Due studi, uno dell’Istat l’altro della Fondazione con il Sud, un unico filo conduttore: tra Nord e Mezzogiorno d'Italia vi sono differenze non solo economiche ma sociali e di sviluppo. Il Pnrr può e deve essere l’occasione per cominciare a ridurre quei divari, occorre saperla cogliere, serve al Paese intero. Il rischio, però, è che proprio alcuni di quei divari diventino concausa della scommessa mancata. Una pubblica amministrazione sottodimensionata e più fragile rispetto a quella settentrionale è tra le emergenze più evidenti e preoccupanti.

Non c’è solo il Pnrr

L’Europa assegna all’Italia enormi risorse proprio a causa dei grandi divari tra territori. Tanti soldi non solo del Next Generation Eu, ci sono anche quelli dei Fondi strutturali della programmazione 21-27, ai quali si aggiunge anche il residuo della programmazione 14-20. “Il primo errore da non commettere – ci dice Giuseppe Massafra, segretario nazionale della Cgil – è quello di procedere in maniera non coordinata. Lo sviluppo dei territori meridionali è uno e le risorse vanno ottimizzate. Il problema è che, arrivando da strumenti diversi, anche la loro governance è differente, e questo può creare difficoltà”.

Il Focus dell’Istat

Per l’istituto nazionale di statistica sono 10 gli ambiti di maggior divario tra Sud e Nord a cui corrispondono 10 obiettivi raggiungibili attraverso il Pnrr. In questa parte del Paese, tra le più arretrate d’Europa, vivono ben 20 milioni di abitanti. Il loro Pil pro-capite si aggira intorno al 55-58% di quello dei cittadini del Centro-Nord; 18mila euro a fronte di 33mila. Il livello di istruzione è assai indietro, nel 2020, un terzo (32,8%) dei meridionali in età 25-49 anni (24,5% nel Centro-Nord) ha concluso al massimo la terza media. Per non parlare dell’occupazione giovanile che registra tassi assai inferiori rispetto a quella del settentrione. Questo fenomeno è così pesante che i ragazzi e le ragazze di questi territori hanno ricominciato a migrare.

L’arretratezza delle infrastrutture materiali e sociali

Strade, ferrovie, reti idriche, per non parlare di asili nido e sanità, raccontano di un Paese che per anni ha investito risorse ordinarie quasi esclusivamente in una parte di territorio, e il risultato si vede. Per quanto riguarda gli acquedotti “livelli di inefficienza superiori alla media caratterizzano tre quarti delle province del Mezzogiorno”. Se si parla di mobilità su ferro, sempre secondo l’Istat: “La densità della rete ferroviaria è nettamente più bassa, soprattutto nell’alta velocità (0,15 Km ogni 100 Km2 di superficie; 0,8 al Nord; 0,56 al Centro). Negli ultimi decenni l’ampliamento è stato molto modesto (+0,3% contro +7,1% del Centro-Nord) mentre è aumentato il gap qualitativo (58,2% di rete elettrificata; 79,3% del Centro-Nord)”.

E se, come ormai è chiaro, i servizi per l’infanzia sono strategici per la crescita dei bimbi e delle bimbe e fondamentali per l’occupazione femminile, “due terzi dei bambini (0-3 anni) nel Mezzogiorno vive in contesti con livelli di offerta inferiori agli standard nazionali e il 17,8% in zone con una dotazione molto bassa o nulla”. Infine, la sanità e qui siamo davvero messi male. Si legge nel Rapporto: “Nel Mezzogiorno – soprattutto in alcune regioni coinvolte dai Piani di Rientro (6 su 7) - la contrazione della spesa pubblica ha inciso negativamente sui LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). Permane una diffusa emigrazione sanitaria: i ricoveri extra-regionali sono il 9,6% di quelli interni”.

