Lo prevede la nostra Costituzione, lo afferma la legge: la pena detentiva non può essere solo afflittiva ma deve tendere alla rieducazione e al reinserimento del detenuto. Detto così è tutto bello, poi però ci si confronta con le carceri italiane dove, causa il sovraffollamento, non solo spesso sono incivili le condizioni di vita, ma le attività educative sono altrettanto spesso un miraggio o comunque insufficienti.

Antonio Balsamo è tornato a Palermo per ricoprire l’incarico di presidente del tribunale lo scorso agosto. Magistrato dal 1991, ha esercitato in Sicilia e poi in istituzioni internazionali, fino a diventare Consigliere giuridico della rappresentanza permanente d'Italia presso le Nazioni Unite a Vienna. Qui è stato impegnato nella fase preparatoria del meccanismo di revisione della Convenzione Onu di Palermo contro la criminalità organizzata transnazionale, nella partecipazione alle Conferenze degli Stati, parte della suddetta Convenzione, e nella Convenzione Onu di Merida contro la corruzione, nonché nelle attività della Commissione delle Nazioni unite per la Prevenzione della criminalità e la giustizia penale. 

Balsamo mette passione nelle cose che fa, a cominciare dal cercare di far diventare cultura diffusa l’idea che il diritto alla sicurezza dei cittadini e delle cittadine e il diritto alla speranza di chi ha commesso atti criminali non siano necessariamente contrapposti. Anzi, se chi esce dal carcere trova la possibilità di intraprendere un percorso di vita totalmente differente dal passato, la possibilità che torni a delinquere è assai bassa. A giovarsene è la collettività.

Forte di questa convinzione, il magistrato ha tirato fuori dal cassetto una norma, la 254 del 1975: quella che definisce le norme sull’ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà. Gli articoli 75-77 prevedono l’istituzione di due strumenti, il Consiglio di aiuto sociale e il Comitato per l'occupazione degli assistiti, pensati proprio per far in modo che la collettività, coordinata dal tribunale, si occupi del recupero e del reinserimento dei detenuti e delle loro famiglie. Sono passati 46 anni ma quegli articoli – finora – sono lettera morta. “Si era persa questa grossa occasione di costruire un futuro”, ci dice il magistrato, che aggiunge: “Qui a Palermo abbiamo pensato che fosse giunto il tempo di ridare vita a questa esperienza”.

Detto fatto: lo scorso 4 ottobre è stato insediato il Consiglio di aiuto sociale e tre settimane fa è stato varato il Comitato per l’occupazione degli assistiti. Del Consiglio fanno parte direttori delle carceri, il sindaco Orlando, rappresentanti di Regione, Provincia e Prefettura, il dirigente dell’ufficio provinciale del lavoro, un delegato dell’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, e rappresentanti di associazioni impegnate nel carcere e nel sociale. Tra loro Tina Montinaro, moglie del capo scorta di Giovanni Falcone, morto a Capaci, e presidente dell’associazione 'Quarto Savona Quindici'. Il Comitato è composto da rappresentanti del mondo del lavoro, a cominciare dai sindacati confederali. L’idea è quella della comunità che attraverso associazioni e istituzioni, nella logica della rete, si fa carico di costruire percorsi di reinserimento, innanzitutto lavorativo, per i detenuti in prossimità di essere liberati.

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“La funzione essenziale che la nostra Costituzione assegna a qualsiasi sanzione penale – afferma Balsamo - è quella della rieducazione. Il che chiaramente richiede impegno fortissimo e sforzi affinché le pene non abbiano un carattere semplicemente di afflizione, ma diventino una occasione di riappropriazione di valori e di riscatto delle persone che hanno sbagliato e che possono benissimo ridisegnare il proprio futuro. Proprio a questa speranza nel futuro che è diretta l'opera del Consiglio di aiuto sociale”.

La riflessione del magistrato non si ferma qui, ma prosegue ragionando proprio sugli uomini e sulle donne in procinto di lasciare il carcere: “Si tratta di tutte quelle persone che, dopo un periodo di detenzione più o meno lungo, all'improvviso si trovano rimessi in libertà, senza poter beneficiare di nessuna rete di sostegno da parte delle rispettive famiglie, da parte della società, da parte delle istituzioni. Ecco il primo tema di cui ci stiamo cercando di occupare: sono proprio queste persone. Se si vuole prendere sul serio il concetto di sicurezza collettiva, dobbiamo acquisire la consapevolezza che occorre passare attraverso il recupero pieno della dignità degli autori di reato”.

Il lavoro, allora, è lo strumento di recupero e di inclusione. Il lavoro come riscatto individuale e sociale. Certo, a Palermo trovare lavoro è difficile per chiunque, figuriamoci per chi esce dal carcere. Per questo il primo compito del Comitato sarà quello di fare una ricognizione del mercato del lavoro, delle possibilità che offre il territorio e costruire solidi percorsi di formazione e di avviamento all’occupazione.

“L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro – dice Balsamo –: questo dettato costituzionale è un faro illuminante, quello che deve risplendere in ogni attività svolta non soltanto dai magistrati, ma da tutti coloro che pigliano sul serio il quadro dei valori costituzionali. Ecco, da qui nasce l’idea del lavoro come strumento di integrazione sociale”.

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Consiglio e Comitato sono appena nati, di fronte a loro hanno un cammino difficile ma entusiasmante. Il presidente del tribunale del capoluogo siciliano spera che Palermo possa diventare esempio e capofila per altri territori, affinché diritto alla speranza e diritto alla sicurezza possano diventare realtà nel nostro Paese.