Un lungo cammino iniziato mesi fa, fatto di dialogo e costruzione di piattaforme comuni con associazioni e reti di associazioni. Con al centro un obbiettivo concreto e alto: difendere la Costituzione attuandola. Uno degli articoli fondamentali da attuare è il 32, quello che definisce come diritto di cittadinanza il diritto alla salute. Appuntamento importante di questo cammino è quello di oggi (sabato 24 giugno) a Roma alle ore 10 in piazza della Repubblica. Il corteo parte alle 10.30 e percorre le strade della Capitale per raggiungere piazza del Popolo. Dopo una serie di interventi, le conclusioni sono affidate a Maurizio Landini, segretario generale della Cgil. Daniela Barbaresi, segretaria nazionale della Cgil, illustra le ragioni di questo appuntamento e di quello che si terrà, sempre a Roma, il 30 settembre.

La Cgil è in piazza insieme a oltre 90 associazioni e reti di associazioni per rivendicare il rispetto e l’attuazione della Carta: "Insieme per la Costituzione".  Spiegaci il senso della parola “insieme”.
Insieme, lavoratori e lavoratrici con i cittadini e le cittadine in un grande movimento di popolo portarono, alla fine degli anni 70, all’approvazione della legge 833/78 che istituì il Servizio sanitario nazionale, pubblico e universale. Quella legge dava, finalmente, attuazione all’articolo 32 della Costituzione che definisce la salute come diritto di cittadinanza e come bene comune della collettività. La salute intesa cioè come concetto ben più ampio della assenza di malattia. Quella legge arrivò dopo l’istituzione dei consultori, primo nucleo di sanità di territorio partecipata dai cittadini, e prima della legge Basaglia che chiudeva i manicomi e affidava, anche in questo caso, ai servizi territoriali la presa in carico e la cura della salute mentale. Dobbiamo tornare allo spirito e all’iniziativa di quegli anni per rivendicare la necessità di riaffermare che la salute è un diritto di cittadinanza e come tale deve essere garantito non solo dalla sanità pubblica e universale, ma da uno Stato che riconosce il benessere di chi vi risiede come bene comune in quanto tale da difendere e tutelare. Insieme, perché la Costituzione è di tutte e tutti e in questo “noi” c’è il valore e la forza della democrazia.

Proprio in questa settimana, quella che si conclude con l’appuntamento di piazza del Popolo a Roma, il Governo ha convocato due incontri, uno al ministero della Salute l’altro a quello del Lavoro. Come sono andati, avete ricevuto almeno in parte le risposte che vi aspettavate?
Altro che risposte: si conferma, invece, la volontà di ridimensionare i due cardini della legge del ’78: la natura pubblica della sanità e l’universalità del sistema. Per garantire il diritto alla salute servono risorse per il Fondo sanitario nazionale, non annunci o peggio tagli. Quel che appare chiaro è che la pandemia non ha insegnato nulla al Governo Meloni. Nel primo incontro c’è stata confermata la volontà di portare il finanziamento della spesa sanitaria al 6,2% del Pil. È bene ricordare che Germania e Francia sono oltre al 9% e Regno Unito quasi all’8%, solo per avere alcuni termini di paragone. Evidentemente per il ministro i riferimenti sono il Portogallo o la Grecia con il 5%. Già solo in questa riduzione della spesa vi è una violazione della Costituzione quando afferma che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”. L’Organizzazione mondiale della salute afferma, inoltre, che se la spesa sanitaria scende sotto il 6,5%del Pil si mina la salute pubblica e quindi l’interesse della collettività non viene più garantito.

Contro la riduzione delle risorse si sono pronunciate molte istituzioni a partire delle Regioni che hanno anticipato le risorse per far fronte alla pandemia e che ora hanno i bilanci in rosso. Perché questa sordità?Probabilmente perché Governo e maggioranza hanno in mente un modello di sanità assai lontana dalla Costituzione. Più simile a quella della Lombardia dove pubblico e privato, magari sussidiato da risorse pubbliche, pari sono. Un modello fondato sulle prestazioni erogate e remunerate più che sulla garanzia della salute e del benessere dei cittadini. Insisto, salute non è solo assenza di malattia, ma è un concetto assai più ampio, come ben attestano gli studi sui determinanti della stessa: dall’aria all’ambiente, dal contesto sociale al lavoro. E nemmeno il grido di allarme delle Regioni, con la metà dei bilanci con il segno rosso, sembra responsabilizzare il ministro.

