Il 2020 che ci siamo da poco lasciati alle spalle passerà alla storia come l’anno della pandemia, quello in cui un virus ha sconvolto il pianeta e le sue relazioni umane, economiche e sociali. Ma rimarrà per tutti anche l’anno in cui le fragilità di un sistema incapace di fare sistema sono esplose: dalle diseguaglianze alla crisi ambientale. E’ a partire da questa constatazione che la Flai Cgil ha organizzato un confronto dedicato alla politica agricola europea con la consapevolezza che proprio nell’agricoltura si evidenziano, come in un prisma, tutte le sfaccettature dei problemi che il Paese e l’Europa si trovano ad affrontare.  

Un dibattito pragmatico e politico, quello che ha aperto i lavori del comitato direttivo nazionale e che ha provato a mettere in rete esperienze decisamente diverse fra loro: quella del sindacato, quella delle istituzioni e dei partiti, quella del mondo ambientalista e dell’associazionismo. Le domande e le incognite sono numerose. Le opinioni a volte divergenti.

Il primo nodo da sciogliere riguarda le risorse del Recovery fund destinate al settore: sono cospicue, 910 milioni di euro per l’Italia. Un’occasione da non sprecare ma sulla quale gravano le incertezze politiche di questi giorni. Poi c’è la sfida del Green New Deal e affianco ad essa quella che investe direttamente la Pac (politica agricola comune).

Il quadro lo fa Pietro Ruffolo, responsabile esteri della Flai Cgil, nella sua introduzione, che sottolinea come un’altra novità di questo anno funesto sia in realtà una svolta attesa da tanto tempo, arrivata grazie alle decisioni di un’Europa che, immaginando il dopo pandemia e diversamente dagli anni dell’austerità, ha finalmente scelto la via della solidarietà e quella dello sviluppo sostenibile. In questo senso la Pac attualmente in discussione potrebbe davvero fare la differenza. Per esempio, grazie a un emendamento votato dal Parlamento europeo che introduce la condizionalità del lavoro di qualità come discriminante per la concessione dei fondi. Lo spiega Maria Noichl, l’eurodeputata che lo ha proposto, e il concetto è semplice ed è quello che il sindacato chiede ormai da decenni: “Un’azienda non può prendere sovvenzioni dall’Europa se non dà dignità ai lavoratori. Questo tema investe l’intera filiera perché lo sfruttamento non c’è solo in Bangladesh ma, come sappiamo bene, anche nelle nostre campagne.”

Kristjan Bragason, segretario generale dell’Effat, la European Federation of Food, Agriculture and Tourism Trade Unions, ha ancora davanti agli occhi le immagini scioccanti delle condizioni di alloggio e di vita dei lavoratori migranti che ha visitato lo scorso anno nei ghetti italiani. Sulla Pac ha chiaro che non è stata ancora raggiunta “la vittoria: quella condizionalità sociale rilevante e ampia che migliori gli standard di lavoro, imponga il rispetto della contrattazione collettiva e delle convenzioni Ilo va conquistata e difesa, ora che il dibattito si è spostato dal Parlamento ai triloghi europei”.

A ripercorrere la storia della Pac, nata nel 1962 per sostenere l’agricoltura in tutto il vecchio continente, è il professore dell’Università di Perugia Angelo Frascarelli. La Pac di cui oggi si discute – chiarisce – è frutto di un compromesso. I lavori erano iniziati nel 2017 poi, nel 2020, è arrivato il Green Deal che imprimeva alle politiche europee una svolta verde. La discussione sulla Pac, però, non è ripartita da zero ma ha provato ad assumere alcune delle sollecitazioni che arrivavano da quel patto. Legittime le critiche visto questo percorso travagliato ma, secondo Frascarelli, la nuova strategia non ha tradito le ambizioni ecologiche e sociali. Si tratta piuttosto di lavorare affinché il piano dell’Italia per la sua applicazione si muova nella direzione della giustizia sociale e ambientale.

