Con l’impennata dei contagi che fanno registrare ogni giorno record di diffusione del virus, si torna a parlare di smart working, soprattutto per i dipendenti pubblici. Mentre l’Ocse ci dice che la quota di offerte di lavoro che prevedono impieghi da remoto è più che triplicata da inizio pandemia, passando dal 2,5 per cento di gennaio 2020 a quasi l’8 ad aprile 2021 in 20 Paesi del mondo, in Italia si accende la polemica. Tra chi, sindacati, politici, virologi e anche esponenti del governo, chiede un ritorno massiccio al lavoro da remoto, misura che ha già dimostrato la sua efficacia e che dovrebbe essere implementato e favorito, e chi invece, come il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta, ha rimandato al mittente gli appelli.

“Innalzare il numero di lavoratori in smart working in questa fase per noi è decisivo - spiega la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti -, perché è necessario mettere in atto tutte le misure utili a rafforzare la prevenzione del diffondersi del contagio e dell’epidemia. Questa misura è stata particolarmente incisiva nei mesi scorsi e oggi è anche favorita da una nuova regolamentazione contrattuale. La cosa importante è ridurre soprattutto gli spostamenti casa-lavoro che sappiamo essere uno dei punti più delicati nella diffusione del contagio”.

Nessuna polemica, quindi, da parte del sindacato di corso d’Italia, ma una richiesta rivolta a tutte le amministrazioni pubbliche a usare gli strumenti a disposizione per elevare il numero dei lavoratori che prestano la propria attività da remoto: le linee guida nazionali stilate dal ministro Brunetta con il decreto del 15 ottobre e il contratto delle funzioni centrali appena firmato. Gli obiettivi: aumentare la sicurezza sui luoghi di lavoro, evitare il più possibile gli assembramenti, ridurre l’utilizzo dei mezzi pubblici, alleggerire le presenze sui treni regionali, ogni giorno ingolfati da pendolari.

“Nel frattempo occorrerà valutare se sarà necessario un altro provvedimento di natura emergenziale – prosegue Scacchetti -, come quello approvato a inizio pandemia, con cui lo smart working era diventato la modalità ordinaria di resa della prestazione lavorativa per i dipendenti pubblici. D’altronde, lo stato di emergenza, che doveva terminare il 31 dicembre, è stato prorogato al 31 marzo”. Mentre il governo dovrebbe procedere con questa valutazione, le singole amministrazioni possono muoversi autonomamente. Molte di quelle che nei mesi scorsi avevano applicato pedissequamente il decreto ministeriale, lo stanno facendo, rivedendo i loro piani.  

“Il ministero dell’Economia e delle finanze ha aumentato il numero dei giorni lavorabili da remoto, sulla base della richiesta avanzata da noi, la stessa Presidenza del Consiglio dei ministri mantiene una certa flessibilità rispetto al lavoro in presenza – racconta Florindo Oliverio, segretario nazionale Funzione pubblica Cgil -. E così anche l’Agenzia delle entrate e il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria hanno dato indicazione ai direttori di valutare la situazione caso per caso. Solo per citare alcuni esempi. Gli strumenti per organizzare il lavoro in periodi ordinari ci sono tutti. In virtù del contratto in vigore dal mese prossimo, un confronto tra amministrazioni e sindacati individuerà i servizi che si possono operare a distanza, per poi definire le modalità attuative del lavoro agile, quello senza vincolo di orario, spazio e luogo ma con obiettivi prefissati, e di quello da remoto che è una tipologia differente”.

Il punto, però, è che il contratto non è ancora vigente e che le amministrazioni hanno premuto l’acceleratore sul rientro in massa dei dipendenti neanche due mesi e mezzo fa. Perché le linee guida del Ministero hanno introdotto il criterio di “prevalenza” del lavoro in presenza. “Ma prevalenza rispetto a che cosa? Alle ore lavorabili, alle attività svolte? – si chiede Oliverio -. È questa la stortura del decreto, che le amministrazioni hanno finora applicato in maniera teorica e pedissequa, senza una valutazione di merito. È per questo che molti protocolli hanno fissato le giornate lavorabili da remoto a livello settimanale e mensile. E se invece devo realizzare attività che non richiedono rapporto diretto con l’utenza, e che si possono fare attraverso il call center o la digitalizzazione, come le organizzo?”.

Mentre il numero dei casi positivi sale vertiginosamente, le Regioni si tingono di giallo, alcune rischiano l’arancione, con uno stato di emergenza che durerà fino al 31 marzo, rimane aperta la questione: se lo smart working aiuta a contenere i contagi, perché non potenziarlo?