Hai ricordato la pandemia. Il Pnrr che ha come scopo proprio quello di ricostruire le diverse società europee a partire da ciò che il Covid avrebbe dovuto insegnare, indica alcuni obiettivi da realizzare. Per caso fanno parte delle modifiche che il governo vuole chiedere a Bruxelles?
La preoccupazione che adombri non è affatto peregrina, anzi. Basti pensare che non si è nemmeno affrontato l’incremento di almeno 3.500 posti letto di terapia intensiva e di 4.200 di semi-intensiva previsti dal Pnrr. Leggiamo sui giornali che stanno valutando di spostare non si sa su quali altri fondi la costruzione delle nuove case di comunità, lasciando sulle risorse del Piano solo la ristrutturazione delle case che possono essere collocate in strutture già esistenti. Il che vuol dire che al 2026 ne avremo pronte probabilmente nemmeno la metà di quelle previste dalla Missione 6 e dal Dl 77 predisposto dall’allora ministro Speranza. Non solo. La cosa forse più grave è che non ci è stata data nessuna risposta sulle coperture a garanzia della sanità di prossimità, con la riforma dell’assistenza territoriale solo sulla carta e ferma al palo. Nessuna idea in merito alla copertura economica per garantire e dare continuità al personale necessario a far funzionare le 1.350 case di comunità, le 600 centrali operative o per i 400 ospedali di comunità. La verità è che manca una visione per un modello della sanità che possa dare risposte alle persone. Nei fatti viene meno l’idea di integrazione ospedale-territorio e con essa la presa in carico della persona. Ricordo che le case di comunità dovrebbero anche garantire la necessaria integrazione socio-sanitaria di cui non vi è traccia negli intenti dell’attuale ministro.

Sempre in pandemia abbiamo tutti raccontato la straordinaria professionalità, oltre che la passione e la dedizione, di tutto il personale sanitario. Oggi assistiamo alla fuga dal Ssn di medici, infermieri terapisti e tecnici. Come si può immaginare che la sanità funzioni senza i professionisti della salute?
È drammatica l’assenza di proposte per migliorare la condizione di lavoro dei professionisti e di tutto il personale che lavora nel campo sanitario e socio-sanitario e di un piano straordinario di assunzioni, mentre non si prevedono neanche le risorse per rinnovare i contratti pubblici. Così come non è stata nemmeno ventilata l’ipotesi di superamento del tetto per le spese del personale fermo al 2004. La verità è che la salute dei cittadini e delle cittadine non è tra le priorità dell’esecutivo. Occorre ripensare l’organizzazione del sistema sanitario. Oggi è ospedalocentrico: non esiste o quasi sanità di territorio, eppure abbiamo il rapporto posti letto/abitanti tra i più bassi d’Europa, per non parlare di quello tra medici e abitanti o tra infermieri e abitanti. Il risultato è che le condizioni di lavoro degli operatori sono difficilissime e le conseguenze sui cittadini altrettanto difficili, a cominciare dalla difficoltà di accesso ai servizi. Se i medici di medicina generale sono pochi rispetto ai cittadini, se gli specialisti sono insufficienti rispetto alle prestazioni da erogare, difficilmente i tempi delle liste di attesa potranno diminuire. Proprio in queste ore la Fondazione Gimbe ha illustrato come ancora ben il 35% delle prestazioni non erogate a causa della pandemia non sia stato recuperato, altro che smaltimento delle liste di attesa.

E quindi si va in piazza...
Si perché alle persone va garantito il diritto alla salute mettendo in sicurezza il Ssn nei suoi principi fondanti di equità, uguaglianza e universalità. E ai lavoratori e lavoratrici quello di poter svolgere la propria professione dignitosamente con un piano straordinario di assunzioni e con la giusta retribuzione. Occorre fermare la privatizzazione della sanità e della salute, intervenire rapidamente per ridurre i tempi d’attesa, superare le insopportabili diseguaglianze tra persone e territori, dare risposte ai bisogni di tutte e tutti a partire da quei 4 milioni di cittadini che rinunciano a curarsi per motivi economici o mancate risposte. E non ci fermeremo. Torneremo in piazza anche il 30 settembre per dire forte e chiaro, sempre insieme a tanti altri, che l’autonomia differenziata sarebbe un ulteriore colpo all'uguaglianza dei diritti, (compresa la salute) sancita dall’articolo 3 della Carta. Il Paese, tutto, merita rispetto. Siamo e saremo in piazza per ribadire il valore dell’art. 32 della Costituzione e della salute, diritto fondamentale delle persone e della collettività, e l’importanza del Sistema sanitario pubblico e universale.