Le città moderne, dal punto di vista dello sviluppo, sono dei grandi agglomerati urbani che concentrano la maggior parte della popolazione mondiale, fonte di inquinamento, e luoghi in cui sono più evidenti le grandi disuguaglianze della società contemporanea. Eppure restano degli straordinari incubatori di innovazione sociale. “Quando si parla di economia e di sviluppo territoriale, però, troppo spesso si discute di modelli econometrici meramente quantitativi. Invece bisognerebbe non solo parlare di crescita, ma puntare a una definizione di sviluppo non ancora operativizzata, in cui si consideri anche la dimensione culturale, partendo proprio dalle comunità urbane”. Lo ha detto Elena Battaglini, sociologa dello sviluppo e docente presso l'Università di Roma 3, ai microfoni di RadioArticolo1.

“Bisogna puntare a uno sviluppo che tenga conto della dimensione sociale e ambientale – ha continuato -, è necessario farsi carico delle risorse dello sviluppo che non sono solo materiali, ma anche immateriali, in termini di conoscenze”. I cardini attorno a cui costruire questo sviluppo alternativo sono gli occhi con cui si guardano le questioni urbane, e “con cui le persone osservano i propri problemi”. Per la sociologa, infatti, “il lamento tossico dominante in questi tempi non fa bene a nessuno, e spesso cela agli occhi dei più degli esempi di comunità che attuano modelli differenti e buone pratiche”.

Queste pratiche “appartengono a gruppi di cittadini, movimenti e associazioni che stanno affrontando la crisi con strumenti diversi, ma che sono spesso invisibili. Non si vedono, non si leggono, non si conoscono”. Per questo, per cambiare il modello di sviluppo urbano dominante, bisogna partire “dal nostro modo di guardare le nuove dinamiche e la il tema della crisi”. Servono, insomma, “altri occhi”. Perché la crisi “può essere una possibilità di scelta”. “Se siamo riflessivi, e guardiamo ad altre dimensioni, ci accorgiamo che questa crisi sta attivando, nelle periferie e non solo, delle forme di solidarietà, di economia e di sviluppo che sono molto interessanti”. La politica e le istituzioni dovrebbero “prendere spunto da queste esperienze e rendere queste pratiche delle nuove istituzioni”.

È un lavoro complesso, certo, ma che, conclude Battaglini, potrebbe portare a grandi risultati: “Quelle messe in atto da alcuni cittadini sul fronte della mobilità, dell'abitare, del rapporto con lo spazio e dei servizi alla persona, sono politiche da incentivare. Basterebbe che le istituzioni si rendessero conto di cosa si sta facendo in alcune città. Si stratta di interconnettere e intercettare queste pratiche, per recuperare lo scostamento in atto tra politica e società. È assolutamente necessario evitare l'autoreferenzialità e capire i nuovi bisogni delle persone, per evitare derive assai pericolose”.