Scatta l’ora del coprifuoco. Quasi come fossimo in guerra. In questo caso contro i migranti. A Firenze entra in vigore, a partire dal primo novembre, la circolare della Prefettura che impone ai migranti "accolti" nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) di rientrare nelle strutture entro le 20 e di rimanerci barricati, relegati, fino alle 8 di mattina. Ma non solo, insieme a questa disposizione, diviene operativo l’obbligo da parte degli operatori di ispezionare ogni pacco che i migranti riceveranno. Non solo per questioni di sicurezza, ma anche per controllare la congruità dell’eventuale acquisto con la disponibilità economica. 

Alla vigilia dell’entrata in vigore di queste circolari prefettizie - peraltro in linea con il modus operandi securitario che si registra da qualche anno a Firenze - abbiamo incontrato le operatrici e gli operatori addetti ai servizi per l’immigrazione per ascoltare, attraverso le loro dirette testimonianze, cosa tutto ciò voglia dire rispetto al loro lavoro e come la natura stessa di quest’ultimo cambi, mutando dall’essere operatori della socialità a operatori della repressione della socialità. Li abbiamo incrociati a Firenze, presso la Camera del lavoro, nella sede della locale Funzione pubblica Cgil, lo stesso soggetto che circa due settimane fa ha denunciato le circolari registrando una grande eco mediatica. 

Una esigua rappresentanza dei circa 300 lavoratori impiegati a Firenze nei Cas e nei servizi per richiedenti asilo e rifugiati, come ci spiega Jacopo Geirola della Fp Cgil, responsabile del Terzo settore. Cas che nel Fiorentino gestiscono questi servizi per l’80%, il resto lo fa il circuito Sprar (almeno per ora), accogliendo poco meno di 3 mila migranti. Tante e diverse le testimonianze raccolte, tutte però unite da una stessa denuncia. Ovvero, la progressiva perdita dell’identità lavorativa: operatori che dal sociale, impegnati lungo la filiera accoglienza e integrazione, passano ad essere operatori della sicurezza, invischiati in operazioni di vigilanza e controllo, amministrativo o meramente burocratico. 

Un timore condiviso dalla Fp Cgil di Firenze, come ci ha annunciato Geirola: “C’è timore sulle prospettive occupazionali, rispetto agli effetti che produrrà il decreto Salvini, ma anche sul ruolo degli operatori, rispetto alle circolari del prefetto Lega. Se non tornerà indietro - avverte Geirola - noi avvieremo la mobilitazione per difendere i posti di lavoro”. 


Come traspare dalle parole dei lavoratori, infatti, il tema riguarda il cambio di natura della loro professione. Un lavoro di anni che pare sfumare sotto la pressione burocratica e legislativa. “Il mio è un lavoro che si basa sulla fiducia tra l’operatore e il migrante stesso - racconta Martino Coppola, operatore impegnato a Firenze sul fronte accoglienza e integrazione -. È una cosa impegnativa perché la fiducia non è materiale, ma si costruisce e si conquista col tempo, attraverso il dialogo e l’empatia. Sono persone che arrivano da esperienze traumatiche e risulta molto difficile costruire questo rapporto fatto di fiducia e di lealtà. Ma ora la costruzione di questo percorso si complica introducendo elementi di burocrazia restrittiva, che fa saltare la fiducia”. 


Che non sia un tema del solo oggi emerge dalle parole di Jacopo Landi, educatore in uno Sprar, "memoria storica" perché da anni impegnato in questo settore. “Viviamo in un Paese che ha mutato la sua attitudine all’accoglienza e all’integrazione progressivamente negli anni, per non parlare del clima che si respira a Firenze dove si addita e si nasconde la presenza dello straniero, basti pensare alla vicenda dei ‘vu cumprà’ - racconta Jacopo -. Per stare solo agli ultimi tempi, l’atteggiamento e l’approccio che si diffonde è di tipo esclusivamente securitario. Ma il rischio concreto è quello di di trasformare e cancellare i percorsi di autonomia che i migranti intraprendono: invece di accoglierli si privilegiano elementi di sicurezza”. È il mutamento di un approccio che si sta cercando, denuncia Jacopo: “Ci vogliono intrusivi nella vita degli altri, come se dovessimo agire da gendarmi rispetto a persone che arrivano in uno stato di profonda sofferenza. Ma sono persone che hanno diritto a una accoglienza dignitosa e a un’altra chance nella vita”. 