Assai più aspro il giudizio di Monica Frassoni, ambientalista e presidente della European Alliance to Save Energy, secondo la quale invece la discussione non tiene conto né della pandemia né del Green Deal perché di fatto le risorse verranno utilizzate per continuare a fare ciò che si è fatto finora. Invece il legame tra Green Deal e Pac dovrebbe essere strettissimo visto e considerato che l’agricoltura non solo è artefice di larga parte del cambiamento climatico ma ne è anche tra le principali vittime, solo che fatica ad abbandonare l’ottica di settore per entrare in quella di sistema. Lo dimostra la strategia voluta dalla commissione europea e significativamente chiamata Farm to Fork, dalla fattoria alla forchetta, dal produttore al consumatore. Per Frassoni su questo punto si impone una decisa battaglia perché “c’è il rischio reale che tutta una serie di obiettivi contenuti in quel documento vengano fortemente ridotti”.

Opinioni sostanzialmente condivise da Marta Messa, direttrice europea di Slowfood: “La nostra associazione – ricorda – chiede da anni che le risorse pubbliche vengano spese per i beni comuni, invece l’80% finisce nelle tasche delle grandi imprese perché continua a sussistere il meccanismo per cui i sussidi vengono erogati in base agli ettari: chi ha più terreno riceve di più. Nella Pac manca il riferimento diretto alla Farm to fork. Le ambizioni sono al ribasso. Per questo chiediamo che venga ritirata e che nei prossimi due anni si lavori per ricalibrare tutto”.

La parola alleanza, pur in questa diversità di opinioni, risuona in tutti gli interventi. Susanna Cenni, responsabile agricoltura del Partito democratico e vicepresidente della Commissione agricoltura, la ritiene indispensabile “per provare a cambiare qualche fondamentale. Per questo – sostiene – dobbiamo cercare di costruire le condizioni di un confronto tra tanti attori diversi”, dare valore al cibo e alle persone. Proprio in un’ottica di sistema non si può trascurare il tema degli investimenti possibili grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza che mette a disposizione quasi 1 miliardo di euro da spendere in due anni ma – avverte Cenni – non sarà facile persino prescindendo dall’incertezza che pesa oggi sul governo: conosciamo la nostra pesantezza burocratica, non basta chiedere tante risorse, bisogna essere capaci di spenderle e spenderle bene”.

“Un’alleanza che tenga insieme i due pilastri della giustizia climatica e sociale è ineludibile – anche per Fabio Ciconte, direttore generale della onlus Terra - Non si può pensare di occuparsi oggi dell’uno senza occuparsi dell’altra, solo attraverso la riconversione ecologica si può riaccendere la miccia del lavoro retribuito in agricoltura altrimenti noi troveremo ancora lavoratori e lavoratrici sfruttati nelle nostre campagne. Va restituito valore alla produzione agricola cosa che ancora non avviene perché quello che ci sta restituendo la pandemia è un’esplosione di povertà assoluta. Il rischio è che i consumatori cercheranno sempre il cibo che costa meno creando un sistema a valanga”.

A tirare le somme è il segretario generale della Flai Cgil Giovanni Mininni. “Da soli – conclude – abbiamo poche chance di arrivare pronti alle sfide che ci troveremo davanti. Noi invece vogliamo incidere nel reale. Questa società di mercato, in questo momento storico, espone cibo, agricoltura e lavoro a un grande pericolo. Il tutto mentre, qui in Italia, sulla testa di chi lavora pende la spada di Damocle della fine del blocco dei licenziamenti. Senza una vera riforma degli ammortizzatori sociali assisteremo a licenziamenti di massa. Dobbiamo avere la consapevolezza che occorre riscrivere un diverso modello di società che metta al centro la persona, ma anche il cibo e la sostenibilità ambientale perché tutto si tiene nel mondo nuovo che vogliamo costruire”.