“L’incontro non ha fornito le risposte che auspicavamo rispetto ai tantissimi problemi evidenziati circa il gruppo ex Ilva”. Questo il commento di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil nazionali all’incontro che si è tenuto nel pomeriggio di mercoledì 27 settembre a Roma, presso la presidenza del Consiglio dei ministri, cui hanno partecipato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mantovano, i ministri Calderone (Lavoro), Urso (Imprese) e Fitto (Rapporti europei).

Fiom, Fim e Uilm dichiarano di “non aver ricevuto alcuna ‘chiara’ risposta su come il governo intenda risolvere questa annosa vertenza”. Di conseguenza, confermano lo sciopero di 24 ore previsto per oggi (giovedì 28 settembre) a Taranto e annunciano di “convocare quanto prima il coordinamento nazionale unitario delle Rsu degli stabilimenti per decidere le iniziative nazionali da mettere in campo”.

Le ragioni di Fiom, Fim e Uilm

“Abbiamo ricordato tutti gli impegni disattesi da parte di ArcelorMittal”, hanno spiegato i sindacati: “La mancata applicazione del piano industriale condiviso con i sindacati con l’accordo sottoscritto il 6 settembre 2018, il mancato mantenimento dell’occupazione con la messa in cassa integrazione di circa 5 mila (oltre a quelli dell’indotto), il mancato raggiungimento dell’obiettivo di sei milioni di tonnellate annue di acciaio, anche in fase di massima richiesta del mercato”.

Il cahier de doléances non finisce qui. I sindacati evidenziano “il mancato rifacimento dell’altoforno Afo 5, sempre annunciato e mai realizzato; i mancati investimenti per l’efficienza degli impianti, con gravi rischi di sicurezza; la mancata trasparenza sull’utilizzo dei 400 milioni per l’ingresso di Invitalia nel capitale sociale e degli ulteriori 680 milioni immessi quest’anno dallo stesso socio pubblico; la nessuna certezza sui tempi di reintegro dei lavoratori di Ilva in amministrazione straordinaria”.

E sono “stupiti ed esterrefatti dall’aver appreso dal governo dell’interlocuzione in atto con ArcelorMittal per raggiungere un nuovo accordo, dopo quello di marzo 2020 a noi a tutt’oggi sconosciuto, che nella sua realizzazione sta mantenendo come filo di continuità con i governi precedenti l’esclusione dei lavoratori e dei loro rappresentanti sindacali”.

In questo senso, le tre sigle rilevano che “ciò che si è avuto fino a oggi è stato l’aver mortificato i lavoratori con il mancato rispetto delle leggi e dei contratti di lavoro e l’uso massiccio della cassa integrazione straordinaria, con il depauperamento delle professionalità e delle competenze presenti in azienda”.

Fiom, Fim e Uilm, inoltre, evidenziano che “i risultati economici e produttivi, e quelli sociali, dimostrano a oggi l’inaffidabilità del management di Acciaierie d’Italia”, auspicando che “questo governo, a differenza di quelli precedenti, non si faccia condizionare dal socio privato che con la sua gestione, in questi anni, ha sprecato risorse pubbliche e ha fatto pagare un prezzo altissimo a lavoratori e cittadini”.

Cgil, governo non ha risposte da dare

“La Cgil nazionale sostiene pienamente lo sciopero, tanto più dopo l’inutile incontro tra sindacati di categoria e governo”, così il segretario confederale Pino Gesmundo: “L’esecutivo ancora una volta ha dimostrato di non andare oltre le dichiarazioni di intenti e di non saper dare alcuna risposta sulla vertenza dell’ex gruppo Ilva”.

Per Gesmundo convocare un tavolo a Palazzo Chigi con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio e tre ministri “non ha alcuna valenza se non si affronta la drammatica situazione che denunciamo da molto tempo”. Il dirigente sindacale evidenzia che “siamo di fronte a una fabbrica sottoutilizzata, i cui impianti versano in condizioni sempre più critiche e dove ogni giorno vengono messe a repentaglio la sicurezza e la salute dei lavoratori. E di fronte a una città che ha bisogno di soluzioni urgenti sul fronte dell’inquinamento”.

Il segretario confederale Cgil così conclude: “Non servono sfilate o protagonismi da perenne campagna elettorale, occorre intervenire per salvare uno stabilimento che costituisce un asset strategico non solo per Taranto e per la Puglia, ma per l’intero sistema industriale del nostro Paese”.