Un nuovo approccio, imposto, che vanifica il lavoro fatto da questi operatori nel corso degli anni. “Nei miei tre anni di lavoro è cambiato tutto - dice Marco Caponeri, operatore in un Cas -. Il lavoro si è trasformato, è diventato più stringente. Si è snaturato il nostro ruolo, volto all’inclusione sociale, alla ricerca di una connessione sociale, in veri e propri controllori. E allo stesso tempo siamo noi stessi controllati dalle cooperative e dalla stessa Prefettura perché quanto previsto, in ultimo dalla circolare cosiddetta ‘coprifuoco’ e da quella sul controllo dei pacchi, sia da noi effettivamente svolto. Un lavoro di natura burocratica che toglie tempo prezioso dal lavoro di accoglienza e integrazione, che è poi la vera e sola essenza del nostro lavoro". 



C’è chi, invece, come Valentina Adduci, avvocato e operatore legale in centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati, fa notare quanto tutta questa sicurezza ricercata sia poi fuori dal perimetro stesso della legalità. “Con il decreto Salvini e le circolari della Prefettura sui Cas, il lavoro degli operatori muta la sua natura - spiega Valentina -. Si avvicina a compiti più di polizia che non possono essere richiesti a chi lavora in un centro di accoglienza. È grave, ad esempio, chiedere a un operatore di porre in essere un comportamento che è passibile di querela. Mi riferisco alla circolare cosiddetta pacchi, il codice penale punisce la violazione della corrispondenza. I lavoratori coinvolti potrebbero essere querelati dal diretto interessato. Non gli si può chiedere una condotta che è penalmente rilevante". 

Così come c’è chi fa notare come manchi un senso al tutto. “I decreti Minniti prima, Salvini oggi, hanno senza dubbio cambiato le cose - racconta Eleonora Moscardi, operatrice in uno Sprar e con un passato nei Cas -. Specie per le possibilità offerte ai migranti. Penso alle persone che hanno avuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari e che adesso non lo avranno più. Per esperienza personale ho avuto a che fare con persone molto fragili, anche con gravi problemi psichici, e mi domando cosa accadrà loro. Cosa accadrà a tutte quelle persone che prima, con un permesso di soggiorno per motivi umanitari avevano la possibilità di una prospettiva. E adesso cosa succederà? In tutto questo non c’è senso…". 

Mancherà forse un senso in termini di umanità, ma l’obiettivo politico, perseguito negli anni, sembra essere chiaro invece, come fa notare Salvatore Borelli, operatore in un Cas: “Il decreto Salvini non inventa niente di nuovo, già Minniti stesso preparava ad una logica fortemente restrittiva sulle richieste di asilo - afferma Salvatore -. Lo stesso modello Sprar, un modello di eccellenza in termini di accoglienza e di integrazione, con il decreto Salvini si trasforma in un nulla. Il concetto di migrante che passa è legato a quello di criminalità, continuando ad alimentare, anche attraverso le circolari del prefetto, questo pregiudizio”.

E se l’obiettivo politico è chiaro, il lavoro di chi è impegnato in questa filiera che va dall’accoglienza all’integrazione diventa sempre più difficile e frustrante, come viene fuori dalle parole di Marta Scaratti, anche lei operatrice in uno Sprar: “Certo sappiamo che il sistema dell’accoglienza non è perfetto, ma allo stesso tempo noi da dentro cerchiamo di far funzionare le cose. Ora ci troviamo in un momento in cui tutto questo diventa sempre più difficile e frustrante, ci interfacciamo con un’istituzione che sembra avere obiettivi diversi dai nostri. Non si capisce bene quale sarà bene il destino dei Cas e degli Sprar, così come vedo incerto quello che sarà il mio futuro lavorativo".

Un timore condiviso, quello di un lavoro che cambia. Una prospettiva incerta, gli effetti che produrrà il decreto Salvini su questo sistema. Un sindacato, la Fp Cgil, al loro fianco.