicuro un Paese che non esiste più, preso dagli interessi delle varie parti in causa.

La politica di esternalizzazione delle frontiere crea Paesi di transito di comodo, complici dei crimini che in nome di questa politica vengono commessi sui loro territori. Politica che viene pagata da coloro che solo ricercano migliori opportunità di vita. Parlare di co-sviluppo in quest’area del mondo significa innanzitutto coerenza delle politiche. Non significa certo che lo sviluppo debba arrestare le migrazioni, ma far sì che il diritto alla migrazione, come il diritto a non emigrare, siano contemporaneamente sostenuti. Oggi questa situazione è comune a molti Paesi, ma il Niger diventa il miglior allievo di Malta.

Da qui la volontà di immaginare un percorso che consenta alle organizzazioni sindacali locali di conoscere, intercettare e rappresentare queste popolazioni migranti, sempre meno in transito, sempre più spesso (volenti o nolenti) stanziali. In Niger, la Cgil e Nexus, insieme all’Ustn, si occupano di sviluppo e diritti umani nell’ambito delle attività della Rete sindacale migrazioni mediterranee e subsahariane, di cui la Cgil è sindacato fondatore e cui aderiscono organizzazioni della sponda Nord e Sud del Mediterraneo e dell’Africa occidentale.

Al cuore delle attività, il rafforzamento delle capacità dei sindacati locali nel trattare il tema della migrazione. Le numerose attività di messa in rete e formazione, anche assieme alla società civile, hanno meglio identificato il ruolo del sindacato nell’osservazione e nella costruzione di proposte per la gestione dei flussi migratori. Ustn ne è uscita rafforzata ed è ora riconosciuta dalle istituzioni nigerine come controparte nel dialogo nazionale sul tema, facendo parte del Comitato interministeriale per la redazione della Strategia nazionale sulla migrazione e curando il Rapporto sulla manodopera migrante informale. Perché il lavoro migrante è senza diritti, così come la condizione dei cittadini stranieri rimane in un limbo giuridico, e il nuovo contesto impone di conoscerla e rappresentarla verso le istituzioni nazionali e internazionali.

Il sindacato nigerino e la Cgil hanno avuto anche occasione di conoscersi meglio e reciprocamente arricchirsi. Il sistema dei servizi e di rappresentanza della Cgil è stato assunto come punto di partenza per la costruzione di un sistema di conoscenza e di rappresentanza delle comunità migranti nel Niger, a iniziare dalla costituzione di focal point sindacali nel Paese, con l’obiettivo, appunto, di fare da luogo di primo contatto fra la struttura sindacale e le comunità migranti.

La cooperazione transnazionale con i sindacati è una leva indispensabile per immaginare proposte sostenibili relative alla mobilità umana, in particolare dei lavoratori. La cooperazione nell’ambito della Rete sindacale migrazioni mediterranee e subsahariane è un impegno concreto verso un partenariato strategico per sperimentare azioni innovatrici in rete, a partire dalla conoscenza reale dei fenomeni.

Questo il senso del nostro intervento come ong sindacale e come Cgil: che alla logica della fuga da persecuzioni e miseria si contrapponga la logica del diritto e dei diritti. Il diritto a restare, legato alla costruzione di opportunità di lavoro, reddito, studio, capacitazione. Il diritto a partire, legato alla connaturata libertà ed eguaglianza riconosciuta a ogni essere umano dalla Carta dei diritti umani.

Sabina Breveglieri, Nexus Cgil Emilia Romagna; Salvatore Marra, Area politiche europee e internazionali Cgil


(1) La Comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale, composta di Nigeria, Ghana, Costa d’Avorio, Senegal, Mali, Burkina Faso, Benin, Niger, Guinea, Sierra Leone, Togo, Liberia, Capo Verde, Guinea Bissau e Gambia.