Discuterne seriamente. Forse basterebbe questo per dare un contributo concreto alla trasformazione delle modalità con cui si può rendere la prestazione lavorativa, una trasformazione che, nel caso del lavoro agile, da esperienza figlia delle necessità dell'emergenza si sta lentamente trasformando in scelta strutturale in molti luoghi  di lavoro. Per discuterne seriamente non sono possibili letture a senso unico, occorre uscire da una continua disputa fra chi considera lo smart working di fatto una vacanza retribuita, un non lavoro legittimato e fra chi invece lo vede come la rivoluzione positiva in tutti i luoghi di lavoro, assente di qualunque criticità.

L’origine della discussione
Intanto è opportuno ricordare che la discussione sul lavoro agile non nasce certo con la pandemia, ma dalla introduzione della legge 81/2017 e fino alla pandemia il ricorso a questa modalità di effettuazione della prestazione è stato sporadico e limitato, anche nei settori, bancario, assicurativo, servizi di comunicazione, nei quali gli accordi si sono fatti. L’avvento della pandemia ha invece dato luogo a uno straordinario esperimento organizzativo, tecnologico e sociale: nei periodi di maggior ricorso al lavoro agile quasi il 47% dei lavoratori è stato collocato in smart working, senza azioni di accompagnamento, senza formazione specifica, in forma obbligata.

Lavoro a domicilio 4,0
Forse non è del tutto improprio parlare di lavoro a domicilio 4.0: si è trattato infatti soprattutto di uno strumento di protezione della salute, che ha consentito di dare continuità a tante attività. È stato per alcuni una scoperta, un'esperienza dalla quale non si vorrebbe tornare indietro, se non recuperando almeno in parte il lavoro in presenza, per altri una esperienza affannosa, senza controllo, segregante, spesso con l’aggravarsi  dei carichi di cura. Se questo è stato, riflettere su cosa dovrà e potrà essere non ammette facili soluzioni.

No alle gabbie salariali
Di certo andrebbe superata la retorica che ogni tanto torna del finalmente tornano tutti a lavorare, di certo non sono accettabili proposte che vedono nello smart working lo strumento per riaprire spazio a idee sbagliate come quelle delle gabbie salariali. Bisogna invece approfondire e riflettere su quanto sta accadendo e accompagnare il cambiamento con una forte centralità della contrattazione, a partire da quella collettiva a cui colpevolmente il legislatore con la legge 81/2017 non ha affidato compiti.

Leggi anche

Lavoro

Smart working. Non si torna indietro, ma serve una legge

Nato per rispondere all’emergenza della pandemia il lavoro da remoto, o lavoro agile, produrrà cambiamenti strutturali e permanenti nell’organizzazione delle aziende e dei servizi pubblici. Dovranno essere le norme a costruire il quadro di riferimento, mentre spetterà alla contrattazione collettiva l’applicazione dei principi. Anche l’organizzazione urbanistica delle città subirà dei cambiamenti. Tante le novità sull’orario di lavoro. Decisiva la riqualificazione dei dirigenti
Smart working. Non si torna indietro, ma serve una legge
Smart working. Non si torna indietro, ma serve una legge

Ci vuole una vera contrattazione collettiva
Se infatti l’obiettivo dello smart working deve essere anche quello di un cambio della cultura organizzativa nei luoghi di lavoro, fondato su un lavoro che si misura sempre più per obiettivi e non solo in relazione alla presenza, che consente una più autonoma gestione degli spazi e del tempo, consentendo anche un miglioramento nel rapporto fra tempo di vita e tempo di lavoro. Allora non basta solo l’accordo individuale fra datore di lavoro e lavoratore. Serve un ruolo di accompagnamento e sostegno della contrattazione collettiva. In questi mesi anche il legislatore si è posto il tema di come intervenire nella legislazione vigente per aggiornarla, per renderla strumento di sostegno a una modificazione dei luoghi di lavoro accelerata dalla pandemia, per affrontare le diverse problematiche che si sono evidenziate. Molte delle proposte di legge che abbiamo analizzato e che saranno discusse intervengono su moltissimi aspetti che caratterizzano il ricorso al lavoro agile: dagli orari di lavoro, ai diritti di precedenza, dagli incentivi al sistema di imprese, al diritto alla disconnessione, al tema del potere direttivo e di controllo. 

Le materie della contrattazione
Occorre fare molta attenzione, perché la legge dovrebbe soprattutto essere orientata a garantire e a sostenere un ruolo adeguato alla contrattazione collettiva o a intervenire sulle materie più generali come il diritto alla privacy, alla protezione e alla sicurezza dei dati aziendali, il diritto alla disconnessione e alla formazione permanente mentre si dovrebbe evitare un intervento legislativo che si occupi direttamente degli aspetti legati alla organizzazione del lavoro. Nel frattempo occorre guardare con positività a quanto la contrattazione ha già fatto o sta facendo anche in un momento in cui le norme emergenziali ancora hanno svincolato la prestazione in lavoro agile dagli obblighi previsti, in particolare eliminando l’obbligo all’accordo individuale. La contrattazione sta già guardando al futuro, questo è un buon segno. Nella prima fase della pandemia gli accordi si sono concentrati sulla necessità di intervenire sulla riorganizzazione dei luoghi di lavoro, ma già da alcuni mesi soprattutto la contrattazione aziendale ha cominciato a individuare nuovi modelli organizzativi che a regime implementano e sviluppano il ricorso al lavoro agile.

Le nuove norme
La contrattazione collettiva  ha quindi normato aspetti importanti per garantire lavoratori e benessere complessivo delle aziende, come la formazione, l’alternanza fra lavoro in presenza e lavoro da remoto, le norme per garantire la sicurezza e le dotazioni tecniche e strumentali, la salvaguardia del diritto di disconnessione, le fasce orarie, i diritti sindacali e molto altro ancora. Queste esperienze, che rispondono nella maggior parte dei casi a una richiesta forte da parte dei lavoratori possono e devono rafforzarsi, superando la fase della sperimentazione di questi mesi. Infine anche rispetto alla tanto decantata "retorica" della conciliazione occorre prudenza. È innegabile che tra gli aspetti in termini di beneficio per i lavoratori si possono annoverare la flessibilità, per una volta non sempre a vantaggio della azienda, il recupero dei tempi di viaggio nelle giornate di lavoro da remoto, che in alcuni casi hanno un peso consistente nella giornata lavorativa, una gestione più autonoma dei tempi di lavoro.

Le politiche di conciliazione sono un’altra cosa
Tuttavia le politiche di sostegno alla conciliazione sono tanto e molto di più che favorire l’accesso allo smart working. Devono potersi caratterizzare per un profilo di universalità e di esigibilità per tutti e passano in primo luogo per il rafforzamento della condivisione dei carichi di cura a attraverso l’implementazione di un forte sistema di servizi che accompagni e sostenga le  lavoratori e lavoratrici nell’ intreccio con i compiti di cura. In questi mesi abbiamo visto gli effetti negativi possibili della remotizzazione massiccia del lavoro, la percezione di segregazione, l’assenza di relazioni, l’impoverimento professionale, l’accrescimento e non la riduzione del peso del lavoro di cura sulle donne. Per tutte queste ragioni la Cgil non si è mai schierata né fra gli entusiasti acritici n’è fra chi demonizza lo smart working. Abbiamo lavorato e continueremo a lavorare per valorizzare e implementare una trasformazione che, dove contrattata, ha dimostrato di potersi riflettere positivamente sul benessere di lavoratori e lavoratrici.

Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil responsabile delle politiche del lavoro e della contrattazione