La sfida

“Ridurre questi 10 divari, che a loro volto sono fonte di ulteriori diseguaglianze – sottolinea Massafra – è l’obiettivo delle diverse Missioni del Pnrr. Per raggiungerlo è indispensabile modificare l’attuale governance del Piano. È la stessa Europa a chiedere che il Pnrr si fondi sul dialogo sociale, occorre dare attuazione a questa indicazione europea. Il termine da sdoganare e rivendicare in maniera più forte è coprogrammazione, cioè la costruzione di un meccanismo per cui il cosiddetto partenariato economico e sociale, a tutti i livelli istituzionali a partire dai territori, co-partecipi alla programmazione dello sviluppo e degli investimenti”.

Già, modificare la governance. In realtà esistono protocolli,  uno fu approvato nel dicembre del 2021 e prevedeva l’istituzione a livello nazionale e regionale di tavoli di partenariato, ma più che luoghi di programmazione sembrano essere occasione per illustrare quando si sta facendo. Quando si riuniscono. E il nuovo governo sembra intenzionato ad accentrare sempre più.

La vera fragilità

Esiste un’altra questione, riguarda gli enti locali, che è al tempo stesso divario e causa di ulteriori diseguaglianze. Non solo, se non vi si pone rimedio diventerà la concausa – ad essere buoni – della mancata occasione del Piano di ripresa e resilienza: la pubblica amministrazione. Uno studio commissionato dalla Fondazione con il Sud al professor Gianfranco Viesti dimostra come nel corso degli ultimi vent’anni la strategia del blocco del turnover e dei tagli ha impoverito tutta la pubblica amministrazione colpendo soprattutto i Comuni meridionali.

L’economista dell’Università di Bari ha messo a punto una serie di indicatori per classificare in cinque fasce i 103 Comuni con più di 60mila abitanti dal punto di vista dell’efficienza del personale, considerando quanti sono i dipendenti pubblici, con quale contratto, sopra o sotto 50 anni, ecc. Il risultato è che i Comuni del Sud sono concentrati nelle due fasce più in difficoltà. Secondo Viesti “le amministrazioni in condizioni più critiche possono conoscere notevoli difficoltà nell’attuazione degli investimenti affidati loro, e poi nella successiva fornitura di servizi da essi resi possibili”. Insomma, il rischio di un doppio fallimento.

Come evitare il fallimento?

“Per dare gambe al Pnrr - aggiunge Massafra - come per rendere esigibili sanità, istruzione eccetera, come la Cgil chiede da tempo, serve un piano straordinario di assunzioni pubbliche a tempo indeterminato e con retribuzioni dignitose. Occorre investire nel pubblico contrastando il pensiero neoliberista che promuove il primato del privato”. E almeno negli enti locali occorre farlo subito. Scrive ancora Viesti: “Affinché il Pnrr si possa realizzare appare indispensabile un’immediata e forte azione di sostegno, attraverso nuove assunzioni di personale o tramite sostegni tecnici esterni assai cospicui verso i Comuni di Napoli, Brindisi e Taranto, Reggio Calabria, Catania, Messina e Trapani, monitorando attentamente possibili difficoltà a Bari, Palermo e Salerno”.

Che fare

Se far funzionare il Piano di ripresa e resilienza è indispensabile, per il segretario confederale, però, occorre andare oltre: “Occorre riorientare la spesa ordinaria, se si costruiscono asili e non si assume il personale, se si costruiscono case della salute e non si fa saltare il tetto di spesa per il personale sanitario sarà inutile, anzi si rischia di affidare queste strutture al privato. Insomma, occorre dialogo sociale, politiche pubbliche di indirizzo, e che le politiche di coesione non continuino a essere distinte da quelle di sviluppo”.

“Ma come è ovvio - conclude il dirigente sindacale - se si va in direzione opposta i divari tra territori si aggraveranno. Il presidenzialismo è il contrario del dialogo sociale, sottrae capacità democratica alle istituzioni a partire dal Parlamento, e a quelle territoriali. L’autonomia differenziata sarebbe la cristallizzazione dei divari, inevitabilmente, a medio termine, e li approfondirebbe”.