Davvero un bel paradosso: da un lato la transizione tecnologica che se ben affrontata porterà innovazione sviluppo e anche occupazione. Dall’altro le grandi multinazionali del settore telecomunicazioni, in sofferenza finanziaria ed economica, annunciano esuberi, cessioni di asset e rami d’azienda. Tutto senza minimamente confrontarsi con chi rappresenta il lavoro, i sindacati. E come accade in questi casi a rischio sono proprio livelli occupazionali, tutele e diritti degli uomini e delle donne che con la loro fatica e il loro ingegno creano la ricchezza di quelle multinazionali.

Stop alle attività

Allora è sciopero nazionale del settore: braccia incrociate il 6 giugno, sia per gli addetti telco, sia per quelli dei contact center. Per meglio far sentire la forza delle rivendicazioni, lavoratori e lavoratrici si ritroveranno alle 10,30 a Roma in Piazza Santi Apostoli per dire un chiaro e netto no: “Ai piani di scorporo di industria e servizi delle principali telco; alle minacce di dumping contrattuale delle aziende di customer service in outsourcing, ossia i reiterati tentativi di fuoriuscire dal contratto collettivo nazionale delle Tlc per comprimere salari e diritti”.

Settore tra rischi e opportunità

Lo afferma l’Europa, quando tra i pilasti fondamentali di Nex Generation Eu inserisce la transizione digitale. Lo confermano le innovazioni e “scoperte” dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie applicate, a cominciare da quelle per la salute e la medicina. Lo sperimentiamo ogni giorno utilizzando social media e guardando video, o aspettando a casa un rider il cui lavoro è legato a un algoritmo: questo è il presente e il futuro. Ma il modello economico scelto per questo settore mette a rischio il suo assetto e soprattutto il lavoro.

Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil sostengono: “Il settore è stato caratterizzato negli ultimi 15 anni dal continuo ricorso ad ammortizzatori sociali, esodi incentivati, tagli nella contrattazione aziendale, perdite di professionalità importanti, e blocco pressoché totale del ricambio generazionale. La ricetta messa in campo, di recente, dalle principali Telco per gestire gli effetti di un mercato deregolamentato, è quella di dividere l’industria (le infrastrutture di rete) dai servizi. Un'impostazione miope che impoverirà ancor di più il settore, trasformando aziende leader del comparto Tlc a meri rivenditori di servizi, i cui azionisti di riferimento non sono neanche italiani”.

Preoccupazioni motivate

Proprio in questi giorni si legge sui giornali che tra le ipotesi di riduzione dei progetti del Pnrr, visti ritardi nell’implementarlo, vi è quella di Piano Italia 5G che presenta ben tre delle quattro criticità prese in esame per decidere se accantonare o meno il progetto, visti i ritardi accumulati. Se questo avvenisse, non solo creerebbe ulteriori problemi all’occupazione del settore, ma sarebbe un grave vulnus per l’intero Paese, arretrerebbe rispetto al resto dell’Unione con un grave problema di competitività economica, sociale e democratica.

L’allarme di Cgil e Slc

Sia la confederazione che la categoria hanno più volte espresso perplessità e preoccupazioni, ma apparentemente senza nessun effetto. Hanno scritto, infatti, Barbara Apuzzo, Cgil e Riccardo Saccone, Slc: “Siamo fortemente preoccupati per il rischio, sempre più concreto, di non raggiungere gli obiettivi fissati dal Pnrr per il potenziamento della banda ultralarga e delle reti 5G. Lo affermiamo alla luce dei grandi ritardi di copertura fino a oggi accumulati, che rischiano di far perdere all’Italia i miliardi destinati alla costruzione di una capillare ed efficiente infrastruttura nazionale per la banda ultralarga".

“Come sarà possibile coprire 6,87 milioni di civici del bando Italia 1 Giga (Aree nere e grigie) – aggiungono i dirigenti sindacali - considerando ad esempio la performance sul Piano Bul di Open Fiber nelle aree bianche (proprio quelle più svantaggiate), dove si continuano ad accumulare ritardi su ritardi? O con la vicenda Tim, le cui sorti sembrano essere state definitivamente affidate al mercato, nella totale assenza di scelte volte al consolidamento di una delle più importanti e strategiche aziende Italiane?”.

Governo batti un colpo

Meloni e i suoi ministri sembrano non accorgersi di quanto sta succedendo: non incontrano i sindacati, non convocano le aziende, non hanno – almeno non la mostrano – un'idea strategica per il settore e quindi per il Paese. “Le istituzioni non stanno svolgendo alcun ruolo regolatorio, nessun intervento strutturale che possa dare stabilità al settore rilanciando un asset strategico per il sistema Paese e tutelando oltre 120.000 addetti che operano nel variegato mondo delle telecomunicazioni”, affermano i sindacati di categoria che lamentano: “Da mesi va avanti un 'surreale' tavolo tecnico presso il ministero delle Imprese e del made in Italy, nel quale è completamente assente la voce dei rappresentanti dei lavoratori, e dove si fatica a immaginare di cosa si dibatta”.

Settore in crisi

Circa 20mila posti di lavoro su 120 del settore.  Per capire cosa sta succedendo, però basterebbe elencare le aziende di settore e vedere l’effetto che fa: Vodafone annuncia esuberi per il 20% della forza lavoro; WindTre vende la propria infrastruttura di rete più per far cassa che per perseguire un progetto industriale; British Telecom ed Ericsson annunciano altri esuberi di personale. È evidente che l’intero settore sta dando segnali di sofferenza, se non di crisi conclamata. Per non parlare di Tim e dello spezzatino a cui il management sta sottoponendo l’azienda.

E poi quelle dei call center

“La situazione non è migliore nel comparto dei customer in outsourcing - proseguono Slc, Fistel e Uilcom - già storicamente in affanno, con le aziende più rappresentative impegnate a ricercare soluzioni ai mali atavici del settore, minacciando, a ogni rinnovo, l’uscita dal contratto delle telecomunicazioni. Un'ulteriore scelta miope e senza una visione prospettica. Ridurre salari e diritti delle lavoratrici e dei lavoratori non metterebbe in sicurezza il settore dalle politiche “ribassiste” della committenza. In assenza di una legge sulla rappresentanza, o di un intervento governativo che stabilisca il contratto di riferimento, ci sarà sempre chi troverà un contratto dal costo inferiore per poter offrire ulteriori ribassi, o ancora, alternative peggiori quale il ricorso all’offshoring”.

L’appuntamento

Arrivano da tutta Italia le lavoratrici e i lavoratori che si ritrovano oggi, 6 giugno, in piazza Santi Apostoli nella capitale. Al microfono si alterneranno gli interventi delle stesse lavoratrici e lavoratori di aziende di tutto il settore Tlc (quindi comparti: contact center, rete, telco), oltre che dei segretari generali e nazionali di categoria: Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil. L’augurio è che governo, politica e aziende sappiano ascoltare.