Quando si arriva a Civitavecchia, da nord o da sud, si è subito colpiti dall’odore e dal colore del mare, dalle coste frastagliate, dal vento, e prima ancora di scorgere la città, coi sui tetti e il suo discendere a riva, si è investiti dalle punte bianche, rosse e aguzze delle torri della centrale elettrica che domina la costa, da oltre 60 anni, coi suoi camini, per anni giallo intenso. Un ramificare di fumo grigio e striato che sale al cielo. Poco più in basso, potenziale inespresso della città, finestra straordinaria sul Mediterraneo ancora socchiusa, siede il porto di Roma, le navi da crociera ancorate, che qui sono ancora il solo pane e il solo sale.

L’uscita dal carbone mostra Enel per quel che è stata, un polmone contorto che ha riversato a pioggia mille rivoli di denaro sulle amministrazioni, senza mai realmente contribuire allo sviluppo della città e del territorio. L’uscita dal carbone segna la perdita di più di mille posti di lavoro e rende concreto il rischio di vedere distrutto un pezzo di attività imprenditoriale, attività portuali comprese. Civitavecchia fa ancora una volta i conti con le sue ceneri.

L’uscita dal carbone è sicuramente un risultato importante per il nostro Paese, una scelta condivisibile che ci impone di ripensare l’intero sistema energetico, la vera scommessa di cambiare radicalmente il nostro modello produttivo. L’araba fenice è di nuovo costretta a ripensare sé stessa.

Con l’uscita dal carbone il territorio andrà incontro ad una crisi occupazionale devastante, che deve essere affrontata per tempo, prima delle scelte e delle decisioni, con serietà e ponderatezza. Nella piena consapevolezza di ciò che è possibile oggi e soprattutto delle prospettive future. Le scelte che oggi verranno fatte determineranno le possibilità di rinascita per il territorio.

Civitavecchia, a torto o ha ragione, non può essere iscritta tra i territori che hanno condizionato le loro scelte al loro giardino: la città ha servito la tenuta della rete elettrica nazionale per oltre 60 anni, a discapito della salute dei suoi cittadini, e oggi nel Lazio conta un numero di patologie che la dicono lunga. Anni addietro la città si è dilaniata tra salute, bene comune e lavoro e ogni famiglia reca ancora cicatrici profonde in relazione a quella scelta: non consentiremo che accada di nuovo. Non avrebbe senso parlare di cambiamenti e riproporre lo stesso bivio. Né Civitavecchia chiede oggi di diventare un giardino. Ma vuole rinascere. Viva! Eppure, nel tessuto pulsante della città, nella testa delle persone, in coloro che immaginano un futuro produttivo e una riconversione industriale di sviluppo sostenibile si è aperta una voragine, che sembra un confronto ma ancora non lo è!

La pandemia, i denari che arriveranno dall’Europa, i denti mordaci della crisi, l’idea di riuscire a progettare uno sviluppo che tenga in massima considerazione l’oggi e il domani, la frammentazione degli interessi, lo slancio a risolverli ciascuno per suo conto, la tragedia occupazionale, la perdita di prospettive a lunga gittata, tutto ci impone un imperativo categorico. Non è più il tempo di contrapporre interessi nazionali a sviluppo o subalternità territoriale, non è più accettabile una logica di imposizione.

Il territorio deve tornare a essere il centro delle analisi, il baricentro delle scelte. C’è la necessità di aprire confronti approfonditi e di merito nella Città prima di arrivare a scelte che assomiglino a prese di posizioni calate dall’alto! Questo non sarebbe accettabile. Quindi, tutti fermi fino ad allora. Nessuna fuga in avanti sarebbe compresa, anzi rischierebbe di essere letta come una inaccettabile svalorizzazione delle potenzialità del territorio. Si sente parlare di conferenza dei servizi: sarebbe il modo per impedire un corretto dibattito sul territorio, di cui invece c’è disperato bisogno!

E la nostra organizzazione, la Cgil, sente impellente questa necessità: quella di essere luogo e casa del confronto, possibilità di misurare nel merito le diverse opzioni in campo, valutando e contribuendo alle soluzioni che intessono il filo e ne fanno trama: e mettono insieme i temi dell’ambiente e quelli della crescita, e rilanciano le potenzialità di sviluppo del porto e dell’industria, e salvaguardano l’occupazione, tema tragico, più di ogni altro, allo stato attuale di elaborazione!

E ripenso, quando mi affaccio sulle strade in salita che tagliano la città, a Plinio il Vecchio, alle origini di accesso al mare che fecero della comunità una traccia preziosa della cultura etrusca, al suo farsi largo nella Roma imperiale, alla sua allargata egemonia Pontificia. Penso alla città due volte distrutta e ricostruita, medaglia d’oro al valore civile! Penso che dovremmo tutti, nel rispetto della sua storia, essere più attenti, più generosi, più scrupolosi, più partecipi e più intransigenti. Perché Civitavecchia resti una meravigliosa Araba Fenice.

Per queste ragioni, a fronte di un confronto che si sta aprendo sul territorio, non privo di contraddizioni e asprezze, alla luce delle diverse opzioni in campo, gas, idrogeno, destino della città, la Cgil rivendica la necessità di approfondire i temi, allargare gli orizzonti e provare a conciliare gli interessi. Non abbiamo bisogno di contrapposizioni nella città della resilienza, abbiamo bisogno di investire sulle più avanzate tecnologie, di ripensare le attività produttive, di salvaguardare, soprattutto, l’occupazione per ripartire ancora dalle ceneri: pensare Civitavecchia una città nuova vuole dire volere oggi prendersi cura del suo futuro e di quello delle persone che ci vivono. Non ne usciremo con il solito braccio di ferro tra il nuovo e ciò che pensavamo gli assomigliasse, abbiamo bisogno di una svolta, la migliore e la più evoluta possibile, se qualcuno non ne è ancora consapevole, nasconde ragioni innominabili.

Pensare cosa è bene e meglio per il territorio e il Paese non può diventare ancora una volta la vecchia storia del lupo, deve essere invece il segno di un nuovo modello di sviluppo, di partecipazione e di serietà nel rapporto tra stato centrale e territori, che punti allo sviluppo delle attività portuali innanzi tutto, e guardi alle infrastrutture come arterie, mirando alla rigenerazione e riconversione industriale, passando per le bonifiche (grandi legende dimenticate nel Paese) e la nuova industrializzazione. Che getti le basi per una diversificazione produttiva, il che, nel nostro caso, parte dal mare e si ricongiunge alla terra!

Stefania Pomante, segretaria generale Cgil Civitavecchia Roma Nord Viterbo