L’uomo che a Macerata, nel 2018, sparò su un gruppo di migranti ferendone sei - Luca Traini è il suo nome – ottenne la licenza di detenere armi per uso sportivo in soli 18 giorni: “In Italia non ci cambi nemmeno l’utenza del gas” in questo lasso di tempo. È l’esempio che porta Giorgio Beretta, analista del commercio internazionale e nazionale di sistemi militari e di armi comuni, per spiegare quanto sia facile nel nostro Paese detenere legalmente un’arma.  

La licenza in poche mosse

L’autore de Il Paese delle armi. Falsi miti, zone grigie e lobby nell’Italia armata (edizioni Altreconomia) ci spiega quale è l’iter per ottenere le licenze. Si scarica dal sito della Polizia di Stato un documento nel quale si autocertifica che non si hanno turbe mentali e problemi psichici e nemmeno si fa uso di droghe o si abusa di alcool, quindi lo si fa controfirmare dal medico di base (che molto speso a fatica conosce i propri pazienti) e si procede presso la Asl a una visita che somiglia a quella della patente. Tocca quindi a un certificato di maneggio delle armi, che si ottiene con un corso di mezza giornata, sparando una trentina di colpi con l'arma corta e lunga, e si consegna il tutto alla questura che deve verificare l’assenza di precedenti penali e di episodi sospetti.

La zona grigia

“Quello della presenza di armi in Italia è una delle zone grigie – afferma Beretta, che lavora per l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa di Brescia e la Rete italiana per il disarmo -. Non è mai stato pubblicato dal ministero dell’Interno un rapporto che riguardi il numero di licenze per porto d’armi e i nulla osta per detenerle in casa o in un esercizio commerciale. Eppure con una semplice licenza di tiro sportivo si possono acquistare 3 pistole revolver semiautomatiche, 12 fucili classificati per uso sportivo (tra questi anche gli AR-15 semiautomatici, tra i più usati nelle stragi in America) e un numero illimitato di fucili da caccia, in pratica un vero e proprio arsenale”. Si sa però, anche in assenza di numeri ufficiali, che le armi in circolazione sono un grande numero e il problema “è di trasparenza e soprattutto di controllo”, motivo per il quale le associazioni delle quali fa parte Beretta chiede dati precisi al Viminale.

I produttori intoccabili

L’assenza di dati e di norme più stringenti sulla detenzione di armi da fuoco fa supporre che gli episodi di cronaca nostrani quanto le notizie di stragi che periodicamente arrivano dagli Stati uniti non servano a farci prendere coscienza di un grave problema, ma, ancor più, ci dice che la lobby dell’industria di armi è assai potente. Beretta conferma infatti che “oggi l’Italia ha la normativa più blanda e consenziente di tutta Europa. Oltretutto una persona che ha licenza di tiro sportivo e non va a caccia può acquistare armi da caccia e viceversa. Tutto questo non favorisce la sicurezza pubblica, ma i produttori di armi e la vendita. A chi convenga mi pare molto chiaro”.

Un'industria economicamente sopravvalutata 

Nonostante questa profonda e prolungata crisi economico-finanziaria, infatti, le industrie che producono e vendono armi hanno visto i loro fatturati in crescita e non solamente in modo "fisiologico" con il conflitto russo-ucraino. Secondo Beretta, però, il peso di queste industrie e la loro incidenza sull’economia nostrana in Italia è minore di quanto si creda. Cita quindi un rapporto dell’università di Urbino, secondo il quale, “le armi comuni, fatte in Italia ed esportate all’estero, producono un valore di circa 600 milioni di euro e occupano circa 3.300 persone, come l’industria dei giocattoli, quindi dati marginali in termini di pil e occupazione. Per quanto riguarda poi la filiera delle armi pesanti, che vede protagoniste industrie come Leonardo e Fincantieri, “gli occupati effettivi in questo settore, secondo un documento dello Studio Ambrosetti, sono 50/60 mila, l’1,5% della forza occupazionale in Italia, con la stessa percentuale d'incidenza sul pil e dell’1% sulle esportazioni”.

"E’ un’industria sopravvalutata dal punto di vista economico - aggiunge -, ma che ha altri interessi di tipo strategico e politico e serve a mantenere alleanze con alcuni Paesi. Spesso l’esportazione di armamenti, soprattutto verso paesi con regimi autoritari e repressivi (in particolare le monarchie del Golfo) sono merce scambio per gas e petrolio, a partire dall’Egitto per arrivare al Turkmenistan e ai Paesi area asiatica. Tutto questo non vien messo in risalto, si parla sempre e solamente dell’aspetto economico”.

Richieste mai ascoltate

La Rete italiana per il disarmo tenta da anni di farsi ascoltare dai ministri che si sono succeduti negli ultimi anni al dicastero della Difesa, ma senza alcun esito. “Non ci hanno mai risposto”, dice Beretta, concludendo: “Anche con il nuovo ministro torneremo a porre interrogativi, entrando nel merito delle questioni e chiedendo ancora una volta dove le armi sono esportate, quali armi si producono in Italia, a quali armamenti sono destinate le spese militari e se queste armi davvero servono”.